Tales of Monkey Island: Launch of the Screaming Narwhal

di Davide Ottagono
Ah, Guybrush, Guybrush. Proprio su di lui vorremmo spendere qualche altra parolina.
Sappiamo tutti chi sia, o cosa rappresenti. Ma Telltale sarà realmente riuscita a cogliere ogni anfratto della sua grandiosità? Prova superata, per fortuna. Ricreare un giovane con la battuta sempre pronta come Guybrush non sarà stato uno scherzo, ma sapevamo che Telltale - tra tutte - ci sarebbe riuscita al meglio. Proprio come una splendente fenice, il maldestro tagliagole partorito da Ron Gilbert é tornato al mondo dopo un sonno quasi eterno, impuntato a riconquistare il posto che gli spetta di diritto. Riconquista, resurrezione: queste sono le parole chiave di Tales of. Il protagonista stesso dimostra la volontà degli sviluppatori di ripescare a piene mani nei successi passati. Giaccone blu, camicia bianca e pizzetto sbarazzino: esattamente il medesimo stile già apprezzato nel secondo capitolo della saga. Secondo capitolo che, non a caso, é anche l'incarnazione più apprezzata dell'intera Isola delle Scimmie. Pura coincidenza o velato portafortuna?

Scaramanzia o no, non sono di certo i piccoli rimandi a determinare la grandezza di un titolo. A maggior ragione se stiamo parlando del seguito ufficiale dell'avventura grafica più chiacchierata di sempre. Abbiamo bisogno di enigmi, e anche di belli tosti, per saziare la fame accumulatasi in anni e anni di freddo torpore. E qui, lo ammettiamo, sono partite le prime preoccupazioni. Conosciamo Telltale, e nonostante riponessimo massima fiducia nei suoi sceneggiatori, stessa cosa non potevamo fare per i progettisti dei rompicapi, scaduti troppo spesso in assurdi indovinelli dove la fortuna (o la pazienza di testare ogni più stupida possibilità) sostituiva una qualsiasi linea di ragionamento. La paura di ritrovarsi tra le mani un Monkey Island maggiormente basato sulla vivacità del copione che sulla vera anima del gioco era più che legittima, visti i precedenti della software house, non trovate? Eppure, ci siamo dovuti ricredere. Ambientazioni vastissime, decine di personaggi e oggetti con cui interagire, milioni di dialoghi da intraprendere e - gioia delle gioie - un paio di mappe del tesoro da decifrare. Ecco quello che volevamo: un perfetto connubio tra puzzle “fisici” ed altri più logici. Che le dritte di papà Gilbert siano servite allo scopo, dopotutto? L'intenzione dei “cantastorie” di mantenere un alto profilo di gameplay, così da controbilanciare una freschissima sceneggiatura, la si può notare un po' ovunque. Dalla rinnovata possibilità di combinare oggetti alle ingegnose fughe da stanze chiuse, dagli intricati codici da decifrare alle enormi soddisfazioni ad ogni ulteriore passo avanti.




Impantanarsi é tuttavia difficile, per due motivi piuttosto basilari. In primis, un illuminante sistema ad indizi, comunque disattivabile in ogni momento (in caso non vogliate spintarelle di alcun tipo). Ad ogni tot di minuti trascorsi a girare in tondo, infatti, il nostro Guybrush ci indirizzerà vagamente sul giusto cammino da intraprendere. Non parliamo di una vera e propria risposta ad ogni problema, attenzione, ma di qualche traccia messa lì giusto per guidarci a grandi linee sulla prossima zona da perlustrare. In secondo luogo, tutto ha un senso. Basta spremere un po' le meningi, ragionare con cognizione di causa, e supererete ogni ostacolo. Peccato che, a rompere le uova nel paniere, ci si mettano i controlli. Abbandonando il tanto amato (e intramontabile, a nostro parere) punta e clicca, Tales of segue il nuovo percorso già tracciato da Wallace & Gromit: l'utilizzo contemporaneo di mouse e tastiera. Se già non eravamo riusciti a digerire questa struttura in passato, non vediamo perché ora sarebbe potuto cambiare qualcosa. E, in effetti, così é stato.

I movimenti del protagonista sono quindi relegati alle frecce direzionali, mentre un click sinistro del mouse gli permetterà di interagire con gli hot spots sparsi per lo scenario. Cliccare su un punto vuoto, come avrete già capito, non é un'azione riconosciuta dal programma. Particolare, certo, ma niente di così complesso. Almeno fino a quando non entra in gioco la corsa, deputata a Shift. Con le mani divise tra tastiera e “topolino”, arrivare allo stesso tempo al tasto di corsa é un'impresa da veterani circensi. La situazione migliora un po', invece, con la seconda configurazione di controlli. É possibile spostare Guybrush anche abbandonando la tastiera, in fin dei conti, ma il tutto richiede molta abitudine. Un click singolo con l'orecchio sinistro del mouse, come detto prima, non porterà a nulla; ma la pressione continuata sì. Così, senza lasciare il tasto, saremo capaci di “trascinarci” in giro per lo scenario in tempo reale. Un'altra soluzione piuttosto scomoda, viste le ambientazioni ristrette, ma almeno non confinerà la corsa (stavolta, tramite click destro) ai più snodabili. Puntare e cliccare, come si é fatto negli ultimi venti anni, era davvero così fuori luogo?

La natura episodica di Tales of si rispecchia anche sul comparto grafico. Come era ovvio pensare, il poco tempo a disposizione dello staff (parliamo comunque di una manciata di mesi dall'inizio dei lavori) non ha permesso a Launch of Screaming Narwhal di raggiungere chissà che vette. Ma sapete che vi diciamo? Che non era per niente necessario. Sono lo stile, le forme affusolate, le divertenti animazioni a colmare questo vuoto. Monkey Island non é mai stato il tipo da spingersi a limiti mai esplorati per mostrare esclusivamente forza bruta. No, affatto. Così come in passato, ci ritroviamo di fronte ad un'opera colorata, con atmosfera ispirata e bozzetti sobri. Certo, i fan che avrebbero preferito una riesumazione delle situazioni più tetre rimarranno delusi. Telltale ha infatti voluto seguire il sentiero già tracciato da Monkey Island 4 e, in minor parte, dal terzo capitolo. Isole tropicali soleggiate, rigogliose foreste da esplorare, buffi personaggi da incontrare ed improbabili macchinari da mettere in moto.

Così come ogni avventura grafica, anche Tales of si beerà di una scarsa pesantezza di calcolo per permettere a tutti noi di fruirne al meglio. E se anche questo non salverà il vostro (magari vecchio) PC dal sovraccaricarsi, potrete benissimo scalare gli orpelli visivi “superflui” dall'apposito menù opzioni. Insomma, di scuse per non comprarlo ne avrete realmente poche. Ciliegina sulla torta: il ritorno in grande stile di Micheal Land, storico compositore della saga. Sarebbe mai stato un vero Monkey Island senza le colonne sonore che tanto lo hanno reso famoso? Non scherziamo. Magari avremo preferito qualche pezzo nuovo per l'occasione, trattandosi in linea di massima di riadattamenti di antiche conoscenze, ma comunque non abbiamo motivo di lamentarci.

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