Tales of Monkey Island: Rise of Pirate God
di
“E che la rinascita del Dio Pirata possa concludere in bellezza questa scintillante serie episodica”. É proprio così che, carichi di speranze e bei pensieri, abbiamo concluso la recensione di Trial and Execution of Guybrush Threepwood. Quarto capitolo della mini-serie Telltale, quest'ultimo spostava il viaggio di Guybrush verso orizzonti mai sperimentati prima: non solo ironia ma anche pesanti colpi di scena per lui, oltre che scomparse premature ed inaspettate. Ed é con grande delusione che ci sentiamo di dire di aver festeggiato troppo presto. Rise of Pirate God é tra noi, abbiamo fatto di tutto per arrivare all'attesissimo epilogo nel minor tempo possibile, e poi... e poi nulla.
Un leggero senso di amarezza ci pervade durante i titoli di coda, impossibile negarlo. Dopo quattro capitoli che, seppur con alti e bassi, sono riusciti ad incollarci al monitor del PC per i motivi più disparati, possiamo mai trovarci dinnanzi ad un finale sotto le aspettative? Così sembrerebbe. Ma vediamo di andare con ordine. Le battute conclusive della quarta “puntata” hanno portato ad un vero e proprio stravolgimento del copione: la cacciatrice Morgan LeFlay é stata assassinata a tradimento da un nemico non meglio specificato, mentre LeChuck si é rivelato essere nient'altro che un poco di buono. Raggirati amici e nemici, l'arci-nemesi di Guybrush é tornata in scena più assetata di sangue che mai: unica mente dietro un complotto ancora nebuloso, lo zombie entra in possesso una volta per tutte della Esponja Grande, incanalando la magia voodoo sparsa nei Caraibi nuovamente nel proprio corpo. Non prima di colpire alle spalle l'ignaro Guybrush a morte. Un Guybrush che, nonostante la titubanza iniziale, solo ora aveva iniziato a fidarsi di questo “nuovo” LeChuck. Erroneamente, da quanto avrete capito.
Il protagonista abbandona così il mondo dei vivi, lasciando dietro di sé una moglie intenzionata a salvare ancora il mondo (questa volta, da sola) e tanti, tantissimi misteri insoluti. Come mai LeChuck cercava la spugna? La storia di una Voodoo Lady “burattinaia”, vera e unica nemica della saga intera, aveva qualche fondamento? In un'avventura divisa tra regno spirituale e materiale, Guybrush dovrà trovare da sé una risposta ad ogni quesito rimasto irrisolto, tra vecchie conoscenze, insperati cambi di amicizie e un'atmosfera che si fa sempre più opprimente ad ogni passo macinato. Così come nel prequel, anche in Rise of Pirate God non c'é spazio per ridere. O, quantomeno, non solo per quello. Guybrush non ha da salvare solo la propria pelle (o, per meglio dire, la propria anima) o quella degli interi Caraibi: c'é il suo matrimonio con Elaine in ballo. Una Elaine che, nel corso della storia, si é allontanata sempre più da lui, fino a scomparire del tutto. E non é un caso che alcune delle scene clue di Rise of Pirate God siano incentrate sul concetto di coppia e su un amore solo indebolito, ma mai scalfito. Peccato che oltre ad un paio di spezzoni sicuramente toccanti, il copione di questo quinto capitolo abbia ben poco da offrire.
Prevedibile e a tratti lacunoso, Rise of Pirate God procede liscio fino al The End con rivelazioni il più delle volte scontate o banali. Addirittura i misteri che più richiedevano un chiarimento sono stati messi in disparte per chissà quale arcano motivo. In attesa di una seconda stagione, probabilmente, considerato il finale che non solo lascia aperto un portone a dei seguiti, ma che fa sorgere ancora più domande di quante già non ce ne fossero in precedenza. Il bello é che non é prevista alcuna seconda stagione. O almeno non in tempi brevi, visto che la prossima saga ad essere ripresa sarà quella di Sam&Max, come ufficialmente confermato in questi stessi giorni. E acquistare Rise of Pirate God con la convinzione di avere tra le mani il botto finale di un'ottima saga, solo per poi ritrovarsi con un capitolo d'intermezzo tra il quarto ed una nuova serie (che non si sa quando arriverà), non é chissà quale grande gioia.
Gli enigmi, dal proprio canto, non fanno molto per risollevare la situazione generale. Basati quasi esclusivamente sull'interazione di un oggetto A con un elemento B, cadono all'istante in una semplicità di fondo a tratti disarmante. Le ambientazioni esplorabili sono numerose, certo, ma raramente risolvere il rompicapo del posto richiederà spostamenti chilometrici. Qualche simpatico duello ad insulti ed uno scontro finale a suo modo poetico poco aiutano a rendere il tutto più interessante.
Ottimo il lavoro svolto sugli scenari, invece, sia per quanto riguarda il disegno che per l'atmosfera. L'oltretomba é tetra e solitaria come l'immaginereste, e non sono di certo i suoi strambi abitanti a rovinarne il feeling. L'ispirazione viene un po' a mancare una volta “risorti”, invece. Motivazione? Il solito, fastidioso backtraking. Backtraking che, a dirla tutta, speravamo di aver abbandonato con Trial and Execution. Per chi non masticasse la lingua, spieghiamo quale malefico concetto si annida dietro suddetta parola, innocua solo all'apparenza. Parliamo dell'eccessiva riproposizione di zone già visitate in precedenza (nei capitoli precedenti, in questo caso): nient'altro che una “scusa” degli sviluppatori per riadoperare lavoro già fatto e per alleggerirsi un carico altrimenti impossibile da reggere (per limiti di tempo, o per pura svogliatezza). E rieccoci qui: dopo un quarto episodio che, per la primissima volta in assoluto, faceva scadere la saga nel tunnel del riciclato, anche Rise of the Pirate God lascia il segno (in negativo, si intende), per il medesimo motivo.
Un leggero senso di amarezza ci pervade durante i titoli di coda, impossibile negarlo. Dopo quattro capitoli che, seppur con alti e bassi, sono riusciti ad incollarci al monitor del PC per i motivi più disparati, possiamo mai trovarci dinnanzi ad un finale sotto le aspettative? Così sembrerebbe. Ma vediamo di andare con ordine. Le battute conclusive della quarta “puntata” hanno portato ad un vero e proprio stravolgimento del copione: la cacciatrice Morgan LeFlay é stata assassinata a tradimento da un nemico non meglio specificato, mentre LeChuck si é rivelato essere nient'altro che un poco di buono. Raggirati amici e nemici, l'arci-nemesi di Guybrush é tornata in scena più assetata di sangue che mai: unica mente dietro un complotto ancora nebuloso, lo zombie entra in possesso una volta per tutte della Esponja Grande, incanalando la magia voodoo sparsa nei Caraibi nuovamente nel proprio corpo. Non prima di colpire alle spalle l'ignaro Guybrush a morte. Un Guybrush che, nonostante la titubanza iniziale, solo ora aveva iniziato a fidarsi di questo “nuovo” LeChuck. Erroneamente, da quanto avrete capito.
Il protagonista abbandona così il mondo dei vivi, lasciando dietro di sé una moglie intenzionata a salvare ancora il mondo (questa volta, da sola) e tanti, tantissimi misteri insoluti. Come mai LeChuck cercava la spugna? La storia di una Voodoo Lady “burattinaia”, vera e unica nemica della saga intera, aveva qualche fondamento? In un'avventura divisa tra regno spirituale e materiale, Guybrush dovrà trovare da sé una risposta ad ogni quesito rimasto irrisolto, tra vecchie conoscenze, insperati cambi di amicizie e un'atmosfera che si fa sempre più opprimente ad ogni passo macinato. Così come nel prequel, anche in Rise of Pirate God non c'é spazio per ridere. O, quantomeno, non solo per quello. Guybrush non ha da salvare solo la propria pelle (o, per meglio dire, la propria anima) o quella degli interi Caraibi: c'é il suo matrimonio con Elaine in ballo. Una Elaine che, nel corso della storia, si é allontanata sempre più da lui, fino a scomparire del tutto. E non é un caso che alcune delle scene clue di Rise of Pirate God siano incentrate sul concetto di coppia e su un amore solo indebolito, ma mai scalfito. Peccato che oltre ad un paio di spezzoni sicuramente toccanti, il copione di questo quinto capitolo abbia ben poco da offrire.
Prevedibile e a tratti lacunoso, Rise of Pirate God procede liscio fino al The End con rivelazioni il più delle volte scontate o banali. Addirittura i misteri che più richiedevano un chiarimento sono stati messi in disparte per chissà quale arcano motivo. In attesa di una seconda stagione, probabilmente, considerato il finale che non solo lascia aperto un portone a dei seguiti, ma che fa sorgere ancora più domande di quante già non ce ne fossero in precedenza. Il bello é che non é prevista alcuna seconda stagione. O almeno non in tempi brevi, visto che la prossima saga ad essere ripresa sarà quella di Sam&Max, come ufficialmente confermato in questi stessi giorni. E acquistare Rise of Pirate God con la convinzione di avere tra le mani il botto finale di un'ottima saga, solo per poi ritrovarsi con un capitolo d'intermezzo tra il quarto ed una nuova serie (che non si sa quando arriverà), non é chissà quale grande gioia.
Gli enigmi, dal proprio canto, non fanno molto per risollevare la situazione generale. Basati quasi esclusivamente sull'interazione di un oggetto A con un elemento B, cadono all'istante in una semplicità di fondo a tratti disarmante. Le ambientazioni esplorabili sono numerose, certo, ma raramente risolvere il rompicapo del posto richiederà spostamenti chilometrici. Qualche simpatico duello ad insulti ed uno scontro finale a suo modo poetico poco aiutano a rendere il tutto più interessante.
Ottimo il lavoro svolto sugli scenari, invece, sia per quanto riguarda il disegno che per l'atmosfera. L'oltretomba é tetra e solitaria come l'immaginereste, e non sono di certo i suoi strambi abitanti a rovinarne il feeling. L'ispirazione viene un po' a mancare una volta “risorti”, invece. Motivazione? Il solito, fastidioso backtraking. Backtraking che, a dirla tutta, speravamo di aver abbandonato con Trial and Execution. Per chi non masticasse la lingua, spieghiamo quale malefico concetto si annida dietro suddetta parola, innocua solo all'apparenza. Parliamo dell'eccessiva riproposizione di zone già visitate in precedenza (nei capitoli precedenti, in questo caso): nient'altro che una “scusa” degli sviluppatori per riadoperare lavoro già fatto e per alleggerirsi un carico altrimenti impossibile da reggere (per limiti di tempo, o per pura svogliatezza). E rieccoci qui: dopo un quarto episodio che, per la primissima volta in assoluto, faceva scadere la saga nel tunnel del riciclato, anche Rise of the Pirate God lascia il segno (in negativo, si intende), per il medesimo motivo.