Splinter Cell: Chaos Theory

di Antonio Norfo
Tanto Splinter Cell quanto relativo seguito (Pandora Tomorrow) hanno trovato nel Game Boy Advance un'alternativa alla formula ludica madre, quella cioè che contraddistinguendosi su piattaforme casalinghe ha concepito (a parere generale di critica ed utenza) un fiero antagonista da contrapporre al "kojimiano" dominatore del genere: Metal Gear Solid.
Se da un lato le citate controparti bidimensionali apparse sul portatile 32 bit non si sono rivelate perfette ed auspicabili trasposizioni delle peripezie a tre dimensioni del burbero Sam Fisher, dall'altra hanno dimostrato di saper adattare e trasformare il concept ludico in base alle esigenze tecniche della console ospitante (benché si potesse recriminare sul perfettibile sistema di controllo e sulla narrazione stantia).
Il neo-nato terzo capitolo, dal canto suo, da una parte prosegue su Nintendo DS quella parabola discendente che affligge la giovane serie handled (laddove Pandora Tomorrow non ha convinto quanto ha fatto il predecessore), da un'altra cambia totalmente prospettiva ludico-concettuale.
Chaos Theory versione portatile, infatti, non è come i suoi antecessori un titolo a base di piattaforme ed azione, ma un'autentica riduzione in scala dell'episodio maggiore (con il quale vorrebbe condividere determinate tematiche).


Graficamente la console è anzitutto ben lungi dall'essere sfruttata nel pieno delle sue potenzialità, e se è pur vero che essa vive il suo primo anno di vita, è altrettanto vero che una certa demo di una certa cacciatrice di taglie è pronta quantomeno a suggerire lo standard tecnico al quale mirare in questi primi vagiti. Uno dei pregi giustamente annoverabili nel computo della creatura Ubisoft è, in ambito 128 bit, la cura estetica per animazioni, fondali e reparto visivo in sé; una delle pecche del lavoro svolto dai Gameloft è, in opposto, quella di proporre su due schermi uno stealth game deficitario per frame-rate (specie una volta azionati i visori notturni e termici) ed assolutamente ridimensionato quanto a movimenti marziali ed ampiezza dei livelli. Gli scatti di cui l'agente Fisher è vittima ne pregiudicano la fluidità e la natura di uomo-ombra, ma la struttura è turbata maggiormente dalla linearità disarmante con cui le missioni vengono proposte e dall'opacità (spesso dannosa alla fruizione) di certi ambienti. Inoltre, la via per la quale procedere e tramite la quale portare a compimento le missioni è quasi sempre univoca ed alcuni fattori minano alle fondamenta l'uniformità del ritmo (invasivi dialoghi spesso evitabili, ma anche assidui checkpoint resi necessari dalla formula del "trial & error").
Per quanto invece il sistema di controllo appaia e sia radicalmente ostico da padroneggiare, va detto di come esso tenti di conciliare le meccaniche di Splinter Cell con le offerte dell'hardware ospitante. L'allocazione dei menu (OPAC, arsenale, visori e voci simili) e la gestione della telecamera sono mansioni entrambe effettuabili nell'interazione con lo schermo tattile, mentre la locomozione e le principali mosse (accucciarsi, camminare si soppiatto, saltare, arrampicarsi, rotazione swat e via di questo passo) sono state affidate ai vari pulsanti.


Dopo un'iniziale pratica (non manca il tutorial di rito) si inizia ad esplorare i claustrofobici interni con una certa disinvoltura, sebbene il senso di libertà e di pieno controllo sul proprio alterego siano giocoforza limitati (un altro punto di forza del capitolo visto su Gamecube, Playstation 2 ed Xbox, ossia la sensibilità dei sistemi analogici, viene così a mancare). Ad ogni porta ci si guarderà bene dal creare rumore e sospetto (è possibile sfondarle, aprirle in maniera più civile e spiare oltre gli stipiti mediante l'inseparabile cavo ottico) e ad ogni spazio maggiormente aperto si farà attenzione a non scagliarsi verso il cono visivo dei terroristi, pronti a lanciare gli allarmi e, come codice vuole, ferventi sostenitori del game over altrui. Quest'ultimi (talvolta interrogabili una volta presi per il collo) dimostrano evidenti lacune in termini di intelligenza artificiale, specie quando non si accorgono dei compagni caduti e dell'imminente pericolo. Posto questo, è anche vero che i giocatori più abili tenteranno comunque di evitare gli scontri il più possibile, per rispettare appieno il genere interpretato che vede nei sotterfugi la principale chiave di vittoria. Infine, azioni come lo scasso di porte e la digitazione di codici, prevedono di bel nuovo l'uso del display inferiore (garante peraltro di un'utile sensore in cui, sotto forma di cerchi rossi, vengono individuati i nemici nelle vicinanze).

Alla luce di quanto esposto, le mancanze superano ahinoi i pregi, il che ci spinge a consigliare il titolo solo ai più assidui e pazienti appassionati del filone spionistico in questione. Per il resto, i margini di miglioramento vi sono tutti ed alcuni compromessi, comunque da limare, sono invero accettabili anche per l'ipotetico futuro della serie su lidi DS. Speriamo che per allora l'inventiva superi e di molto il risultato di una "conversione" sottotono.