The Suffering
di
Giuseppe 'Sovrano' Schirru
Se The Suffering è un capolavoro di ritmo in sparatorie e uccisioni truculente, è perché in parte tradisce l'universo psicologico che ostenta nei primi minuti, un'odissea emotiva che piano piano scema verso l'ignorante e becero spara-spara. Male. The Suffering poteva trascendere il significato di survival horror, portare aria fresca e rinnovare un genere, espandendolo verso nuovi orizzonti. Eppure non lo fa, nonostante mixi ingegnosamente due generi inflazionati sparatutto e survival horror non trovando purtroppo il giusto compromesso tra le parti. Da qui una precisazione, che forse molti ingenuamente non avranno considerato: The Suffering prima di essere un survival horror, è uno sparatutto, impreziosito da un'ambientazione orrorifica di richiamo. Che poi allo sparatutto in terza persona si aggiungano condimenti è un conto, ma una pizza rimane, pur sempre, una pizza.
L'incipit è un piccolo guizzo di genio dei programmatori: incomprensibilmente, alcuni vicini di cella di Torque (il protagonista del gioco) vengono decapitati, squartati, orribilmente mutilati, e il carcere di massima sicurezza si colora delle tenebre che lo avvolgono. Davanti a Torque, ora libero, una via disseminata di cadaveri, sangue che tappezza le pareti e segnali di morte che giungono dall'oscurità. Questa, la premessa. Nei primi istanti un briciolo di originalità bussa alla porta di The Suffering. Ma il titolo della Midway, malauguratamente stolto, quella porta non la apre. L'incipit è da cardiopalma, purtroppo solo quello. Sventuratamente, e questo sia chiaro, TS non ha il fascino da horror-psicologico alla Silent Hill, quel terrore intimo avvolto nella nebbia della piccola cittadina che permea ogni istante dell'avventura con un'atmosfera ai massimi livelli. Sublime, se vogliamo azzardarle un giudizio.
Non che il prodotto Midway non provi a intraprendere la medesima strada, ma il palcoscenico, costruito perfettamente dagli sviluppatori, lentamente si scompone, si sgretola, trascurando i cardini portanti di un survival-horror: l'atmosfera e l'ambientazione. Dopo i primi minuti della (dis)avventura, il giocatore ha il presentimento che nel prossimo futuro sia prevista un'ulteriore crescita della componente shooter. Ha ragione, i suoi presentimenti hanno fondamento. Troppa azione a discapito della suspense: lo stato di ansia provocato dal succedersi di fatti di cui il giocatore non immagina la conclusione, trova ben presto risposta nella più scontata delle soluzioni: il combattimento. Non si può aver paura di qualcosa che si affronta a viso aperto. La suspense e le atmosfere, che dovrebbero controbilanciare la tutt'altro che contenuta presenza di sparatorie, a poco a poco vengono meno con l'impossibilità di evolvere in un mix ben bilanciato. Difatti relegano TS al mero sparatutto.
Anche dopo le prime ore di gioco, il copione rimane invariato. Il vedo non vedo delle creature che infestano il carcere è solo un vecchio ricordo: ora si mostrano palesemente davanti ai nostri occhi, attaccano e non gradiscono certo il piombo di cui siamo soliti infarcirle. Oltre alle nuove sfaccettature della trama (esplicitate attraverso visioni del protagonista o cut-scene), matura la consapevolezza di come la componente enigmatica, di natura tutt'altro che cervellotica, sia solamente abbozzata e dietro tutto l'impianto di gioco si celi, continuativamente, la più stupida delle sparatorie. La telecamera che riprende il protagonista alle spalle, che di fatto rende l'esperienza conforme alle regole degli sparatutto in terza persona, si tinge di tinte da fps nel passaggio alla visuale in prima persona: un attestato di come gli scontri a fuoco abbiano un ruolo predominante.
In tal senso le armi non mancano, con fucili, doppie pistole alla Will Smith, coltelli e soprattutto la possibilità da parte del nostro eroe di trasformarsi nel proprio alter ego, una creatura più paurosa e pericolosa di quelle che affollano la prigione. Basterà caricare l'apposita barra e premere Y, per dare il via alla trasformazione, quindi scaricare la nostra follia omicida contro mostri e demoni vari. Qualche piccola variazione sul tema viene offerta dalla presenza dei personaggi di contorno con i quali interagire. La trama si evolverà in base al nostro comportamento, sfociando in tre diversi finali che metteranno luce circa l'innocenza o meno di Torque (accusato dell'omicidio della moglie e della figlia).
Graficamente, The Suffering non è certo un miracolo di realizzazione. Qualche fiammata di stile è data dai mostri - il creature designer è Stan Winston o dall'ambientazione (una prigione davvero ben ricostruita), ma il tutto è contornato da texture di scarsa qualità e un frame-rate che nelle azioni più concitate fatica a restare a galla. Discreti alcuni giochi di luce, ma la sensazione rimane quella che su X-Box si sia visto di meglio, molto meglio. Il reparto audio offre un doppiaggio non sempre riuscito (ma fortunatamente in lingua nostrana), effetti sonori resi discretamente e alcune musiche di sottofondo anonime. La longevità si attesta sulla dozzina d'ore di gioco complessive, ma la rigiocabilità è incentivata dalla presenza dei diversi finali a disposizione. Il rammarico vien dato per la mancanza di un cambiamento indispensabile per valorizzare l'eredità lasciatagli da tantissimi suoi diretti concorrenti, rispetto a cui non offre niente di nuovo. Ma amarezza ancor maggiore, è dettata dal fatto che l'impianto ludico di TS si risolva nella più ignorante delle sparatorie, quando poteva ambire molto più in alto.
L'incipit è un piccolo guizzo di genio dei programmatori: incomprensibilmente, alcuni vicini di cella di Torque (il protagonista del gioco) vengono decapitati, squartati, orribilmente mutilati, e il carcere di massima sicurezza si colora delle tenebre che lo avvolgono. Davanti a Torque, ora libero, una via disseminata di cadaveri, sangue che tappezza le pareti e segnali di morte che giungono dall'oscurità. Questa, la premessa. Nei primi istanti un briciolo di originalità bussa alla porta di The Suffering. Ma il titolo della Midway, malauguratamente stolto, quella porta non la apre. L'incipit è da cardiopalma, purtroppo solo quello. Sventuratamente, e questo sia chiaro, TS non ha il fascino da horror-psicologico alla Silent Hill, quel terrore intimo avvolto nella nebbia della piccola cittadina che permea ogni istante dell'avventura con un'atmosfera ai massimi livelli. Sublime, se vogliamo azzardarle un giudizio.
Non che il prodotto Midway non provi a intraprendere la medesima strada, ma il palcoscenico, costruito perfettamente dagli sviluppatori, lentamente si scompone, si sgretola, trascurando i cardini portanti di un survival-horror: l'atmosfera e l'ambientazione. Dopo i primi minuti della (dis)avventura, il giocatore ha il presentimento che nel prossimo futuro sia prevista un'ulteriore crescita della componente shooter. Ha ragione, i suoi presentimenti hanno fondamento. Troppa azione a discapito della suspense: lo stato di ansia provocato dal succedersi di fatti di cui il giocatore non immagina la conclusione, trova ben presto risposta nella più scontata delle soluzioni: il combattimento. Non si può aver paura di qualcosa che si affronta a viso aperto. La suspense e le atmosfere, che dovrebbero controbilanciare la tutt'altro che contenuta presenza di sparatorie, a poco a poco vengono meno con l'impossibilità di evolvere in un mix ben bilanciato. Difatti relegano TS al mero sparatutto.
Anche dopo le prime ore di gioco, il copione rimane invariato. Il vedo non vedo delle creature che infestano il carcere è solo un vecchio ricordo: ora si mostrano palesemente davanti ai nostri occhi, attaccano e non gradiscono certo il piombo di cui siamo soliti infarcirle. Oltre alle nuove sfaccettature della trama (esplicitate attraverso visioni del protagonista o cut-scene), matura la consapevolezza di come la componente enigmatica, di natura tutt'altro che cervellotica, sia solamente abbozzata e dietro tutto l'impianto di gioco si celi, continuativamente, la più stupida delle sparatorie. La telecamera che riprende il protagonista alle spalle, che di fatto rende l'esperienza conforme alle regole degli sparatutto in terza persona, si tinge di tinte da fps nel passaggio alla visuale in prima persona: un attestato di come gli scontri a fuoco abbiano un ruolo predominante.
In tal senso le armi non mancano, con fucili, doppie pistole alla Will Smith, coltelli e soprattutto la possibilità da parte del nostro eroe di trasformarsi nel proprio alter ego, una creatura più paurosa e pericolosa di quelle che affollano la prigione. Basterà caricare l'apposita barra e premere Y, per dare il via alla trasformazione, quindi scaricare la nostra follia omicida contro mostri e demoni vari. Qualche piccola variazione sul tema viene offerta dalla presenza dei personaggi di contorno con i quali interagire. La trama si evolverà in base al nostro comportamento, sfociando in tre diversi finali che metteranno luce circa l'innocenza o meno di Torque (accusato dell'omicidio della moglie e della figlia).
Graficamente, The Suffering non è certo un miracolo di realizzazione. Qualche fiammata di stile è data dai mostri - il creature designer è Stan Winston o dall'ambientazione (una prigione davvero ben ricostruita), ma il tutto è contornato da texture di scarsa qualità e un frame-rate che nelle azioni più concitate fatica a restare a galla. Discreti alcuni giochi di luce, ma la sensazione rimane quella che su X-Box si sia visto di meglio, molto meglio. Il reparto audio offre un doppiaggio non sempre riuscito (ma fortunatamente in lingua nostrana), effetti sonori resi discretamente e alcune musiche di sottofondo anonime. La longevità si attesta sulla dozzina d'ore di gioco complessive, ma la rigiocabilità è incentivata dalla presenza dei diversi finali a disposizione. Il rammarico vien dato per la mancanza di un cambiamento indispensabile per valorizzare l'eredità lasciatagli da tantissimi suoi diretti concorrenti, rispetto a cui non offre niente di nuovo. Ma amarezza ancor maggiore, è dettata dal fatto che l'impianto ludico di TS si risolva nella più ignorante delle sparatorie, quando poteva ambire molto più in alto.
The Suffering
6.5
Voto
Redazione
The Suffering
Prima di essere un survival-horror, The Suffering è uno sparattutto in terza (o prima) persona. L'atmosfera c'è, ma quello che nei primi minuti è un vedo non vedo circa i mostri che popolano la prigione, scema vertiginosamente quando si passa all'azione sconsiderata, con orde di creature orribili da far fuori e il sangue che scorre a fiumi. Proprio l'azione sconsiderata rovina il senso di terrore che invece altri giochi riescono a incutere, e TS si mostra per quello che non sarebbe dovuto diventare: un concentrato di sparatorie e combattimenti. Peccato, poteva offrire molto di più.