The Dark Pictures Anthology: The Devil in me, la recensione
Una chiusura in crescendo per l'avventura horror di Bandai Namco
La prima stagione della saga di The Dark Pictures Anthology chiude col botto e lo fa nel suo stile, con un gioco che ci ha tenuti incollati allo schermo come forse non era accaduto con i precedenti e che rivela un finale tutto da scoprire e da gustare. Il nuovo capitolo “The Devil in me” rivela l’assoluta bontà dei progressi enormi fatti da Supermassive Games sin dagli albori di “Man of Medan” per giungere a questo finale di stagione in un concentrato di terrore e pura ansia.
Come ogni gioco della saga anche questo come i precedenti si basa su fatti storici realmente accaduti. Protagonista assoluto della vicenda è il primo serial killer della storia americana, il celeberrimo Henry Howard Holmes. “L’arci demonio” (soprannome quanto mai azzeccato) si macchiò verso la fine del XIX secolo di oltre duecento omicidi, anche se il numero preciso non è mai stato accertato. La gran parte dei suoi efferati crimini vennero commessi nel suo “castello”, un edificio imponente a Chicago. Grazie ad una serie di modifiche delle strutture interne Holmes rese questo palazzo un vero e proprio labirinto, un dedalo di camere che costituiva una perfetta macchina mortale per chiunque vi si addentrasse.
Le camere erano infatti collegate tra di loro da passaggi segreti, muri scorrevoli, stanze insonorizzate, spioncini nonché scale e corridoi che terminavano nelle mura oltre che botole che si aprivano a comando facendo scivolare le ignare vittime in cantina, dove il crudele assassino torturava molte delle sue prede con dell’acido corrosivo. Ogni stanza era dotata di fori che potevano all’occorrenza emanare gas ed Holmes aveva foderato tutti i muri con l’amianto in modo tale che, se avesse voluto dar fuoco ad una stanza, il suo incendio non si sarebbe propagato al di fuori di essa per via della combustione col gas. Proprio il “castello della morte” di Holmes è il luogo della nostra avventura in “The Devil in me”. La troupe della Lonnit Entertainment sta affrontando una crisi finanziaria e creativa nel realizzare l'ultimo episodio di una serie sui serial killer americani. A sbloccare la situazione arriva un invito da Granthem Du'Met, un ricco architetto e collezionista.
L'uomo comunica loro di aver ereditato da un parente appassionato di serial killer un hotel le cui camere riproducono fedelmente quelle del Castello della morte. L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire ed i nostri protagonisti (Charlie, Jamie, Erin, Kate e Mark) approdano in questo luogo pieni di sogni per salire alla ribalta del grande pubblico ma ignari di ciò che li attenderà. Il patron della dimora, il signor Du'Met si mostra sin da subito sfuggivo, evasivo e con molta impazienza di condurre i suoi ospiti all’interno della struttura. Dopo aver dato loro appuntamento per cena, il signor Du'Met viene visto scappare in tutta fretta e furia con sua figlia da Jamie tramite il traghetto, unica via di accesso e fuga dall’isola. È da questo momento in poi che la nostra troupe si troverà costretta vivere ciò che molte vittime di Holmes hanno passato più di un secolo prima.
Colui che è fuggito in realtà si rivelerà solo un burattino nelle mani del vero serial killer. All’interno del castello della morte la nostra troupe verrà in men che non si dica divisa per colpa dell’assassino che ci si aggira dentro. Ci ritroveremo ben presto a fronteggiare non solo chi vuol farci la pelle ma soprattutto persi, sprovvisti e disorientati contro l’infernale congegno che nella struttura fa apparire muri dove prima c’erano stanze, botole dove il pavimento sembrasse saldo e vicoli ciechi là dove sembrasse esserci una possibilità di fuga. Il fanatismo del nostro antagonista non lo ha portato solo a creare una fedelissima riproduzione del castello di Holmes ma addirittura a mascherarsi proprio con le sembianze del mostro nativo di Gilmanton, nonché ad utilizzare le sue stesse tecniche di tortura e di morte per disfarsi dei suoi oppressi.
Ciò che abbiamo apprezzato maggiormente di quest’ultimo capitolo della prima stagione è proprio quell’atmosfera ansiogena che non rivivevamo dai tempi di “Man Of Medan”. Un’ansia che ti resta incollata dall’inizio alla fine, dove i corridoi pieni di insidie e trappole nascondevano lo stesso terrore dei pontili o degli angusti spazi della SS Ourang Medan. Importanti, inoltre, sono le novità introdotte all’interno di quest’ultimo capitolo. Nei giochi dell’antologia di Dark Pictures è sempre stato necessario esplorare gli scenari per svelarne i mortali segreti. “The Devil in Me” fa un ulteriore passo in avanti, offrendo una serie di possibilità inedite per interagire con l'ambiente.
Oltre a spingere e tirare gli oggetti per aprire passaggi o sfuggire ad alcune situazioni di pericolo, le nuove abilità consentiranno di arrampicarsi per raggiungere aree inaccessibili, infilarsi nei passaggi più angusti per accedere a stanze segrete, saltare baratri, tenersi in equilibrio su travi e alberi caduti, e molto altro. Infine, è stata aggiunta la possibilità di correre, oltre che camminare, consentendo di esplorare gli scenari ad un ritmo più congeniale e meno passivo. Se già in “Dark of Ashes” avevamo visto un aumento temporale dell’avventura ciò è stato ancor più prolungato in “The Devil in me” dove avremo bisogno di almeno sette ore per vivere pienamente gli orrori del castello della morte.
Novità assoluta è anche la presenza di un inventario che ci permette di conservare e tenere a portata di mano gli strumenti trovati nella nostra avventura, nonché un oggetto specifico per ciascun personaggio. La nostra Kate, per esempio, può usare la sua matita per annerire i fogli di carta, evidenziando messaggi nascosti. Charlie ha con sé un biglietto da visita utile per aprire le serrature dei cassetti mentre Jamie può riparare i quadri elettrici con il suo multimetro. Mark ha una videocamera di cui può servirsi per raccogliere prove dei crimini. Erin, infine, può ricorrere al suo microfono direzionale per sentire attraverso i muri. Alcuni di questi oggetti possono essere modificati, persi, ceduti ad altri personaggi, o anche rompersi. Il modo in cui vengono usati può cambiare in modo radicale la storia, causando la morte di qualcuno o evitandola, quindi meglio riflettere prima di agire.
Ciò che impareremo ben presto è che, proprio come H. H. Holmes, il nostro assassino ama alla follia giocare con le sue vittime e per uscire vivi da quest’incubo dovremo batterlo in astuzia. All’interno del castello troveremo infatti enigmi di ogni sorta, come codici da decifrare, quadri elettrici da riparare o ingannevoli labirinti nei quali ci addentreremo. L’attenzione in “The Devil in me” è per forza di cose costretta a rimanere all’erta e bisognerà essere pronti a tutto per evitare che qualcuno soccomba. Nota assolutamente gradita è stata quella di avere finalmente un sonoro che, a differenza del precedente capitolo “Dark of Ashes”, riesce finalmente a trasmettere quel senso di angoscia, di ansia e di pura claustrofobia riconducibile ad un vero e proprio hotel infernale, dove anche il più piccolo rumore sa trasmettere la differenza nei dettagli.