Soul Calibur II

di Giuseppe 'Sovrano' Schirru

I picchiaduro, che genere inflazionato! Quanti ricordi affollano la mia mente, giornate passate nelle salagiochi infilando vagonate di gettoni. Ah, che tempi! Indimenticabili le sfide in saletta all'ormai storico Street Fighter 2, quelle contro energumeni grossi e palestrati che adottavano una tecnica di gioco consistente nello sferrare potentissimi cazzotti ai tasti, mentre noi dall'alto della nostra tatticità riuscivamo a sopraffarli grazie a doti degne del più abile stratega. La nostra vittoria nei loro confronti non esulava comunque dalla reale pestata che finita la partita ci veniva da loro impartita, completa di combo e colpi terrificanti che in quell'epoca videoludica non avevano ancora avuto luce, ma questa è un altra storia. Torniamo invece ai giorni nostri e parliamo di un altro picchiaduro che segnerà un tassello importantissimo nella storia dei picchiaduro in 3D: signore e signori, Soul Calibur 2.



In principio fu Soul Edge. Soul Calibur venne molto tempo dopo...

Tutt'altro che in sordina la grande N del campo beat'em up (mamma Namco, non Nintendo) è uscita dalle retrovie e si è aggiudicata il premio per aver creato il miglior picchiaduro di tutti i tempi. Non che avesse già provato l'affondo, ma Tekken 4 era troppo poco solido per distanziare un colosso come Virtua Fighter 4, e questo SC2 sembra proprio il prodotto capace di sovrastare la concorrenza che a stento tiene il passo. E così non c'è Virtua Fighter, Tekken, Mortal Kombat o Dead or Alive che tenga: lo scettro spetta a SC2, e su questo non ci piove. Dicevamo grande N in fatto di videogiochi. Il termine potrebbe starci, perché questa è l'ennesima prova di forza da parte di Namco che in questo campo fa vedere quanto vale con prodotti qualitativamente ineccepibili. Soul Calibur 2 ne è l'esempio lampante.

SC2 si porta dietro un fardello non indifferente: il primo episodio è stato gioia per gli occhi e per lo spirito, un picchiaduro qualitativamente ineccepibile che al tempo fu vanto e vessillo dell'ormai estinto Dreamcast, quella macchina dei sogni che aveva esaudito tutti i desideri di chi bramava di possedere un picchia-picchia eccelso. La Namco quattro anni fa ha fatto centro, ma rifarlo con un prodotto multipiattaforma che si porta dietro una così grande eredità sarebbe stato se non impossibile, altamente difficile. Eppure, questa è una grande dimostrazione di destrezza da parte della casa di Pacman. Le differenze rispetto al predecessore però non sono così marcate come alcuni potevano aspettarsi: i programmatori Namco si sono "limitati" a gonfiare i muscoli del motore grafico e a limare un gameplay già di per sé perfetto, profondo, tecnico e tattico. Migliorie mirate, giuste, atte ad impreziosire un gioco che già era perfetto di per se. Ma quattro anni e il cambio di console a qualcosa saranno pure serviti.