Splinter Cell: Pandora Tomorrow
di
Back to stealth-action
Spliter Cell ebbe l'ardire di sfidare e minacciare l'indiscusso "euretès" del genere in questione: lo stealth (Tactical Espionage Action, per amor di precisione) e quel Metal Gear Solid di casa Konami. Se abbia avuto la palma della vittoria non si sa (la platea e la critica di fatto si sono divisi), è invece indiscutibile che sia riuscito nel far indossare al giocatore i panni di un agente membro di imperscrutabili milizie speciali. Più che nel carisma di un eroe di seconda età, il titolo Ubisoft ha meravigliato dal punto di vista dell'immedesimazione spionistica e ancora una volta, in questo sequel, porta fiero questa sua bandiera. La sfida ha nuovamente inizio, e la prima mossa è di Ubisoft, una mossa tutta di natura anticipatrice. Futura vittoria, sonora sconfitta o magari una battaglia leale dall'esito incerto? Ai posteri l'ardua sentenza. Vediamo adesso, piuttosto, di scoprire i contenuti di questo novello vaso di Pandora.
Don't let the light surround you
In pieno stile Tom Clancy, le danze hanno inizio con un attacco terroristico. Sullo sfondo emerge un certo Suhadi Sadono, il leader guerrigliero del gruppo indonesiano Darah Dan Doa (letteralmente "sangue e preghiera"), un esercito che conta più di mille componenti. Cliché della trama a parte qui entra in gioco il campione del Third Echelon, ovvero Sam Fisher, ovvero (con un successivo volo pindarico) noi. Sam Fisher si muove nell'ombra; la luce invero sembra non essere il suo elemento preferito. Il principale nemico del gioco, infatti, non sarà mai la fisicità in sé del nemico, ma piuttosto il fatto di essere e visti e, in minor dose, sentiti da esso (per i rumori molesti occorrerà temere gli allarmi disseminati lungo le aree di gioco). Come prima cosa pertanto sarà bene eliminare con cautela ogni fonte di luce esistente (lampadine, lanterne, lampioni o illuminazione a neon) per poi darsi all'elegante fuga stealth o magari all'eliminazione delle forze ostili (i cui cadaveri o corpi tramortiti vanno chiaramente nascosti nelle zone meno visibili). Ma ricordiamolo, non siamo in Rambo (benché non manchino le ambientazioni pluviali) e sarà mille volte più soddisfacente (nonché produttivo) aggirare tre nemici alla volta piuttosto che riempirli di piombo. Non solo, avvicinarsi furtivi alle loro spalle, mentre magari intonano fischiettii idilliaci, e immobilizzarli farà di voi l'agente preferito del signor colonnello Irving Lambert. Già, il capo. Sarà lui e la signorina Grìmsdòttir (meglio nota come Grim) a guidarci nelle otto ambientazioni disponibili mediante comunicazioni per così dire di servizio (anche con costanti osservazioni nel nostro fido OSPAT).
I luoghi più riusciti ed affascinanti sono senz'altro le zone abitate dove il tatto (e in caso le gomitate...) per i passanti ed in generale il dominante modus agendi da ninja la faranno indiscutibilmente da padroni. All'uopo sorge una nuova abilità: la rotazione SWAT, da affiancare al vasto repertorio già ammirato nel predecessore. In parole povere, avvicinandovi alla soglia di una porta (o di un corridoio angusto) e premendo X con le spalle alla parete (mediante pressione di L3), una volta effettuato un repentino movimento vi ritroverete dall'altra parte senza che nessuno, civili o terroristi che siano, vi abbia visto o notato. L'utilità dell'azione è pressoché basilare e nei vagoni-letto di un treno o in un quartiere di periferia della gloriosa Gerusalemme potrebbe risultare persino vitale. Giacché in Slinter Cell ogni stanza ed ogni scorcio equivale ad un momento di riflessione-azione (nel rigoroso ordine mai invertibile) gli sviluppatori hanno messo con frequenza Checkpoints e la possibilità di salvare ad ogni momento delicato della missione.
Spliter Cell ebbe l'ardire di sfidare e minacciare l'indiscusso "euretès" del genere in questione: lo stealth (Tactical Espionage Action, per amor di precisione) e quel Metal Gear Solid di casa Konami. Se abbia avuto la palma della vittoria non si sa (la platea e la critica di fatto si sono divisi), è invece indiscutibile che sia riuscito nel far indossare al giocatore i panni di un agente membro di imperscrutabili milizie speciali. Più che nel carisma di un eroe di seconda età, il titolo Ubisoft ha meravigliato dal punto di vista dell'immedesimazione spionistica e ancora una volta, in questo sequel, porta fiero questa sua bandiera. La sfida ha nuovamente inizio, e la prima mossa è di Ubisoft, una mossa tutta di natura anticipatrice. Futura vittoria, sonora sconfitta o magari una battaglia leale dall'esito incerto? Ai posteri l'ardua sentenza. Vediamo adesso, piuttosto, di scoprire i contenuti di questo novello vaso di Pandora.
Don't let the light surround you
In pieno stile Tom Clancy, le danze hanno inizio con un attacco terroristico. Sullo sfondo emerge un certo Suhadi Sadono, il leader guerrigliero del gruppo indonesiano Darah Dan Doa (letteralmente "sangue e preghiera"), un esercito che conta più di mille componenti. Cliché della trama a parte qui entra in gioco il campione del Third Echelon, ovvero Sam Fisher, ovvero (con un successivo volo pindarico) noi. Sam Fisher si muove nell'ombra; la luce invero sembra non essere il suo elemento preferito. Il principale nemico del gioco, infatti, non sarà mai la fisicità in sé del nemico, ma piuttosto il fatto di essere e visti e, in minor dose, sentiti da esso (per i rumori molesti occorrerà temere gli allarmi disseminati lungo le aree di gioco). Come prima cosa pertanto sarà bene eliminare con cautela ogni fonte di luce esistente (lampadine, lanterne, lampioni o illuminazione a neon) per poi darsi all'elegante fuga stealth o magari all'eliminazione delle forze ostili (i cui cadaveri o corpi tramortiti vanno chiaramente nascosti nelle zone meno visibili). Ma ricordiamolo, non siamo in Rambo (benché non manchino le ambientazioni pluviali) e sarà mille volte più soddisfacente (nonché produttivo) aggirare tre nemici alla volta piuttosto che riempirli di piombo. Non solo, avvicinarsi furtivi alle loro spalle, mentre magari intonano fischiettii idilliaci, e immobilizzarli farà di voi l'agente preferito del signor colonnello Irving Lambert. Già, il capo. Sarà lui e la signorina Grìmsdòttir (meglio nota come Grim) a guidarci nelle otto ambientazioni disponibili mediante comunicazioni per così dire di servizio (anche con costanti osservazioni nel nostro fido OSPAT).
I luoghi più riusciti ed affascinanti sono senz'altro le zone abitate dove il tatto (e in caso le gomitate...) per i passanti ed in generale il dominante modus agendi da ninja la faranno indiscutibilmente da padroni. All'uopo sorge una nuova abilità: la rotazione SWAT, da affiancare al vasto repertorio già ammirato nel predecessore. In parole povere, avvicinandovi alla soglia di una porta (o di un corridoio angusto) e premendo X con le spalle alla parete (mediante pressione di L3), una volta effettuato un repentino movimento vi ritroverete dall'altra parte senza che nessuno, civili o terroristi che siano, vi abbia visto o notato. L'utilità dell'azione è pressoché basilare e nei vagoni-letto di un treno o in un quartiere di periferia della gloriosa Gerusalemme potrebbe risultare persino vitale. Giacché in Slinter Cell ogni stanza ed ogni scorcio equivale ad un momento di riflessione-azione (nel rigoroso ordine mai invertibile) gli sviluppatori hanno messo con frequenza Checkpoints e la possibilità di salvare ad ogni momento delicato della missione.