Silpheed: The Lost Planet
di
UN ARSENALE MOLTO MODESTO
Sin dagli albori del genere degli shoot'em up, partendo da titoli come Galaga e passando via via per nomi storici come Gemini Wings, R-Type, Gradius, Salamander e giungendo infine a giorni ben più recenti con videogame del calibro di RayStorm o Radiant Silvergun, gli sviluppatori hanno tentato di offrire al giocatore un'esperienza ludica avvincente e divertente da affrontare, progettando sistemi di armamento sempre più originali, strani o semplicemente complessi. Gli insetti rapiti di Galaga, il "POD" di R-Type o il sistema di lock di Layer Section sono solo alcuni dei lampi di genio avuti dalle menti dei progettisti e applicati con successo in numerosi giochi. Da un videogame come Silpheed: The Lost Planet ci si aspetterebbe dunque un sistema di armamento progressivo quantomeno interessante, se non rivoluzionario. Niente da fare: gli sviluppatori di Game Arts hanno semplicemente dato un'occhiata al passato e scelto un sistema piatto e ben poco stimolante. In pratica, la navicella Silpheed presenta due differenti agganci per gli armamenti posti sul musetto: all'inizio di ogni missione o in apposite sezioni di intermezzo é solamente possibile scegliere quali armi montare nei due "slot", selezionandole tra le nove disponibili. Tutto qui. Inizialmente sono accessibili solo due tipi di cannone, ma col proseguire del gioco, raggiungendo determinati traguardi di punteggio, diventeranno utilizzabili i sistemi più avanzati, come laser, missili e bombe. Insomma, nessun sistema di armamento d'appoggio, nessuna smart-bomb, nessuna trovata che possa anche solo lontanamente caratterizzare Silpheed rispetto a decine e decine di altri sparatutto: di tutti i pulsanti disponibili sul Dual Shock ne vengono utilizzati unicamente due per le armi e un terzo che serve da autofire per entrambe. Da notare e additare anche la presenza di una sola navicella utilizzabile, in un mercato popolato da sapratutto con parchi di velivoli ben più nutriti. Inutile aggiungere che con una piccola punta di inventiva extra era possibile fare molto, molto di più
Sin dagli albori del genere degli shoot'em up, partendo da titoli come Galaga e passando via via per nomi storici come Gemini Wings, R-Type, Gradius, Salamander e giungendo infine a giorni ben più recenti con videogame del calibro di RayStorm o Radiant Silvergun, gli sviluppatori hanno tentato di offrire al giocatore un'esperienza ludica avvincente e divertente da affrontare, progettando sistemi di armamento sempre più originali, strani o semplicemente complessi. Gli insetti rapiti di Galaga, il "POD" di R-Type o il sistema di lock di Layer Section sono solo alcuni dei lampi di genio avuti dalle menti dei progettisti e applicati con successo in numerosi giochi. Da un videogame come Silpheed: The Lost Planet ci si aspetterebbe dunque un sistema di armamento progressivo quantomeno interessante, se non rivoluzionario. Niente da fare: gli sviluppatori di Game Arts hanno semplicemente dato un'occhiata al passato e scelto un sistema piatto e ben poco stimolante. In pratica, la navicella Silpheed presenta due differenti agganci per gli armamenti posti sul musetto: all'inizio di ogni missione o in apposite sezioni di intermezzo é solamente possibile scegliere quali armi montare nei due "slot", selezionandole tra le nove disponibili. Tutto qui. Inizialmente sono accessibili solo due tipi di cannone, ma col proseguire del gioco, raggiungendo determinati traguardi di punteggio, diventeranno utilizzabili i sistemi più avanzati, come laser, missili e bombe. Insomma, nessun sistema di armamento d'appoggio, nessuna smart-bomb, nessuna trovata che possa anche solo lontanamente caratterizzare Silpheed rispetto a decine e decine di altri sparatutto: di tutti i pulsanti disponibili sul Dual Shock ne vengono utilizzati unicamente due per le armi e un terzo che serve da autofire per entrambe. Da notare e additare anche la presenza di una sola navicella utilizzabile, in un mercato popolato da sapratutto con parchi di velivoli ben più nutriti. Inutile aggiungere che con una piccola punta di inventiva extra era possibile fare molto, molto di più