The Legend of Heroes: Trails into Reverie - la Recensione del JRPG che chiude un ciclo
Il gioco che conclude la storia di altri sei
Ci sono giochi che, malgrado i gusti personali, non sono per tutti: alcuni sono veramente una nicchia nella nicchia e solo pochi estimatori, o fan sfegatati che dir si voglia, sono effettivamente in grado di apprezzarli. The Legend of Heroes: Trails into Reverie siede molto probabilmente nel vertice di questa appuntita nicchia di mercato, soprattutto per noi Europei. Vi spieghiamo perché: la serie The Legend of Heroes di Nihon Falcom conta oramai la bellezza di 20 titoli, sfornati con cadenza quasi annuale dal 1989 a oggi.
Se, come è per serie come Persona o Final Fantasy, questi giochi fossero tutti indipendenti tra loro la diffusione non sarebbe altrettanto problematica, ma Nihon Falcom ha evidentemente l'abitudine di pensare in grande e ha creato un intero mondo, quello di Zemuria, in cui le storie si susseguono, generando contingenze, sequel e riferimenti incrociati che non fatichiamo a paragonare, per fare un esempio, al Marvel Cinematic Universe, rendendo dunque la comprensione più problematica per un utente a cui manchi tutto il bagaglio pregresso. Rimanendo sul parallelismo cinematografico, Trails into Reverie è più o meno l'equivalente di Avengers: End Game in quanto in lui confluiscono esplicitamente i due titoli del ciclo di Crossbell – Trails from Zero e Trails to Azure – e i quattro Trails of Cold Steel. Chiarito questo doveroso preambolo, addentriamoci nella Recensione vera e propria.
Una Guerra che non Finisce Mai
La storia di Trails into Reverie inizia con un Prologo ambientato 5 mesi dopo la fine della Great Twilight e della corrispondente guerra tra l'Impero Ereborniano e la Repubblica di Calvard che aveva portato all'occupazione della città indipendente di Crossbell, la quale è non di meno nuovamente occupata da forze estremiste filoimperiali. Un'audace azione speciale condotta da Lloyd Bannings [protagonista del ciclo di Crossbell] e la Special Support Section (SSS) riesce a liberare la città, ma questa viene nuovamente occupata appena un mese dopo proprio durante la firma della dichiarazione di indipendenza, oltretutto ad opera delle forze di Rufus Albarea, ex Governatore Generale durante l'occupazione imperiale. Questi, che è in qualche modo è evaso dalle carceri, sgomina facilmente l'SSS con un potere terribile, simile a quello scatenato nel corso della Great Twilight,.
Nel frattempo, Rean Schwarzer [protagonista del ciclo Trails of Cold Steel] e la sua Class VII della Thor Academy ricevano l'ordine di indagare sulla scomparsa del Principe imperiale Olivert e la sua novella sposa Scherazard, non senza però scontrarsi prima con creature magiche che in teoria dovrebbero essere sopite anch'esse con la fine della Great Twilight. L'unica traccia disponibile porta la Class VII alla capitale dell'Impero, dove un individuo che si fa chiamare semplicemente C [ma che evidentemente non è lo stesso “C” che i personaggi hanno conosciuto in passato] rivendica il rapimento. Lo stesso C riceve da Nadia Rayne e Swin Abel, due fuoriusciti dalla società segreta nota come Garden, un “pacco” che risulta essere Lapis, una marionetta senziente – e molto potente – dalle fattezze e proporzioni di una bambina di circa 9-10 anni.
Tre Protagonisti, Decine di Personaggi
Fatta eccezione per le prime fasi, in cui le cose saranno giocoforza pilotate, il gioco ci metterà di fronte tre storie parallele con protagonisti Lloyd, Rean e C [manteniamo questo nome per evitare spoiler, sebbene la sua vera identità venga rivelata relativamente in fretta]. Normalmente sarà sufficiente la pressione di un tasto per accedere alla schermata di selezione delle “Route” per passare da un contesto all'altro, ma per ovvie ragioni non sarà possibile proseguire eccessivamente in un unico percorso senza doversi di tanto in tanto fermare per “recuperare” gli altri due; inoltre, capiterà sovente che i percorsi si intreccino e pertanto che il passaggio da un gruppo all'altro avvenga piuttosto rapidamente e forzatamente.
Oltre alla storia vera e propria, i personaggi avranno modo di incontrarsi in un mondo misterioso denominato Reverie Garden a cui accederanno tramite uno specchio nero ma in cui purtroppo perderanno memoria dei fatti degli ultimi giorni – e dunque non potranno scambiarsi informazioni ed esperienze. Nel Reverie Garden sarà possibile esplorare il misterioso e randomico Reverie Corridor, praticamente un dungeon il cui scopo principale è quello di offrire un campo di battaglia infinito in cui allenarsi e potenziarsi, nonché visionare storie collaterali e cimentarsi in minigiochi di varia natura, dal Trading Card Game “alla Magic” allo sparatutto arcade coi personaggi femminili trasformati in maghette kawaii.
Un Sistema Corposo Senza Innovazioni
Al netto delle cospicue e prolisse fasi di esplorazione e dialogo, nonché di minigiochi e attività collaterali quali la pesca, il fulcro del gameplay è rappresentato dai dungeon e dai combattimenti: Trails into Reverie presenta un'impostazione molto classica in cui non spicca nessun elemento originale ma in cui si ammassa tantissima roba, evidentemente accumulatasi gioco dopo gioco fino allo stato attuale. Anche il semplice fatto che i personaggi partano dal livello 98 vi fa capire che il gioco sia concepito come qualcosa di “molto avanzato” - ma naturalmente il contatore può elevarsi abbondantemente oltre il 100. In generale guideremo uno dei 4 personaggi attivi a rappresentanza di tutto il party in una visuale semisoggettiva, cercando di evitare i mostri o meglio ancora di coglierli di sorpresa in modo da scatenare lo scontro con un po' di vantaggio.
Il combattimento si svolge a turni, con un ordine di iniziativa che non è fisso ma si modifica in funzione delle azioni scelte dai giocatori: alcune infatti richiedono dei tempi di “ricarica” più alti di altre, per non parlare dei Poteri che, una volta impostati, si scatenano qualche turno dopo. Se si hanno a disposizione dei PG di riserva è anche possibile effettuare lo “scambio” del PG di turno con uno di essi. Tra i comandi c'è la fuga (che ha una probabilità di successo) ma manca la classica parata passiva. Uno degli elementi più interessanti è il fatto che la posizione di ogni singolo combattente sia determinante per stabilire se sia a portata d'attacco o nell'area d'effetto di un potere, come un incantesimo o un'esplosione, rendendo dunque importante sacrificare qualche (rapido) turno per gestire il movimento. Ogni PG ha tre parametri da tenere d'occhio: la barra della vita, la barra degli EP che si consumano con gli incantesimi, e l'ammontare dei CP (Craft Point) necessari per scatenare abilità speciali denominate, appunto Craft; a differenza degli altri due parametri, i CP si ricaricano attaccando il nemico e permettono anche di scatenare potenti mosse “S-Craft”.
A livello di party, invece, saranno due i parametri da tenere d'occhio: i BP (Battle Points) e la Assault Gauge. I primi possono essere utilizzati per attivare degli “ordini” che garantiscano dei bonus di varia natura al party per un certo numero di turni; in alternativa, i BP vengono spesi nel momento in cui si attiva una mosso “di combo” tra i personaggi che avete impostato come “appaiati”. La seconda è una barra che può essere spesa per iniziare lo scontro con un “triplo vantaggio”, oppure per effettuare delle azioni di gruppo denominate United Fronts che coinvolgono non solo tutto il Party ma anche le riserve, portando dunque fino a 8 personaggi a menare le mani in concomitanza. Per quanto riguarda le abilità a disposizione dei PG, il gioco sfrutta sia il canonico livello di esperienza sia un sistema di Quarzi che, in maniera simile ai Materia di FFVII, garantiscono bonus e abilità a chi li equipaggia, potendosi potenziare anch'essi con l'esperienza. Non mancano infine sistemi di modifica e di fusione delle armi per ottenere ulteriori potenziamenti.
Un Impatto Tecnico da Old-Gen
Quando ci si approccia ad un titolo di una software house di seconda fascia come può essere Nihon Falcom [non per mancarle di rispetto ma perché, beh... i colossi sono ben altri] non ci si aspetta di certo una realizzazione tecnica ai limiti del fotorealistico, soprattutto quando lo stile scelto è quello tipico delle serie animate: vale certamente questo discorso anche per titoli del calibro di Persona, Disgaea o altri ancora. Ci dispiace però dire che l'impatto con Trails into Reverie è veramente deludente: sebbene l'artwork dei personaggi sia molto bello e i modelli, presi singolarmente, siano piuttosto curati, gli ambienti circostanti sono realizzati in maniera veramente povera, piatta, spoglia, tale da poter dire addirittura che, risoluzione a parte, avrebbero fatto una ben magra figura anche sulla precedente generazione di hardware. Le animazioni, specie durante le esplorazioni, non sono più incoraggianti, anche se queste migliorano considerevolmente di qualità durante le battaglie.
Giudizio agrodolce anche per il comparto audio: la colonna sonora propone brani in linea con gli stili adottati dai JRPG di un decennio fa o più, e se qualitativamente non c'è nulla da eccepire, alla lunga i refrain tendono a diventare un po' tediosi. Nel gioco, s'è detto, abbondano i dialoghi: il doppiaggio, disponibili in Inglese e Giapponese, è in generale abbastanza buono ma non tutte le battute sono recitate e se questo da un lato enfatizza i passaggi più importanti dall'altro crea uno strano effetto “sento non sento”. I testi di gioco sono interamente in lingua Inglese, cosa che costituisce un ennesimo muro per il nostro mercato vista l'imponente mole di materiale da assimilare.
Un Approccio Difficoltoso
Come abbiamo detto e ribadito, Trails into Reverie non è assolutamente il capitolo migliore con cui accostarsi alla saga: per quanto infatti dal menù di gioco sia possibile leggere i “riassunti delle puntate precedenti” ed inoltre dopo il Prologo ci siano parecchi dialoghi mirati a introdurre personaggi, rapporti, storie e situazioni quel tanto che basta da permettere di seguire la vicenda, è innegabile che la mancanza di ben 6 giochi (almeno) pregressi sia destinata a lasciare una sensazione di smarrimento permanente. E questo è un peccato, perché al netto della realizzazione tecnica “al risparmio” il gioco si basa su un'ambientazione e un intreccio di trame veramente corposi che meritano sicuramente di essere approfonditi, con personaggi sfaccettati e ricchi di caratteristiche peculiari.
Altrettanto spaesati può lasciaree l'impatto col sistema di gioco: sebbene, come s'è detto, non proponga niente di nuovo, gli elementi con cui occorre prendere confidenza rapidamente sono numerosi ed il gioco non ci perdona niente sin dall'inizio, andando giù duro con scontri belli tosti, boss tutt'altro che alla mano e persino mob da non sottovalutare. Non vi nascondiamo che siamo andati a sbattere contro una schermata di game-over pensando di star affrontando il tipico “scontro che non puoi vincere”, mentre invece stava tutto a rimboccarsi le maniche e non prendere il nemico sottogamba – il tutto a difficoltà “Normale”. Non è affatto cosa da poco per un gioco che promette non meno di 45-50 ore dall'inizio alla fine, le quali possono diventare facilmente il doppio se siete a caccia di tutto ciò che c'è da recuperare, comprese missioni secondarie e minigiochi.
Conclusioni
Esprimere un giudizio onnicomprensivo su Legend of Heroes: Trails into Reverie non è compito facile. Il gioco è bello? Al netto del comparto tecnico, decisamente sì. È profondo, è sfidante, è pieno di “ciccia” ed offre una trama veramente notevole. Ma al contempo è anche un gioco che sta dietro ad una barriera accessibile solamente a chi si è già sciroppato i titoli precedenti, i quali tra l'altro sono arrivati sul nostro mercato con pesanti ritardi, alla spicciolata e senza grandi proclami. Certo, si può sempre cercare di recuperarli: i sei che abbiamo menzionato sono disponibili su PlayStation Store, dopotutto! Siete pronti a ricostruire una saga dalle fondamenta? Ne vale veramente la pena? La risposta non può che essere soggettiva... ma solo se questa fosse positiva Trails into Reverie potrebbe attirarvi veramente; in caso contrario, consigliamo di passare oltre.