The Last of Us Part I, nessuno è più immune al contagio del Cordyceps – Recensione PC
Quel giorno in cui Ellie e Joel fecero un salto anche su PC
Ci sono videogiochi che fanno il salto della barricata. Passano da un medium all’altro, riscuotendo anche un discreto successo nella maggior parte dei casi. Se vi chiedessi di Resident Evil, almeno una su dieci persone mi citerà il film con Milla Jovovich, mentre le altre nove, probabilmente, riterranno più opportuno citare la saga videoludica prodotta da Capcom dal 1996.
Questo parallelismo non funziona solo in una direzione, anzi. Se vi chiedessi di citarmi qualsiasi prodotto appartenente al franchise di Star Wars, otto persone mi citeranno almeno un film, o una serie tv, mentre gli altri si faranno carico di elencare uno dei tanti videogiochi.
In entrambi questi casi, inutile parlare di romanzi e fumetti, altro must che più volte nel corso degli anni ha permesso il continuo passaggio di opere tra un medium e l’altro. Questo essere cross mediali, in qualche modo, serve a darci il giusto contesto per parlarvi di The Last of Us, videogioco sviluppato da Naughty Dog per PlayStation 3, vincitore di ben 256 premi, nonché titolo che ha visto un sequel e varie versioni rimasterizzate che gli hanno permesso di sopravvivere agli anni (e alla tecnologia).
Tant’è che oggi, dopo un remake uscito nel 2022 per PlayStation 4 e 5, oggi finisce per sbarcare anche sui nostri cari PC, seppur con qualche acciacco che ora andremmo a elencarvi nella nostra recensione.
The Last of Us Parte 1 - Il viaggio di Joel ed Ellie
Chi vi scrive fa parte di quella piccola fetta di persone che, fino a oggi e fino al lancio del gioco su PC, non aveva mai giocato a The Last of Us. Per non farmi mancare nulla, oltretutto, non ho nemmeno mai visto la serie tv che ormai è già diventata un cult, grazie alla notevole interpretazione di Pedro Pascal e Bella Ramsey (tant’è che HBO ha già annunciato un rinnovo per una seconda stagione).
Ma torniamo al videogioco, creato da Neil Druckmann e Bruce Straley: ambientato nel 2013, The Last of Us narra di un’epidemia generata dal Cordyceps, un fungo parassita capace in situazioni normale di infettare gli insetti riducendoli a una sorta di zombi. In questo caso, l’infezione riesce a compiere il passaggio di specie, infettando gli umani per trasformarli in creature terrificanti e aggressive, creature che avremo modo di conoscere a fondo durante il viaggio che Ellie e Joel compiranno assieme.
Un viaggio diviso in dodici capitoli, nei quali avremo modo di esplorare alcune città famose americane come Boston, Pittsburgh e Salt Lake City, chiaramente riadattate per rispondere alla necessità di apparire come zone post-apocalittiche e desolate.
Inutile dirvi altro in merito alla trama, sebbene si tratti di un viaggio capace di toccare nel profondo il giocatore aldilà dello schermo sin dall’inizio, più specificatamente dalla cutscene di introduzione, in cui oltre a imparare alcuni rudimenti del sistema di controllo, assisteremo a parte degli avvenimenti che hanno segnato il protagonista. Avvenimenti che in qualche modo influenzeranno anche lo stesso rapporto con Ellie.
All’interno di questa versione uscita per PC troveremo il gioco principale: quindi, l’intero racconto composto dai momenti che hanno segnato la crescita del rapporto tra Joel ed Ellie, accompagnato anche dal contenuto aggiuntivo Left Behind, in cui avremo la possibilità di rivivere due momenti della storia di Ellie, uno legato al suo passato e uno successivo alla storia principale.
Trattandosi di un titolo di stampo action con grafica in terza persona, avremo modo di sfruttare gran parte delle caratteristiche visti in prodotti dello stesso genere, come la possibilità di utilizzare di usare diverse armi, effettuare un approccio diretto o stealth, nonché utilizzare una particolare abilità di rilevamento che vi mostrerà i nemici nelle vicinanze, anche se coperti da un muro.
The Last of Us Parte 1 - un lancio discutibile
Quando si tratta di porting sviluppati usando un codice sorgente preso da un’altra piattaforma, non sempre le procedure di passaggio finiscono per andare come dovrebbero. Ultimamente, in realtà, di grossi problemi tecnici non ne avevamo riscontrati poi molti: ripensando ai due Spider-Man, Peter Parker e Miles Morales, oppure al God of War norreno, accompagnato perché no da Horizon e Returnal, e al loro lancio su PC, possiamo tranquillamente affermare che oltre a qualche freddura sull’accoglienza (in termini di acquisti) ognuno di questi lanci si è rivelato notevole sul fronte dei più semplici tecnicismi.
Certo ultimamente le nuove tecnologie permettono nuove e interessanti modalità da sfruttare al fine di migliorare la resa visiva, basti pensare al RAY Tracing, sebbene sia ovviamente necessario avere tra le mani una piattaforma in grado di reggerne il carico, soprattutto nelle situazioni più “stressanti”.
In The Last of Us le cose sembrano non essere andate come dovrebbero, o almeno, sembra che ci sia stato qualche piccolo problema in sede di adattamento, ragionando maggiormente su quello che, alla fine della fiera, è un parco macchine così variegato che è quasi possibile riuscire ad accontentare tutti. La prima stortura, in termini non necessariamente negativi, si è riscontrata al primo momento in cui è stato lanciato il gioco, momento che ha richiesto almeno una quarantina di minuti al nostro PC al fine di riuscire a fare una compilazione degli shader accurata, fase che si è ripetuta anche a seguito di una piccola patch recente, che fortunatamente ci ha costretto a lasciare il computer acceso solo per una ventina di minuti.
Da lì in poi parte la lunga, a tratti un po’ preoccupante, customizzazione dei preset grafici, questo perché il gioco risulta sulle prime terribilmente esoso in termini di calcolo della memoria, con carichi sulla CPU e GPU quasi da capogiro, anche in configurazioni da gaming medio/alte come nel nostro caso. Montando una RTX 3060 su un PC con 16GB di RAM e un I7 11800H, è stato necessario fare delle scelte oculate al fine di non cadere in tentazione, mettere un preset High e partire all’avventura riscontrando cali di framerate piuttosto importanti.
Abbassando qualche impostazione su luci e ombre, dato che il gioco sfrutta un comparto d’illuminazione piuttosto elaborato, soprattutto nelle scene in ambienti notturni, e cercando di non esagerare sulle texture dedicate ad ambienti e personaggi, The Last of Us finisce per girare sulla nostra piattaforma in modo piuttosto soddisfacente, gestendo perfino il framerate con sbalzi dai 45 ai 50 frame al secondo.
Alzando le impostazioni, quest’ultimo scende vertiginosamente tra i 30 e i 35, creando giusto qualche situazione spiacevole nelle fasi di gioco più veloci. Bisogna inoltre considerare che le performance del gioco finiscono per peggiore quasi ogni volta in cui i personaggi raggiungono una nuova area, quest’ultima deve necessariamente caricare alcuni elementi del nuovo scenario, elemento che finisce per ripercuotersi nel calcolo dei frame che scende vertiginosamente, risalendo soltanto dopo aver atteso qualche secondo.
Inutile dirvi che a prescindere da questo, il gioco finisce per spaccare in due l’utenza per ovvie ragioni di budget legate alle piattaforme in possesso di ognuno di noi. Questo non deve però farvi dubitare della natura del prodotto, nel senso che operando i dovuti accorgimenti, soprattutto facendo attenzione alle texture perché a livello medio/basso appaiono piuttosto bruttine (soprattutto quelle ambientali), The Last of Us finisce comunque per rivelarsi un porting decente, sicuramente non ottimizzato, ma comunque decente. Forse è proprio questa la maggiore stortura del titolo, che si affaccia su un mercato competitivo che pretende un certo tipo di politica, soprattutto di lancio al dayone.