The Mobius Machine, Metroid a chi!? - Recensione PC
La recensione del metroidvania di Madruga Works, un mondo vasto e impervio che premia l’esplorazione su tutto, a costo di risultare criptico
Nel panorama indie i metroidvania costituiscono un genere particolarmente prolifico. Non passa settimana che non ne salti fuori uno nuovo, e regolarmente debuttano esponenti ad altro profilo che catturano l’interesse delle community (basti pensare a opere come Hollow Knight, Dead Cells o Blasphemous).
L’enfasi in questi titoli però di solito è posta sui combattimenti, o almeno è l’elemento principale che si tende a sottolineare quando se ne parla, facendo passare in sordina l’altro punto cardine del filone: l’esplorazione. Ebbene, The Mobius Machine di Madruga Works adotta tutt’altra filosofia, limitando il volume degli scontri a fuoco per concentrare l’attenzione del giocatore sulla navigazione del voluminoso mondo di gioco, un enorme labirinto alieno in cui perdersi è la principale insidia, e la mappa rappresenta il nostro miglior alleato, forse un po’ troppo. Di seguito la recensione completa.
The Mobius Machine: più Metroid che Vania
In puro stile Metroid, all’inizio della vicenda l’astronauta protagonista riceve un messaggio di soccorso da un pianeta vicino. Costretto a rispondervi, entra nell’atmosfera con la sua nave, distruggendola nel processo. Rimasto solo, non può far altro che indagare sulla trasmissione ricevuta, nella speranza di trovare un modo per tornare a casa.
Non ci saranno sanguisughe volanti da abbattere, ma l’atmosfera di The Mobius Machine ricorda parecchio i classici Metroid 2D, con il protagonista all’inizio in grado solo di sparare in tutte le direzioni le direzioni con il suo blaster energetico, debole e dalla poca portata. Andando a zonzo però troveremo nuovi gingilli con cui raggiungere luoghi prima inaccessibili, e nuove armi che amplieranno le nostre opzioni offensive; di nuovo, i richiami al franchise Nintendo si sprecano, e noi apprezziamo.
Similmente, la superficie del pianeta modellato da Madruga Works ricorda uno Zebes sotto steroidi, una location immensa, caratterizzata da diversi biomi ben distinti, che si sviluppa tanto in orizzontale quanto in verticale, è interconnessa in più punti e risulta tanto ardua quanto affascinante da navigare. La stragrande maggioranza dei percorsi sono inizialmente bloccati, e non avremo neanche una mappa con cui tenere traccia dei progressi compiuti, ma continuando a girovagare si scoveranno man mano scorciatoie e stazioni dove scaricare una comoda piantina dei nostri spostamenti.
La mappa segnala inoltre i punti d’interesse visitati, come le stazioni di salvataggio e i congegni attivati, e anche i luoghi dove ci abbiamo lasciato le penne, ma noi avremmo integrato ulteriori funzioni, come uno zoom per farsi un’idea più precisa delle rotte da seguire (tocca strizzare gli occhi per capirci qualcosa al momento), e la possibilità di piazzare indicatori personalizzati, in modo da ricordare bivi, casse o altro che possa tornarci utile in futuro. Già il backtracking è tanto, limitarlo sarebbe cosa buona.
Quanto ai livelli in sé, le varie aree sono divise in “stanze” prive di transizione, che alternano ampi spazi esterni a tratte all’interno di edifici più claustrofobici, il tutto regolarmente pieno di nemici e ammassi gelatinosi che non vedono l’ora di farci fuori. Questi ultimi in particolare costituiscono l’elemento distintivo del pianeta e abbondano in ogni dove; sono di diverse colorazione che ne indicano le proprietà e sono tanto di aiuto come piattaforme di fortuna quanto pericolosi, specie quando cacciano fuori tentacoli e/o spunzoni.
In generale farsi largo tra le singole minacce non è troppo ostico, ma spesso sono così concentrate e frequenti che si è costretti a rimanere costantemente in allerta, e questo crea non pochi grattacapi in un’avventura così estesa, che ci vede fare più volte fare la ronda prima di trovare un nuovo pertugio per proseguire. Scorciatoie e percorsi alternativi aiutano, però non neghiamo che affrontare a iosa le medesime prove (il mondo è così vasto che i pattern inesorabilmente si ripetono) viene un po’ a noia, anche perché tempo di allontanarsi due minuti che tutto respawna e tocca ricominciare daccapo.
Avere totale libertà di sperimentare è piacevole, tuttavia su di un pianeta così grande la cosa può diventare dispersiva, specie quando si approccia una strada per poi scoprire mezz’ora dopo che serve un certo power-up che non abbiamo per andare avanti, costringendoci a tornare indietro, scansare di nuovo tutto lo schifo che ci viene addosso e riprendere la ricerca, consci che lì prima o poi dovremo tornarci. Un sistema alla Metroid Prime, con un piccolo indizio dove concentrarsi se non si fanno progressi dopo tot tempo, non sarebbe male (ma forse contravverrebbe allo spirito del gioco).
Tornando al nostro povero astronauta, The Mobius Machine adotta un sistema di accumulo dell’energia, lasciata cadere dai nemici abbattuti, con cui curarsi (in stile Hollow Knight) o per potenziare i nostri colpi. Si crea quindi un'interessante dinamica che ci vede scegliere se conservare carica in vista di eventuali danni oppure se sacrificare le riserve per semplificarsi la vita in battaglia. Si tratta di una soluzione intrigante, ma noi avremmo tarato un po’ al ribasso la salute dei mostri, che ora come ora richiedono troppi colpi per andare giù, allappando l’esperienza. Avremmo fatto a meno anche del sistema di crediti per alimentare generatori o costruire armi, che aggiunge solo giri extra ad un viaggio di suo già abbastanza pesante.
Quando al versante tecnico, Madruga Works ha adottato uno stile super deformed per i modelli e un look “plasticoso” che fanno sembrare ogni inquadratura un piccolo diorama, complice la regolare presenza di pareti squadrate a fare da “cornice”. Visivamente è un po’ monotono, con la stessa superficie brulla e giusto una tinta diversa a distinguere un’area dall’altra, ma le prestazioni solide, l’assenza di caricamenti e le ottime animazioni aiutano a non farci caso. Impalpabile la colonna sonora, che crea atmosfera in sottofondo senza mai prendere la luce dei riflettori; funziona, ma non la definiremmo memorabile, e ogni tanto il loop della melodia neanche parte come si deve, lasciando l’azione muta per qualche minuto prima che si riprenda. Gli effetti sonori in compenso non sono affatto male.