Silent Hill: Homecoming

di Luca Luperini
The fog remains the same
Konami sfonda la porta della maledetta stanza 302, cercando di portare nuova linfa ad una serie giunta ormai ad un punto di non ritorno. E' infatti palese il tentativo della casa di distribuzione nipponica di far dimenticare agli appassionati la debacle del quarto episodio, Silent Hill The Room per l'appunto. In quell'appartamento molti fan della collina silente hanno letto la dipartita di una delle serie capostipite del genere survival horror. Messo piede fuori dal diabolico bilocale, appena imboccato il corridoio, le alternative erano due: tornare sui propri passi, ripercorrendo le proprie orme fino ad arrivare all'origine del successo della saga; oppure tentare la svolta action, prendendo le mosse dal quarto capitolo del rivale di sempre made in Capcom: Resident Evil. Konami ha preso una terza via. O meglio, non ne ha realmente presa nessuna delle due.



Homecoming si presenta così come il sottotitolo ideale per fissare le prerogative di questo quinto episodio. Perché Silent Hill torna a casa, o almeno ci prova. Proprio come il veterano Alex Shepherd, ha visto la morte in faccia e dopo un lungo periodo di degenza -sono passati quattro anni da The Room- é pronta per rivedere i propri cari e riscoprire gli affetti sopiti. Ma ogni ritorno a casa non é mai soltanto un tuffo nel passato. Le cose cambiano e non ci si può fare niente.

Non éunicamente lo scarto temporale, unita all'usura di determinati temi cardine, a motivare tale mutamento. I primis il cambio di prospettiva é dovuto proprio allo spostamento del baricentro concettuale in meri termini spaziali. Ci riferiamo all'avvicendamento tra l'asiatico Team Silent e l'occidentale Double Helix Games, al timone della serie. La software house californiana, cosciente del prezioso carico affidatale, ha così cercato di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte mantenendosi in linea con le aspettative dei fan, pur inserendo qua e la sostanziali novità tutte identificabili in termini gameplay. Ma se queste ultime sembrano rappresentare uno degli aspetti meglio riusciti di Homecoming, non stupisce invece che sia la sceneggiatura ad aver sofferto maggiormente il cambio di guardia.

Fratello, dove sei?
La stoica ricerca degli affetti perduti, l'umano senso di inadeguatezza, lo straripamento della realtà nella dimensione onirica, il disagio verso la malattia mentale e quella fisica: Silent Hill Homecoming ha tutto del Silent Hill. Eppure qualcosa non sembra funzionare. Nonostante il plot acceleri realmente soltanto attorno alla metà della narrazione, c'é sempre in agguato quel senso di “già visto” che ci impedisce di essere pienamente coinvolti dalle disavventure del povero Alex.
Colpa di Double Helix che ha calcato la mano premendofin tropposui cliché della serie!? Colpa del travaso tra due mondi culturali diametralmente opposti, durante il quale qualcosa é, inevitabilmente, andato perduto!?

O più semplicemente siamo noi ad essere ormai completamente anestetizzati a qualunque tipo di suggestione!? Ovunque sia la risposta resta la sensazione di fondo che questo ultimo nato della serie suoni tanto come un tributo alla saga stessa. Un minestrone dove tutti gli ingredienti che ci aspettavamo di ritrovare risiedono mischiati e filtrati attraverso alla visione che della cittadina sul lago Toluca ha dato Christopher Gans con la sua trasposizione cinematografica. Senza perdere altro tempo in dissertazioni formali veniamo ora a cosa, in sostanza, il plot offre.

Come anticipato Alex Shepherd é un veterano, ferito più nella mente che nel corpo dalle indicibili atrocità della guerra. Le cose non migliorano affatto quando, tornando verso casa, scoprirà che perfino la sua città natale é stata investita da quell'incubo ricorrente che ne tormenta sonno. A Shepher's Glen, ad attendere il nostro alter ego, niente comitato di benvenuto. Soltanto una soffocante nebbia all'interno della quale Alex dovrà avventurarsi per venire a capo della scomparsa del fratello minore Joshua. Una ricerca a cavallo tra la succitata cittadina e la limitrofa Silent Hill, attraverso i luoghi che abbiamo imparato ad amare, ed a odiare, da dieci anni a questa parte. Ospedali, scuole e municipi si alternano in maniera estremamente lineare, passando da una porta chiusa ad un enigma da risolvere. A rompere in parte questo senso di preordinazione sono le domande a scelta multipla disseminate per tutte le circa dieci ore di gioco complessive. Dialoghi attraverso i quali sarà possibile modificare almeno parzialmente il proseguo dell'avventura fino a sfociare in uno dei cinque finali alternativi.



Proprio nella presenza di un buon numero di epiloghi differenti risiede quel principio di rigiocabilità che contribuisce ad arricchire la longevità del titolo.
La narrazione del plot viene in gran parte delegata alle frequenti e ben curate scene d'intermezzo che ormai rapprendano un marchio di fabbrica della serie. A muovere questi intermezzi é lo stesso motore grafico in game del quale, proprio in questi frangenti, vengono evidenziati pregi e difetti. Textures altalenanti ricoprono ambienti ben caratterizzati pur nella loro verve spiccatamente minimalista. Indole che ti tanto in tanto finisce per diventare, da scelta stilistica prestabilita, un limite sostanziale alla credibilità del tutto.

L'abuso di filtri per rendere l'immagine sporca e stropicciata -specialmente durante le fasi nell'otherworld-, l'ampio impiego della nebbia negli esterni e quella del buio negli interni, insospettiscono il giocatore ponendosi, più che elementi atti a rafforzare il senso claustrofobico del tutto, palesi espedienti utili a mascherare alcune magagne grafiche. Decisamente più piacevoli sono i giochi di luce evidenziati dall'uso smodato della nostra fida torcia a batterie, ed i modelli poligonali degli abitanti di Shepher's Glen. Le animazioni di quest'ultimi paiono tutto sommato varie e verosimili nonostante gli endemici limiti espressivi propri di alcuni personaggi. Double Helix si merita inoltre una lode particolare per l'ispirato design degli abomini sparsi per la cittadina. Difatti, escludendo alcune creature riprese pedissequamente dalla pellicola di Gans, sono in particolar modo i boss a brillare per carisma e originalità del concept artistico.

Un discorso a parte se lo merita il comparto sonoro. Akira Yamaoka dimostra, se ce ne fosse ancora il bisogno, come il suo lavoro esuli completamente da quelli che siano le vicissitudini “giocose” del capitolo da lui musicato. Il lavoro del maestro giapponese é magistrale ed ineccepibile come al solito. Ben supportato anche da un campionamento sonoro variegato e dal professionale doppiaggio in lingua inglese.

Variare per non cambiare
SIlent Hill Homecoming racchiude in se anche una micro rivoluzione della serie in termini di giocato. Prima su tutte la rimozione della canonica telecamera fissa a favore di una inquadratura mobile alle spalle del nostro alter ego. Proprio la regia é uno degli aspetti più riusciti del titolo, contro tutte le illazioni che vedevano questo specifico metodo di ripresa incapace di dare il taglio cinematografico consono ad un survival horror degno di tal nome.
A non riuscire con il buco é invece l'implementazione di un sistema di combattimento più variegato rispetto a quello tradizionale.

A giustificare una tale deviazione é proprio il particolare status del protagonista di turno. Alex Shepherd é un soldato. Ed il suo addestramento si traduce sul nostro pad in due funzioni di attacco, differenti per intensità e velocità, ed alla capacità di schivare le offensive avversarie. E' però un peccato constare come nelle situazioni più concitate ogni possibile tatticismo vada a farsi benedire per la difficoltà di gestire più ostili allo stesso tempo. Trattasi di una problematica intimamente connessa al rigido sistema di lockaggio che invece pare funzionare ottimamente negli scontri uno contro uno. Proprio in queste circostanze é possibile saggiare le reali potenzialità del nuovo sistema di combattimento. Alternando i pulsanti offensivi sarà così possibile effettuare brevi combo, e perfino dispensare colpi di grazia al momento opportuno, donando alla lottaquella fluidità che era mancata fin dagli albori della saga.

Apprezzabile anche la volontà degli sviluppatori di inserire una variante strategica pure nella scelta dell'arma da utilizzare. A seconda dell'abominio che ci troveremo davanti sarà infatti opportuno valutare al meglio non solo se affidarsi ad attacchi repentini o più brutali, ma anche quale sia l'arma più consona da impiegare per far leva sui limiti fisici tipici del nemico.

Ad ogni modo non sono presenti combattimenti insormontabili a patto di utilizzare con parsimonia gli items sparsi per i livelli e di mantenere sempre un profilo prudente. Ciò é necessario soprattutto tenuto conto della penuria di savepoints disseminati per le locations. A tal proposito, pur appoggiando la scelta di mantenere questo determinato metodo di salvataggio al fine di salvaguardare il senso di tensione e di precarietà indispensabile alla buona riuscita del genere, é però frustrante constatare come alcuni checkpoint siano davvero troppo distanti l'uno dall'altro.
Infine, Silent Hill Homecoming non accantona la sua componente riflessiva riproponendo un discreto numero di puzzle. Questi si contraddistinguono per un quoziente di difficoltà medio-basso che forse non li renderà appaganti alla vista dei giocatori più smaliziati ma, al contempo, consentirà a anche ai player meno avvezzi ai puzzle di apprezzarli come opportune frapposizioni tra un atto efferato e l'altro.