Tchia, un viaggio in Nuova Caledonia – Recensione PC
Awaceb scrive una piccola lettera in chiave videoludica dal significato importante
Da qualche anno a questa parte abbiamo imparato che un videogioco, a prescindere dal modo in cui viene concepito, non deve necessariamente distinguersi per il suo gameplay. Anzi, tutt’altro. Per gli addetti ai lavori, accompagnati parallelamente dai semplici appassionati, il superamento di questa “vecchia” linea di confine lo abbiamo vissuto con l’arrivo di titoli come Firewatch, o Last Day of June, e perché no, anche The Town of Light insieme a molti altri.
Prodotti pensati per non affidarsi a un gameplay particolare o innovativo ma, piuttosto, pensati con l’intento di esprimersi attraverso un processo di comunicazione immersivo. Quando si dice “la storia è più importante del resto”, ecco, per i walking simulator diciamo che questo diventa più di un semplice mantra.
Ma questo discorso come ci porta a Tchia, ultimo lavoro del gruppo Awaceb?
Tchia, una finestra sulla Nuova Caledonia
Come detto poc’anzi, esistono prodotti capaci di esprimersi semplicemente grazie alla narrazione. Ne apprezziamo il contesto dall’inizio alla fine senza troppa fatica, anche quando si tratta di strutture non eccessivamente arzigogolate, magari supportate da elementi scenici come plot twist o finali multipli.
In Tchia è tutto molto più semplice. Ci troviamo infatti nell’arcipelago tropicale di Nuova Caledonia, un posto paradisiaco ricco di isole affascinanti in cui facciamo la conoscenza della piccola protagonista, che porta lo stesso nome del videogioco, alle prese con il rapimento del padre avvenuto per mano di Pwi Dua, un pirata che di temibile ha solo una camicia indosso dal dubbio gusto.
La storia di Tchia viene raccontata da un’anziana signora del posto, intenta davanti a un fuoco, e un pubblico di giovani, nel fare le parti del narratore, sempre pronto quando necessario a enfatizzare le prodezze della giovane, nonché il suo forte attaccamento alle tradizioni locali. Sembra quasi di assistere all’introduzione di Oceania, prodotto d’animazione Disney che fa un po’ la stessa cosa, sfruttando per l’appunto il viaggio come elemento attivo del racconto.
Tchia è un po’ come Vaiana. Entrambe si muovono per mezzo di una barca a vela, e se la seconda può contare sulla compagnia di personaggi divertenti, e di un Dio armato di amo con la voce di Dwayne Johnson, la prima può invece contare su un potere innato, ovvero la capacità di assumere il controllo di oggetti e animali per un breve periodo di tempo.
Tchia, la semplicità come forma d'espressione
A supportare un minimo il comparto narrativo, come detto non complesso, ma anzi piacevolmente fruibile da un pubblico trasversale, ci pensa il gameplay, che a tutti gli effetti parte dal presupposto di essere semplice oltre ogni ragionevole dubbio. Durante il tutorial apprendiamo che Tchia può effettuare diverse azioni nel mondo coloratissimo della Nuova Caledonia: oltre a muoversi, saltare e nuotare, il nostro giovane alter ego può anche planare con un aliante, può arrampicarsi sulle pareti nonché esplorare il mondo di gioco, chiaramente raccogliendo gli oggetti richiesti dalla missione di turno.
Procedendo oltre emergono nuove caratteristiche simpatiche, come il poter suonare un ukulele per far cambiare l’orario presso i falò (fa sorridere perché fa tanto soulslike, mentre qui si tratta di semplici punti di salvataggio, e pure piacevoli soste), oppure fare amicizia con gli altri personaggi che popolano il territorio di Nuova Caledonia.
Non esistono particolari elementi pensati per mettervi in difficoltà, anzi. Gli unici nemici sono i Maano, esseri fatti di ritagli di stoffa che si muovono come i palloncini skydancer a forma di tubo (avete presente?). Per sconfiggerli potremo usare una semplice … fionda! Una di quelle armi che farebbero comodo persino a Duke Nukem, qui invece utilizzata per sconfiggere i Maano e far cadere qualche noce di cocco da mangiare.
L’altro elemento di gameplay, forse l’unico apparentemente originale, è il Salto dell’Anima, per l’appunto quel particolare potere che Tchia usa per impossessarsi di oggetti e animali. Ai fini del gioco non c’è chissà quale applicazione, ed è un peccato constatare che la possessione degli animali non porta a nulla di particolare, tipo magari usare un granchio per nuotare sott’acqua senza subire i problemi della respirazione. In parte lo fai, ma per così breve tempo che forse non ne vale nemmeno la pena.
L’ukulele viene invece usato come strumento adatto per ogni occasione, che oltre a cambiare l’orario servirà persino a cambiare il meteo, attirare animali selvatici o far comparire oggetti utili alla protagonista. Tchia può navigare grazie alla sua piccola imbarcazione e orientarsi grazie a una bussola, elemento che abbiamo trovato perfettamente in linea con il contesto del gioco.
Tramite la mini-mappa potremo seguire il nostro alter ego nel suo viaggio e, secondo noi, gli sviluppatori hanno fatto una scelta intelligente nel fare in modo di non poter rilevare Tchia sulla mappa. In questo modo dovremo orientarci grazie alle nostre capacità, e non preoccupatevi se farete qualche errore di troppo, perché alla fine dei conti il game over in questo gioco non esiste. Al massimo dovrete solo abituarvi a comparire presso l’ultimo falò visitato.
Tchia, un mare di colori
A chiudere questa disamina non serve altro che menzionare il comparto grafico del titolo, che sicuramente non griderà al miracolo in merito a prodezze tecniche o supporti a tecnologie avanzate, cercando al contrario di restare terra terra in perfetta linea con il budget di produzione.
Tchia è infatti coloratissimo, cerca di assomigliare a un cartone animato con le sue forme e i suoi effetti visivi, tant’è che gli stessi animali presentano connotazioni fantasiose. Fa piacere però sottolineare l’appartenenza del prodotto a un contesto reale, tant’è che si respira tanta cultura e tradizioni popolari, quel mix perfetto per garantire al giocatore anche un processo di immersività naturale quanto divertente.
Tecnicamente tutto viene supportato da una localizzazione in lingua italiana, mentre i dialoghi alternano voci in francese e drehu, che non dispiacciono e nemmeno stonano.