State of Decay 2
Una delle creature più longeve, in qualsiasi manuale dei mostri legato a tutte le possibili ambientazioni, è certamente lo zombie. Fino a oggi ne abbiamo visti in ogni dove e in ogni salsa, calcando moltissimi palcoscenici appartenenti ai media più seguiti sulla faccia della Terra. Ce ne sono stati nel cinema, ce ne sono stati in serie televisive, nei fumetti, nei libri e ovviamente, non ultimi per importanza, anche nei videogame.
Non dovrebbe quindi sorprenderci che Microsoft, dopo aver ospitato in esclusiva il quarto capitolo di Dead Rising, si sia ritagliata un proprio podio personale esclusivo lavorando al sequel di State of Decay. A distanza di cinque anni dalla prima infezione, il gioco e lo sviluppo sono maturati nel tempo seguendo un cammino pieno zeppo di budella e mandibole fracassate, tirando fuori dal cilindro quello che sembra essere a tutti gli effetti il degno erede del primo capitolo.
Il sembra in questo caso è più che doveroso, dato che qualche difetto continua a infestare l’organismo del brand provocando qualche effetto decisamente spiacevole.
LA CURA PER OGNI MALE
L’umanità ha accettato la situazione, o quantomeno, è entrata a patti con i fatti. L’infestazione dei morti viventi ha ormai preso piede ovunque, motivo per cui la parola sopravvivenza è entrata in voga su qualsiasi guida, o vocabolario, venduto sulla faccia della terra. Anche se una trama vera e propria questo State of Decay non ce l’ha, dall’altro capo della fune troviamo quello che pare essere un filo conduttore velato, portato alla luce da una serie di obiettivi o avventure che alcuni superstiti propongono di portare a termine.
Pur trattandosi di parentesi fini a sé stesse, questi obiettivi consentono al giocatore di percepire una progressione temporale della storia. In termini di narrazione è come assistere a una serie televisiva focalizzata su un personaggio alla volta: è possibile farsi accompagnare da altri superstiti, ma è allo stesso tempo fondamentale mantenere attivo il personaggio mandatario della missione, poiché altrimenti verrà interrotta facendola ricominciare da capo. L’ambientazione mantiene quindi i canoni legati all’apocalisse zombie, dove i superstiti vivono sulla propria pelle la perenne sensazione di non riuscire a farcela.
State of Decay 2 segue quindi la logica del survival game, mettendoci a disposizione più di un alter-ego con l’intenzione di farci costruire/gestire una comunità. Importante constatare come lo studio Undead Labs abbia ben pensato di non stravolgere il sistema efficiente conosciuto nel primo capitolo, enfatizzando inoltre la meccanica del permadeath al fine di impedire qualsivoglia azione priva di senno.
Oltre a essere un survival, State of Decay 2 è anche un gioco di ruolo con caratteristiche gestionali, visto che aggiunge alla solita gestione della comunità maggiori elementi di caratterizzazione, come la personalità o le abilità specifiche, che potranno man mano essere allenate al fine di sfruttare al meglio ogni peculiarità in dotazione. I punti di forza e debolezza, mostrati nel pannello dedicato, ci permettono di scegliere il personaggio x a discapito di quello y quando si tratta di fare una particolare missione, ripulire un luogo infestato e così via, cercando di non ignorare anche la sfera caratteriale per evitare di generare risse all’interno del luogo sicuro.
Ogni volta che una skill viene utilizzata, questa cresce di livello, raggiungendo dopo sei stelle un grado di specializzazione, da selezionare con cautela al fine di creare un team diversificato capace di far fronte a qualsiasi eventualità. Avere tutti i personaggi specializzati nello stesso asset è uno sbaglio, perché si può finire per non avere l’abilità giusta per costruire un edificio necessario nella base, oppure utilizzare oggetti o armi più potenti.
Come scritto in precedenza, gli sviluppatori non hanno voluto stravolgere un sistema già consolidato, scegliendo piuttosto di inserire tantissime variabili in più. Le prime missioni personali rappresentano il modo più rapido per ottenere influenza (una delle valute in gioco), ma contribuiscono anche al reperimento di risorse e oggetti utili per andare avanti, come materiali da costruzione, cibo, scorte mediche e molto altro ancora.
Toccherà quindi scendere a patti con una serie di eventi, sfortunati o meno, dettati dalla casualità, che possono in qualche modo creare lo stimolo giusto utile a reagire alle difficoltà proposte dal gioco. Sopravvivere da soli è un conto, ma farlo in una comunità è tutta un’altra cosa.
Per questo i consigli migliori restano sempre gli stessi: mai girare da soli, mai sovraccaricare lo zaino, mai uscire senza un’arma di riserva, mai lasciare una tanica di carburante extra a casa.
STUPIDO È, CHI LO ZOMBIE FA!
Come detto in precedenza, State of Decay 2 fornisce al giocatore la possibilità di gestire una comunità eterogenea di persone, cercando non solo di sopravvivere agli zombie, ma anche a tutti i mali possibili e immaginabili capaci di infettare il morale.
Ogni causa porta a un effetto, ed è interessante notare come per esempio un basso livello di morale può avere delle ripercussioni negative sul team. Il morale è uno dei parametri da tenere sotto controllo sempre, anche perché può essere davvero influenzato da qualsiasi cosa, come la presenza di un membro infettato dalla malattia del sangue, oppure un individuo belligerante sempre pronto a disquisire per ogni cosa.
Provvedere al fabbisogno quotidiano diventa un modus vivendi, messo continuamente alla prova dalla curva di difficoltà presente nel gioco, che vede il suo margine più alto proprio nel momento in cui si aggiungono bocche da sfamare nel gruppo. Per mantenere il morale su livelli accettabili è quindi fondamentale recuperare ogni risorsa possibile, cancellare ogni infezione a tiro presente sulla mappa e scegliere in maniera oculata cosa costruire nel campo base.
Considerato che i lotti vanno a dimensione, con slot suddivisi tra interno/esterno e piccoli/grandi, ogni edificio disponibile aggiunge un particolare bonus alla produzione di risorse, a seconda delle necessità che in quel momento interessano al giocatore. Una volta aumentato il centro al livello massimo è possibile conquistare quattro avamposti esterni alla base, motivo che di solito spinge a selezionare un edificio per produrre cibo, uno scorte mediche o materiali e uno, proprio andando oltre, utile a fornire energia elettrica o acqua potabile.
Creare un avamposto per la raccolta del cibo sopperisce, almeno inizialmente, alla costruzione di un orto. Aumentando le bocche da sfamare, trovando al contempo un personaggio interessato al giardinaggio, è possibile rinunciare a quel tipo di avamposto esterno costruendo invece un orto più grande capace di produrre più cibo al giorno.
Avendo a disposizione uno spazio limitato, il giocatore finisce per compiere scelte vincolate aspettando di riuscire a prendere uno dei lotti più grandi disponibili, a patto che abbia raggiunto la quantità di influenza necessaria per occuparlo. L’open world messo a disposizione dagli sviluppatori è generoso in termini di cose da fare e, fortunatamente, diversifica l’avventura inserendo tre macro aree esplorabili da cima a fondo, disponibili solo quando verrà fatta la chiamata radio all’interno del pannello dedicato.
In merito a questo è doveroso sottolineare che il passaggio da una zona all’altra è doloroso, visto e considerato che il gioco trasferisce soltanto alcune risorse, lasciando rifugi e avamposti conquistati alla mercé del nulla. Tutto viene quindi cancellato e rimborsato con una piccola quantità di influenza, utile almeno per comprare i primi avamposti e ricominciare il fantomatico tran tran quotidiano (farma, uccidi, farma e ricomincia).
Ogni campo base segue la logica di chi lo gestisce, ed anche in questo frangente è importante scegliere il leader della comunità per sbloccare particolari edifici a seconda delle competenze a disposizione del personaggio designato per il ruolo.
La routine del gioco, aprendo e chiudendo questa parentesi, in alcune situazioni diventa particolarmente frustrante, perché ci trasmette la sensazione di ripetere delle azioni senza un motivo alle spalle. Abbiamo provato a ripeterci che grazie alle nostre scelte qualcuno poteva pure sopravvivere, ma è vero pure che il tedio è una bestia più pericolosa di un colosso zombie inferocito.
C’è chi va in giro per il semplice gusto di esplorare, chi invece sente il bisogno di salvare più gente possibile e chi, infine, ha soltanto voglia di depredare rinunciando al proprio briciolo di umanità rimasta nel taschino della camicia, magari uccidendo i membri delle altre comunità che non la pensano come lui.
HOLD THE DOOR
Il combat system scelto per State of Decay 2 mostra sia punti di forza che di debolezza. Facendo riferimento al paragrafo in cui abbiamo parlato delle abilità, vi abbiamo detto che il personaggio può far salire parallelamente combattimento corpo a corpo e tiro dalla distanza, ottenendo al primo livello massimo un parametro extra di specializzazione.
Le armi da fuoco restituiscono un feedback soddisfacente durante l’utilizzo, grazie al fatto che ognuna non solo provoca un rumore capace di attirare gli zombie, ma comporta un particolare rinculo o mira difettosa al momento in cui vengono utilizzate con un’abilità bassa.
Ogni oggetto ha un livello di usura che scende a seconda dell’utilizzo, e di come ne viene fatto uso, arrivando inevitabilmente alla rottura. Diciamo che per questo motivo diventa fondamentale esplorare e aprire qualsivoglia contenitore presente nel mondo, perché spesso ci si trova a risparmiare spazio nell’inventario (gli slot dipendono dallo zaino equipaggiato) lasciando quindi in giro un sacco di armi che potrebbero essere utili in un secondo momento (se non volete craftarle nella fucina, ma occhio a conservare i materiali).
Per quanto riguarda le armi da mischia, queste vengono suddivise in contundenti e da taglio, ed è importante riconoscerne la differenza e la qualità perché durante le esplorazioni può capitare di far fronte a diverse problematiche. Le armi contundenti sono utilissime per danneggiare l’avversario facendolo subito mettere prono a terra, così da attivare l’esecuzione con la pressione contemporanea dei tasti [LB+X], mentre quelle da taglio smembrano con un alta probabilità di tagliare un arto o perfino la testa.
Il reperimento delle risorse in gioco è possibile frugando nei contenitori, tenendo premuto il tasto [Y], ma bisogna cercare di non fare di fretta al fine di fare tutto in modo silenzioso e letale. Oltre agli edifici infestati, dove è possibile trovare discrete ricompense, ci sono anche gli edifici dove si sta espandendo la Piaga del Sangue, a tutti gli effetti si tratta di nidi da distruggere per ottenere nuclei da fondere nelle cliniche per creare una cura.
Andando avanti e migliorando le proprie caratteristiche miglioreranno anche gli zombie presenti sulla mappa, che da semplici diventeranno prima rossi, con escrescenze, e poi colossi, tumuli e così via. Ognuno di loro ha delle caratteristiche uniche e vi garantiamo che sono particolarmente coriacei da uccidere se non preparati doverosamente per lo scontro.
Anche le orde sono lievemente migliorate e se ne vedono i frutti soprattutto nelle missioni secondarie legate alle enclavi vicine sparse per la mappa, visto che dargli il proprio aiuto non sempre si rivela un atto di altruismo giustificato o premiato degnamente. L’utilizzo della radio da campo, infine, concede al giocatore un attimo di respiro dall’esplorazione, indicando al modico costo di un pugno di influenza (35 punti) dei luoghi dove è possibile cercare delle risorse base.
Questo comando sale di punti influenza quando la richiesta verte sulla ricerca di altri superstiti, oppure sul cambio della mappa da una zona all’altra.
TECNICAMENTE INDIETRO
L’aspetto che più salta all’occhio, negativamente purtroppo, è quello riguardante il comparto tecnico. Facendo un’analisi sul codice di gioco fornito per la review su console Xbox One S, con cross play su PC, ci siamo accorti di come l’intera grafica soffra di effetti traballanti che spesso sfociano anche in fenomeni di clipping, texture che caricano in ritardo e stuck del personaggio nei luoghi meno indicati.
Il passaggio all’Unreal Engine ha permesso di lavorare su tanti piccoli dettagli utili a rendere il gioco gradevole da guardare, ma la resa finale complessiva non può dirsi certo soddisfacente al 100% qualora rimangano in piedi i problemi sopracitati. Fa storcere il naso, almeno per chi ci tiene, il fatto che su PC il gioco può essere scaricato e fruito godendo di tutta una serie di impostazioni dedicate per la sezione video avanzate, cosa che fa cambiare visivamente il gioco da una piattaforma all’altra come se fossero su due universi totalmente differenti.
Giocare il titolo in compagnia è più divertente che mai e la modalità cooperativa, fino a quattro giocatori, regala ai giocatori moltissimi momenti soddisfacenti, incentivati dalla possibilità di condividere le risorse in un’unica partita. In pratica l’host ospita i giocatori presi dalla lista amici e il matchmaking, almeno in questo senso, consente anche di trovarne altri disponibili nella rete (il parametro va scelto nei comandi del pannello radio). I giocatori che entrano nella partita si trovano nella stessa mappa del giocatore host e condividono anche il lotto sicuro, senza avere la possibilità di interagire con la comunità della propria partita. All’atto pratico, purtroppo, chi viene convocato nella partita può solo aiutare l’host senza poter produrre benefici utili alla propria comunità.
Secondo il nostro punto di vista, al contrario, sarebbe stato molto meglio gestire una partita dove i giocatori potevano introdurre la propria comunità inserendosi come vicini, così da poter intavolare un qualsivoglia commercio o interazione, così da migliorare notevolmente non solo la vita di chi hosta, ma anche quella del buon samaritano pronto ad aiutare il prossimo.
Voto
Redazione