The Occupation
White Paper Games ha recentemente rilasciato The Occupation, avventura investigativa inserita nello stesso universo del loro titolo di esordio Ether One.
Nella realtà alternativa di un’Inghilterra del 1987, un attacco terroristico scuote la cittadina di Turing portando a una rapida escalation di tensione in tutto il Paese. L’attentato innesca l’iniziativa del Governo che prepara il controverso Union Act, la cui messa in vigore minaccia di compromettere le libertà civili della popolazione. Attorno a questo evento una manciata di vite si intrecciano: c’è una correlazione tra l’esplosione nella cittadina e le future decisioni dello Stato. Spetterà a noi, nel ruolo del reporter Harvey Miller, dimostrare le connessioni e mettere a nudo una verità scomoda.
Tic Toc Tic Toc
The Occupation è un’esperienza in tempo reale: il gameplay è infatti scandito dallo scorrere incessante di minuti e ore e il gioco andrà avanti anche se decideremo di accogliere passivamente il susseguirsi degli eventi. Qualora scegliessimo invece di fare la nostra parte di giornalisti whistleblower, ogni azione compiuta per ottenere indizi ed evidenze influenzerà la narrazione. Questa caccia alle informazioni prevede l’esplorazione di spazi urbani interessati dall’esplosione dell’attentato, in particolare l’edificio della Bowman&Carson, azienda creatrice di un complesso algoritmo in grado di profilare le preferenze della collettività.
La ricerca si esaurisce entro le ampie parentesi tra un momento chiave e l’altro dettate dalla narrazione spontanea del titolo. Il tempo gioca il ruolo duale di nemico e alleato in The Occupation e dovremo monitorarlo costantemente sul nostro orologio da polso per sfruttarlo a nostro vantaggio. La struttura di gioco ricorda in una certa misura l’offerta ludica della saga di Hitman, con locations articolate in molteplici percorsi alternativi per raggiungere il nostro obiettivo e con un sistema di gestione delle relazioni sociali analogo: sebbene non si corra il rischio di lasciarci la pelle come nelle vicende dell’Agente 47, la tensione data dal non rispettare le regole del vivere comune producono nel giocatore una discreta agitazione e muoversi in zone non consentite, oltre ad allertare i presenti, comporterà spiacevoli conseguenze sulla nostra libertà di movimento durante l’avventura.
Ad esempio, in una run intenzionalmente giocata con violazioni reiterate, sono stato colto in flagrante da una guardia giurata mentre rovistavo nei cassetti di un’area riservata allo staff. L’azione mi è costata caro: l’ora di anticipo che avevo su un’intervista viaggia in avanti con un rapido filmato in cui vengo messo alla porta senza poter continuare l’esplorazione e senza poter fare le mie scomode domande al personaggio di alto profilo. Per ovviare a questi malus sarà necessario muoversi con discrezione dando fondo alle caratteristiche stealth di questo thriller in prima persona. Nascondersi sotto un tavolo, disattivare impianti elettrici per far piombare l’area nell’oscurità e chiudere tapparelle di vetrate che danno su archivi off limits sono solo alcuni degli accorgimenti che potremo adottare nel tempo a disposizione per proseguire la nostra ricerca.
Tra porte chiuse da carte identificative e floppy disk zeppi di contenuti compromettenti da ripristinare, dovremo agire con rigore logico senza compiere passi falsi e prestando la massima attenzione all’ambiente intorno a noi. La complessità e la varietà delle situazioni che possono emergere dalle nostre decisioni rendono impossibile portare a termine tutti gli obiettivi in una sola run. Questo aspetto garantisce una certa longevità al titolo, che con i suoi due finali alternativi invita il giocatore a rivivere l’avventura per avere un quadro completo di tutti i risvolti.
Faccia a faccia col sistema
Seconda solo alle intuizioni del gameplay, la sceneggiatura di The Occupation è uno spaccato sorprendente di attualità. Complici anche i rimandi al Remembrance Day bombing avvenuto guardacaso nel lontano ‘87 nell’Irlanda del Nord, i temi trattati, dal controllo delle masse attraverso la profilazione ad ampio spettro, alla propaganda nera, dipingono con sensibilità un quadro dove è difficile non individuare una critica ai tempi moderni. Le linee di dialogo e l'ottima interpretazione dei doppiatori producono un risultato credibile che traduce il messaggio di fondo del racconto in una raffica di pugni allo stomaco impossibile da parare.
La perdita del controllo sulla propria libertà, l’Altro sacrificato come capro espiatorio a favore di ordine e sicurezza, sono argomenti che ci riguardano da vicino, sui quali i ragazzi di White Paper Games si soffermano con decisione. Ci troviamo di fronte a una produzione intelligente e snella, che con disinvoltura mette in scena un racconto solido e stratificato dove il giocatore viene messo davanti a scelte morali con un peso specifico nell’economia della narrazione. Quanto si è disposti ad affrontare per ottenere la verità? Quanto è importante la sua ricerca e quanto siamo in grado di discernere tra giusto e sbagliato, tra vero e falso? Questo continua lotta di prospettive attraversa il titolo in tutta la sua lunghezza rendendo le nostre azioni in-game, cerebrali e comunissime nella loro esecuzione, gesti rivoluzionari: mettere in scacco il nostro interlocutore attraverso materiale confidenziale che egli sperava insabbiato per sempre, insinuare il dubbio nei suoi sottoposti che hanno abbracciato la sua causa senza indugi, sono azioni potenti che celebrano il più classico dei proverbi secondo il quale la penna ferisce più della spada. Questo aspetto riuscitissimo e assolutamente brillante del titolo tuttavia mal si sposa con l’ottimizzazione approssimativa del gioco.
Nella versione PS4 presa in esame sono stati frequenti gli imprevisti: tra compenetrazioni indesiderate che ci sbalzavano fuori dalle solide mura poligonali delle locations e intelligenze artificiali intermittenti degli npc che durante le conversazioni si congelavano in infiniti silenzi senza uscita, l'atmosfera di gioco si è incrinata a più riprese compromettendo l’immersività. Con questi presupposti la scelta di design di inserire un salvataggio automatico solo al termine delle fasi di investigazione, invece di tradursi in una feature perfettamente integrata con gli intenti dell’avventura, invece di rendere palpabile l’urgenza e dare valore ai risultati delle nostre azioni, si rivela estremamente punitiva e spiacevole, scoprendo il fianco a momenti di frustrazione facilmente evitabili. Il comparto tecnico visibilmente arretrato per gli standard odierni è dunque il motivo per il quale questa produzione si vede negare i dovuti riconoscimenti, un peccato tremendo considerato gli eccezionali contenuti e le loro logiche di fruizione.
Voto
Redazione