Syberia 3
Se siete appassionati di avventure grafiche punta e clicca non potete non conoscere Syberia, la splendida avventura di casa Microids creata dal fumettista belga Benoit Sokal, incentrata sullo straordinario viaggio di Kate Walker in un mondo evocativo e coinvolgente fatto di straordinarie “visioni”, ambientazioni steampunk e storie tanto affascinanti quanto riflessive.
Dopo una pausa durata ben dodici anni il viaggio di Kate Walker giunge finalmente al termine, in quello che può definirsi a tutti gli effetti il testamento di un genere di cui, per un motivo o per un altro, si stanno di fatto perdendo le tracce.
Dove eravamo rimasti
Ci pare doveroso partire con una premessa: se siete a digiuno dei precedenti capitoli, giocare a Syberia 3 non sarà comunque un problema. Per quanto parte integrante di questo terzo capitolo, i fatti descritti in Syberia 1 e 2 non rappresentano, infatti, un dettaglio fondamentale nello svolgimento del gioco, lasciando ai più “esperti sul tema” l’opportunità di cogliere le frequenti citazioni fatte dai diversi protagonisti in corso d’opera (il cuore dell’automa Oscar e il nome dei Voralberg giusto per citarne due) e collegare meglio alcuni dei fatti su cui sarete portati ad investigare.
Lo stesso incipit del gioco rappresenta un vero e proprio esempio di quanto appena descritto, con la giovane avvocatessa Kate Walker in mezzo ad una sperduta regione della Siberia nella quale era giunta proprio a conclusione di Syberia 2.
Salvata dalla tribù nomade degli Youkol e trasportata in evidente stato di ipotermia all’interno di una struttura medica decisamente alternativa, Kate Walker si troverà suo malgrado al centro di una nuova avventura: aiutare una giovane guida a fuggire dallo stesso ospedale / prigione in cui lei stessa è rinchiusa e permettere al popolo Youkol di compiere il rituale che avviene ogni due decadi completando il lungo peregrinaggio verso il luogo di accoppiamento degli struzzi delle nevi di cui sono custodi.
Le intemperie e le strane creature che polano la regione non saranno tuttavia gli unici problemi con cui Kate Walker dovrà fare i conti: l’odio viscerale verso il popolo Youkol porterà infatti alcuni pericolosi individui ad usare ogni mezzo a disposizione per sabotare questo peregrinaggio, al fine di costringere questo pacifico popolo ad abbandonare le gelide terre siberiane una volta per tutte.
Addio punta e clicca, benvenuto(?) 3D
La novità principale di questo terzo capitolo della serie è indubbiamente rappresentato dall’abbandono del classico universo bidimensionale in favore di un più moderno 3D. Badate bene, moderno e non funzionale dato un risultato finale tutt’altro che soddisfacente.
Il problema di per sè non è tanto da imputare all’uso di ambienti di gioco “più moderni”, quanto piuttosto all’implementazione di un sistema di controllo davvero farraginoso, in grado di scontentare un po’ tutti.
In sostanza ci troviamo di fronte ad un sistema ibrido che prevede da un lato una discreta libertà nei movimenti e dall’altro una gestione alternativa dei punti di interesse (hotspot) a metà strada fra il vecchio (leggasi mouse) ed il nuovo, attivabili in questo caso solo in prossimità di determinati oggetti (e o persone) e gestibili attraverso l’uso combinato dello stick analogico di destra (o ancora del mouse nel caso stiate giocando con la versione PC) e dei relativi pulsanti di azione.
Di per sé la scelta non sarebbe nemmeno troppo sbagliata, se non fosse per un’implementazione a dir poco disastrosa. I movimenti di Kate Walker all’interno dell’ambiente circostante risultano infatti troppo legnosi e compassati (non mancheranno sovente i classici muri invisibili in grado di far saltare i nervi anche ad un santo), mentre la gestione dei punti di interesse appare purtroppo limitata sia dal sistema di inquadrature vero e proprio che soprattutto da un’errata gestione della risoluzione degli stessi enigmi, spesso legati alla necessità di passare attraverso determinati dialoghi (o azioni) a prescindere dal fatto che la soluzione possa essere già a portata di mano.
Tutto questo ha ovviamente il risultato di limitare gran parte del fascino di Syberia, da sempre incentrato proprio sull’atmosfera e sulla qualità degli enigmi. Allo stato attuale, affrontare l’avventura di Syberia 3 si riduce ad un continuo rimbalzo da un posto all’altro alla ricerca della sequenza di azioni giuste per attivare l’uso di determinati oggetti nei punti di interesse principali, lasciando alla gestione vera e propria dei dialoghi ed alla risoluzione stessa dei puzzle un ruolo fin troppo marginale.
Ed è un vero peccato perché la particolarità e la varietà degli enigmi, per quanto alle volte fin troppo semplici, è senz’ombra di dubbio all’altezza della situazione, così come la qualità dei dialoghi (in inglese opportunamente sottotitolati nella nostra lingua) e la caratterizzazione dei personaggi con cui dovremo interagire, fondamentali come sempre per accedere alle diverse location (tutte rigorosamente ispirate ai paesi dell’est europeo) che comporranno l’avventura principale.
Il lato oscuro di Unity
Dal punto di vista tecnico Syberia 3 non passerà sicuramente alla storia come uno dei titoli più performanti realizzati con la quinta interazione del motore Unity. Il problema a nostro modo di vedere non è tanto dovuto alla qualità in senso assoluto di Unity, quanto ad un’implementazione a dir poco deficitaria dove non mancano pericolosi passaggi a vuoto come imbarazzanti cali di framerate e tempi di caricamento talvolta inaccettabili anche in considerazione della natura tutt’altro che action del gioco.
I problemi non finiscono qui, perché a peggiorare ulteriormente le cose ci pensano animazioni a dir poco approssimative ed un sistema di inquadrature al limite del decente, in cui non mancheranno situazioni paradossali con la povera Kate costretta a fare avanti e indietro più e più volte all’interno della stessa location a causa di un sistema che spesso e volentieri tenderà a perdere il focus sull’oggetto o l’ambiente verso il quale stava puntando.
A risollevare parzialmente le cose ci pensa, fortunatamente, la qualità –altissima- degli scorci ideati da Benoit Sokal, così come la splenda colonna sonora a corredo, sempre piuttosto evocativa oltreché a tema con l’ambientazione del gioco.
In ultimo ci pare doveroso aprire un capitolo a parte per quanto concerne i dialoghi, per l’occasione proposti nella sola lingua inglese. Se è vero come è vero che al giorno d’oggi giocare ad un titolo in lingua originale non rappresenta certo uno scandalo, è altrettanto vero che laddove si scelga di dare l’opportunità di utilizzare i sottotitoli nella propria lingua lo si debba fare per semplificare la vita del giocatore e non per complicarla con un sistema di sottotitoli a scorrimento verticale imbarazzante, realizzato sfruttando una porzione di schermo (leggasi anche altezza della finestra) talmente esigua da impedirne un uso quantomeno appropriato.