Sword of Destiny
di
Le Spade del Destino incontrano una sorte infausta
Realizzare un buon action-game non appare in prima analisi come un obbiettivo particolarmente difficoltoso.
Basterebbe costruire un personaggio più o meno carismatico (possibilmente pettinato con i mortaretti e vestito in maniera singolare), equipaggiarlo di spada o analogo strumento offensivo, piazzarlo in uno scenario pseudo-fantasy (è questa la tendenza attuale, un decennio fa la scelta sarebbe ricaduta senza esitazione sui bassifondi urbani di periferia...) e scatenargli addosso un certo numero d'antagonisti; dopo aver aggiunto un'indispensabile selezione di mosse speciali, un sistema di telecamere che almeno ogni tanto riesca ad immortalare l'azione ed una trama dai toni apocalittici, sarebbe sufficiente shakerare il tutto e servire freddo su un pratico supporto ottico.
Evidentemente non è così che funziona, e Swords of Destiny ne è la riprova; Atari presenta un titolo che attinge a piene mani dall'affascinante repertorio immaginifico orientale e tenta di avvicinarsi ai paradigmi del beat'em up moderno, ma qualcosa lungo il cammino dello sviluppo deve essere andato storto.
Prima ancora del level design, del dettaglio ed estro artistico dell'impianto grafico o del sistema di controllo, viene un elemento determinante, di capitale importanza nell'economia di un gioco che si voglia fondare sulla fisicità del combattimento: lo studio delle collisioni. Swords of Destiny perde prematuramente la sua battaglia proprio su questo campo, proponendo un protagonista che interagisce in maniera poco convincente sia con il fondale nel quale è integrato, sia con i modelli poligonali degli avversari che è chiamato a sminuzzare; la scarsa calibrazione di salti e schivate (sballati nella gittata e negli atterraggi) e la farraginosa concatenazione delle combo (che spesso finiscono per andare a vuoto, perdendo il contatto con il loro originario obbiettivo), riescono insieme ad un comparto animazioni non propriamente curato a compromettere le fondamenta del gameplay e di conseguenza ad ostacolare il divertimento.
Per quanto concerne il resto dell'esperienza, ben poche sorprese attendono il giocatore, chiamato a raggiungere il termine di locazioni dimesse (anche se qualche scorcio visivamente piacevole non manca) e a premere ripetutamente i tasti d'attacco ogni qualvolta si renda indispensabile menare le mani; l'implementazione del lock-on non è certo quanto di più raffinato il genere possa offrire, ma tutto sommato riesce a dare una mano nell'annichilazione degli oppositori, che passa di solito per le combinazioni di colpi aeree. L'alternanza tra l'azione sulla terra ferma e le fasi volanti dovrebbe aggiungere una certa dose di brio, ma non riesce a catalizzare l'interesse e a soddisfare appieno, con tutta probabilità a causa dell'eccessiva approssimazione delle dinamiche di gioco. Prevedibili la presenza di un armamentario ampliabile (che fornirà nuove abilità o incrementerà l'efficacia di quelle preesistenti) e la possibilità di integrare i fendenti di lama con il lancio d'attacchi magici.
Realizzare un buon action-game non appare in prima analisi come un obbiettivo particolarmente difficoltoso.
Basterebbe costruire un personaggio più o meno carismatico (possibilmente pettinato con i mortaretti e vestito in maniera singolare), equipaggiarlo di spada o analogo strumento offensivo, piazzarlo in uno scenario pseudo-fantasy (è questa la tendenza attuale, un decennio fa la scelta sarebbe ricaduta senza esitazione sui bassifondi urbani di periferia...) e scatenargli addosso un certo numero d'antagonisti; dopo aver aggiunto un'indispensabile selezione di mosse speciali, un sistema di telecamere che almeno ogni tanto riesca ad immortalare l'azione ed una trama dai toni apocalittici, sarebbe sufficiente shakerare il tutto e servire freddo su un pratico supporto ottico.
Evidentemente non è così che funziona, e Swords of Destiny ne è la riprova; Atari presenta un titolo che attinge a piene mani dall'affascinante repertorio immaginifico orientale e tenta di avvicinarsi ai paradigmi del beat'em up moderno, ma qualcosa lungo il cammino dello sviluppo deve essere andato storto.
Prima ancora del level design, del dettaglio ed estro artistico dell'impianto grafico o del sistema di controllo, viene un elemento determinante, di capitale importanza nell'economia di un gioco che si voglia fondare sulla fisicità del combattimento: lo studio delle collisioni. Swords of Destiny perde prematuramente la sua battaglia proprio su questo campo, proponendo un protagonista che interagisce in maniera poco convincente sia con il fondale nel quale è integrato, sia con i modelli poligonali degli avversari che è chiamato a sminuzzare; la scarsa calibrazione di salti e schivate (sballati nella gittata e negli atterraggi) e la farraginosa concatenazione delle combo (che spesso finiscono per andare a vuoto, perdendo il contatto con il loro originario obbiettivo), riescono insieme ad un comparto animazioni non propriamente curato a compromettere le fondamenta del gameplay e di conseguenza ad ostacolare il divertimento.
Per quanto concerne il resto dell'esperienza, ben poche sorprese attendono il giocatore, chiamato a raggiungere il termine di locazioni dimesse (anche se qualche scorcio visivamente piacevole non manca) e a premere ripetutamente i tasti d'attacco ogni qualvolta si renda indispensabile menare le mani; l'implementazione del lock-on non è certo quanto di più raffinato il genere possa offrire, ma tutto sommato riesce a dare una mano nell'annichilazione degli oppositori, che passa di solito per le combinazioni di colpi aeree. L'alternanza tra l'azione sulla terra ferma e le fasi volanti dovrebbe aggiungere una certa dose di brio, ma non riesce a catalizzare l'interesse e a soddisfare appieno, con tutta probabilità a causa dell'eccessiva approssimazione delle dinamiche di gioco. Prevedibili la presenza di un armamentario ampliabile (che fornirà nuove abilità o incrementerà l'efficacia di quelle preesistenti) e la possibilità di integrare i fendenti di lama con il lancio d'attacchi magici.