The Evil Within

di Luca Gambino

The Devil in I



“Che palle voi redattori..se non trovate le somiglianze tra due giochi non siete contenti!”.

La lamentela, espressa da parte di un amico di chi scrive, arriva al centesimo “come in Resident Evil 4”, pronunciato nel corso di una breve disamina del gioco in oggetto. Ed é veramente complicato parlare di Evil Within senza tirare in ballo l'episodio numero 4 della saga di Resident Evil. Effettivamente, per il buon Mikami, sembra che il tempo si sia congelato proprio al 2005 e alla sua ultima creazione in casa Capcom. Una creazione che, ai tempi, fu capace di dare una vera svolta al settore dei survival horror, con un deciso cambio di rotta che é stato poi il vero metro di paragone del genere da lì in avanti.

E' altrettanto vero, però, che sono passati quasi dieci anni da quella rivoluzione e presentarsi oggi con un progetto come Evil Within senza una vera idea innovativa alla base, fa quasi gridare allo scandalo. E' davvero impossibile guardare con occhio critico il prodotto dei Tango Gameworks senza trovare decine di punti di contatto con Resident Evil 4: ambientazioni, approccio, palette cromatica e tanto altro. Un livello così elevato di coincidenze che trasformano una dovuta ispirazione ad uno dei titoli più riusciti della saga horror per eccellenza, in una ammissione di colpa per una certa mancanza di sostanza.



Ma ritorniamo alla domanda di base: com'é questo The Evil Within? Mettiamola così: se non vi é piaciuto Resident Evil 4, difficilmente vi piacerà. Se, al contrario l'avete amato, potrebbe avere materiale a sufficienza per intrattenervi. Una cosa, però, deve essere chiara: non c'é innovazione, non c'é nessun tipo di riscrittura dei survival horror e, anzi, non c'é survival horror. Più che una nostra affermazione, riportiamo quanto dichiarato dallo stesso Mikami qualche tempo che, puntualizzando sul proprio operato per questa sua ultima creazione (o forse giusto per metter le mani avanti), fa una precisa disamina su cos'é il Survival Horror e su cosa é invece l'Action Horror, genere a cui fa riferimento quando parla di Evil Within.

Il problema é che a qualsiasi genere di appartenenza voglia far convogliare questo titolo, manca sempre un ingrediente: l'horror. Che sia survival, action o Peppa Pig Horror, manca sempre la componente principale del piatto. Difficile infatti avvertire un qualsiasi senso di disagio, ansia, paura, tensione, chiamatela come volete, all'interno di The Evil Within. Soprattutto dopo che il genere ha conosciuto un vera e propria evoluzione in questo senso grazie a titoli come Outlast, PT, Alien Isolation dove, di contro, la sensazione di continua incertezza riesce a essere il perno centrale dell'intera esperienza di gioco.

Probabilmente Mikami considera horror tutto ciò che é ricoperto da abbondanti litri di sangue, e membra (non con la “i”) sparse praticamente lungo tutti i livelli di gioco. Sotto questo aspetto Evil Within non si risparmia, presentando un livello “ematico” davvero fuori dalla norma, anche per un titolo di questo genere. Peccato però che a parte questo, sono davvero rari i momenti dove si avverte un vero coinvolgimento emotivo, dove il cuore scalpita per un rumore sinistro in fondo al corridoio o per un mostro che sai essere dietro di te ma che non riesci a vedere.



Al contrario, l'incedere all'interno delle 15 ore di gioco (ma possono essere facilmente 20 se siete maniaci dei collectibles) é piuttosto lineare sotto questo aspetto, concedendo emozioni con il contagocce. Un contagocce che Mikami ha utilizzato, questa volta saggiamente, per l'aspetto narrativo del gioco, che si concede al giocatore con estrema lentezza, lasciandosi scoprire un po' alla volta ed é capace di lasciare intravedere succose novità in prossimità del finale. Un approccio che abbiamo apprezzato. Anche se alcuni frammenti della trama sono facilmente intuibili, altri si lasciano scoprire con lungo il percorso, lasciando sempre nel giocatore quella sana curiosità aggiungere preziosi tasselli al mosaico.

L'approccio al gioco non stravolge i dettami introdotti dallo stesso Mikami una decina di anni fa. Telecamera alle spalle del protagonista, poche armi a disposizione ma tutte ragionevolmente utili e nemici non eccelsi nelle routine di intelligenza artificiale che corrispondono perfettamente al profilo di “zombie senza cervello.” A questo va aggiunta anche una buona dose di esplorazione dell'ambiente che, anche se non eccessivamente remunerativa, consente di portare a casa, oltre ai classici gadgets, anche un particolare liquido verde che in Evil Within rappresenta la carta-moneta per upgradare armi e abilità.

Il nostro protagonista può infatti, in determinate situazioni, viaggiare a cavallo tra due realtà parallele dove da una parte dovrà portare a compimento l'avventura, mentre nell'altra potrà raccogliere indizi utili per comporre i vari pezzi della trama, effettuare i salvataggi (sono presenti anche dei pratici checkpoint) e spendere appunto il prezioso liquido per migliorare le caratteristiche e le abilità del personaggio.

vimager1, 2, 3

Il tutto per, ovviamente, per affrontare il crescendo di difficoltà che, a ben vedere, non é particolarmente proibitivo, tenuto conto soprattutto dello classico schema del genere di riferimento che prevede l'eliminazione di un tot di nemici assolutamente accessibili per avere poi qualche grattacapo in più (ma nemmeno troppi), con il boss di fine livello. E' sicuramente positiva l'aggiunta da parte di Mikami di un approccio stealth al naturale sterminio degli avversari, volto soprattutto a salvaguardare il già parco ammontare delle munizioni in possesso. Un'aggiunta che funziona piuttosto bene e che vi conviene utilizzare quando possibile, anche se ci sarebbe piaciuto un approfondimento maggiore proprio in queste meccaniche, che si limitano per lo più a distrarre sempre nello stesso modo lo sfortunato avversario per poi farlo fuori tramite la pressione di un tasto.

Effettivamente ci sono molte situazioni, all'interno del gioco, che avrebbero meritato un maggiore approfondimento da parte del team si sviluppo. The Evil Within sotto molti aspetti sembra un gioco mal calibrato in tutte le sue componenti. Un po' come un ricercato piatto i cui singoli sapori sembrano non mischiarsi troppo bene. Troppo lento per essere considerato un gioco action, troppa poca tensione e pochissimi puzzle per essere un survival, troppo poco approfondita la parte relativa al gunplay per potersi ritenere uno shooter. Insomma, vi capiterà a volte di ritrovarvi nei guai (o, direttamente, essere fatti fuori), perché le animazioni di apertura delle porte o l'attivazione di determinati trigger sono troppo lente rispetto ai vostri avversari, con buona pace dei vostri poveri joypad.

Certo, sono tutte cose a cui si possono prendere adeguate contromisure e a cui si può tranquillamente fare l'abitudine, ma sono comunque un segnale di come la commistione dei singoli elementi non sono stati miscelati nella giusta misura. Anche tecnicamente l'ultima fatica di Mikami sembra perennemente avere il freno a mano tirato, se é vero che un titolo esteticamente povero (o comunque non eccelso), riesce a non andare oltre i 30 frame al secondo anche su console next gen. Anzi, se possibile riesce addirittura a scendere al di sotto di questa soglia minima e lo fa soprattutto in situazioni che console come Ps4 e Xbox One dovrebbero gestire a occhi chiusi. Al di là del problema del frame rate é da rimarcare come il gioco appaia in effetti una versione leggermente migliorata di Resident Evil 4. E non é una citazione a caso.

Texture, strutture, palette cromatica e tanti elementi di gioco (armi, trappole, strutture), ricordano molto da vicino la produzione Capcom del 2005. E al di là di un aspetto cosmetico che non ha conosciuto un'evoluzione adeguata, dispiace vedere un comparto tecnologico palesemente indietro alla concorrenza e non in grado di sfruttare le potenzialità di calcolo delle macchine di nuova generazione. Chiudiamo con un breve cenno al comparto sonoro dignitoso ma non eccellente e che al di là di un doppiaggio altalenante, non incide a dovere con la colonna sonora. Se volete sapere quanto possa essere importante l'aspetto sonoro/musicale in un survival horror, provate a chiedere al signor Alien.