Splinter Cell: Double Agent

di Bizio Cirillo
Per uno Splinter Cell la parola futuro ha sempre avuto un significato del tutto particolare. Da quando la NSA ha dato vita all'operazione top-secret Third Echelon, queste cellule d'elite paragovernative si sono occupate di raccogliere informazioni d'intelligence di primaria importanza per la sicurezza Nazionale, azioni talmente rischiose da indurre lo stesso governo centrale americano ha disconoscerne il proprio coinvolgimento. Essere uno Splinter Cell significa lavorare al di fuori dei confini degli accordi internazionali, essere consapevoli che ogni incarico, ogni singolo giorno potrebbe anche essere l'ultimo. Sam Fisher conosce bene le regole del gioco. Il più esperto agente operativo di Third Echelon sa perfettamente che la sua sopravvivenza è quasi sempre a rischio e che molto, ma non tutto, dipende dalla sua capacità di mantenere la necessaria lucidità anche nelle situazioni più disperate. Combatte perchè crede che la causa sia necessaria e giusta, ma soprattutto perché è convinto che sua figlia Sarah, nata dalla relazione con un'agente CIA -Regan- deceduta anzitempo per un tumore, meriti un mondo migliore in cui vivere. La tragica scomparsa della giovane figlia ha però l'effetto di trasformare il miglior Splinter Cell in circolazione in un uomo incapace di dare un senso alla propria esistenza, situazione che porterà Sam ad accettare una missione a bassissimo coefficiente di riuscita come infiltrato nel gruppo terroristico noto con lo pseudonimo di "John Brown's Army" (JBA), creato con il preciso scopo di portare avanti "il cambiamento" mediante la distruzione dell'attuale, decadente sistema.


L'articolato background narrativo alla base di questo quarto capitolo della serie, il primo su PS3, rappresenta anche la più interessante novità del titolo di casa Ubisoft. La duplice natura di Sam Fisher, incorruttibile agente operativo da una parte e spietato terrorista dall'altra, e la conseguente necessità di soddisfare sia le richieste della NSA che quello meno nobili (ma altrettanto indispensabili) della JBA, introduce infatti un criterio di valutazione dell'operato di Sam completamente nuovo, basato sulla fiducia accumulabile o viceversa "disperdibile" nel corso del gioco. Tale sistema, visualizzato sullo schermo grazie a due indicatori riportanti rispettivamente il livello della fiducia della NSA e della JBA, obbliga in sintesi il giocatore a bilanciare ove possibile il proprio operato, condizione necessaria per proseguire la propria attività di spionaggio senza sollevare le ire dell'una o dell'altra parte. Seguendo le regole del principio di "azione e reazione", impedire la prematura dipartita di un prigioniero o farsi "beccare" in aree del quartier generale vietate, avrebbe infatti come conseguenza quella di insospettire gli elementi del John Brown's Army, con il risultato di veder ridurre il livello di fiducia JBA fino alla classica schermata di Game Over. Allo stesso modo, eccedere nei comportamenti oltremodo "aggressivi" od ignorare in modo più o meno sistematico gli ordini impartiti di volta in volta dal colonnello Lambert, comprometterebbe invece il rapporto con la NSA, che alla lunga (leggasi esaurimento della relativa barra) potrebbe anche decidere di sollevare il miglior Splinter Cell in circolazione dal delicato incarico.

Cambiano le regole ma Sam Fisher rimane sempre lo stesso
Sebbene la natura bivalente del protagonista riesca nell'intento di offrire quel pizzico di novità in più, è chiaro che la struttura portante di Double Agent riprenda per grandi linee i medesimi punti cardine dei precedenti episodi. Eccezion fatta per alcuni livelli ambientati all'interno del quartier generale JBA in cui sarà impossibile fare uso di armi, gran parte del gioco presuppone di fatto l'alternanza di fasi stealth ad altre più spiccatamente action, situazioni in cui sarà possibile attingere a piene mani dall'immenso arsenale di cui l'agente Fisher dispone. Come nei precedenti capitoli, l'eliminazione sistematica degli avversari rappresenta però solo un'opzione nel ventaglio di possibilità offerte dal gioco, questo anche per l'intelligenza artificiale dei nemici in grado finalmente di contrapporre un comportamento sicuramente più vario e consono con lo svolgimento stesso dell'azione. Certo, i difetti "storici" ci sono sempre e capiterà più di una volta di fronte a comportamenti illogici dei nostri nemici, facilitando fin troppo il nostro compito, ma mentre in precedenza era praticamente questa la regola, ora rappresentano la classica eccezione.


E' un PC? Una Xbox 360? No, è una PS3!
Confermandosi come la software house che, al momento, meglio ha saputo interpretare il passaggio alla nuova generazione di console, Ubisoft ha donato a questo nuovo episodio di Splinter Cell un comparto tecnico realmente ineccepibile. Un motore grafico roccioso, capace di muovere scene dettagliate e un quadro grafico pulito e texturizzato a dovere è solo una parte dell'ottimo lavoro svolto. Apprezzabile, soprattutto sugli schermi ad alta definizione, il lavoro maniacale svolto sui modelli poligonali dei protagonisti, di cui si possono notare anche i minimi dettagli. Le cicatrici sul cranio di Sam, il sudore e l'espressività del volto sono tutti fattori che aiutano a ricreare un ambiente di gioco credibile e, di conseguenza, facilitano il giocatore a calarsi nei panni dell'infallibile agente NSA. A fronte di un comparto tecnico indubbiamente di livello, è però opportuno precisare che quanto sopradescritto non si discosta in alcun modo da quanto già visto sei mesi orsono su PC ed Xbox 360, segno di una conversione fin troppo "frettolosa" e non ottimizzata per l'hardware disponibile sulla next-gen console di Sony. Tralasciando alcuni peccati veniali quali la presenza di sporadici effetti di clipping ed un eccessivo uso del contrasto (in alcune occasioni diventa fin troppo semplice individuare i nemici anche in totale assenza di luce), le uniche novità di rilevo si limitano pertanto all'introduzione del pieno supporto al sensore di movimento del Sixaxis (utilizzabile per scassinare le serrature, aprire di soppiatto le porte ed assemblare le mine per conto della JBA), ed a quello di una nuova protagonista di sesso femminile (utilizzabile però unicamente in modalità multiplayer), francamente troppo poco per un titolo uscito con così tanto ritardo. Tornando alle note liete, da segnalare un comparto sono più che discreto, che affianca alle voci storiche dei personaggi di contorno (Lambert, nella fattispecie), anche un nuovo doppiatore per Sam Fisher, che non fa rimpiangere l'ottimo Luca Ward (in alcuni frangenti le voci si somigliano moltissimo).
In ultimo è doveroso aprire un capitolo a parte per ciò che concerne il multiplayer. Prima le certezze. Uno in più: da due contro due di Chaos Theory lo scontro diventa tre contro tre. Sempre spie contro mercenari, sempre visuale in terza per i primi e in soggettiva per i secondi. Adesso le novità. Aggiornamenti nell'arsenale, possibilità di accelerazione, di effettuare salti, compresa l'impiego di un drone-spia. Se l'asso nella manica della spia è il silenzio e l'incapacità del mercenario di rilevare suoni, questa volta il mercenario dispone di un visore per individuare i movimenti ravvicinati della spia. Sprovvista dello shocker-gun, la spia può disabilitare "hackerare" ogni dispositivo e sono dotate di un'agilità ancora più accentuata attivando mosse speciali premendo un solo pulsante sul controller. Infine anche alla spia è concessa la chance di uccidere in modo stealth il mercenario, ma a mani nude. Purtroppo Ubisoft ha preparato il necrologio per il multiplayer cooperativo che tanto "chaos" aveva creato tra i giocatori. Ma non ci sarà comunque tempo per versare lacrime di fronte ad un notevole arricchimento delle modalità competitive.