The Veilguard rivoluziona Dragon Age, tra luci e ombre - Recensione Xbox Series X
BioWare ridefinisce l’esperienza di Dragon Age con un gameplay innovativo e una trama in continua evoluzione
Ogni capitolo di Dragon Age rappresenta un passo verso una diversa visione del mondo di Thedas, definendo il franchise come una saga in costante trasformazione. Con Dragon Age: Origins nel 2009, BioWare ha offerto un’esperienza che fondeva il classico gioco di ruolo con una narrazione profonda e scelte morali tangibili, proponendo una struttura a turni che evocava l’eredità di Baldur's Gate. Due anni dopo, con Dragon Age II, il gameplay si orientò verso un approccio più action, raccontando la storia personale di un singolo eroe, Hawke, con un ritmo più serrato e una struttura narrativa episodica. Questo cambio di prospettiva ampliava l’universo della serie introducendo temi maturi e complessi, con un tono cupo e personale.
Poi, nel 2014, Dragon Age: Inquisition spostò ancora una volta l'asticella, abbracciando una struttura open-world che richiamava l’esperienza di un MMO in solitaria, con un’attenzione all’esplorazione e alle dinamiche strategiche di fazioni e territori.
Con Dragon Age: The Veilguard, BioWare compie un ulteriore passo in avanti, focalizzandosi su un gameplay in tempo reale che integra elementi action per modernizzare l’esperienza. L’obiettivo non è tornare alle origini, né replicare formule passate, ma evolvere la saga verso una nuova identità. The Veilguard adotta un sistema di combattimento rapido e intuitivo, restando però fedele (in parte e non con molto successo vedremo a breve) ai tratti distintivi della serie: scelte morali, relazioni profonde e una storia che pone al centro i legami tra i personaggi e l’ambientazione. Questo approccio non segue canoni fissi, ma riflette la visione di una serie che cerca di adattarsi alle aspettative di giocatori sempre nuovi.
La Storia Continua: Il Ritorno di Solas e il Destino di Thedas
Ambientato circa dieci anni dopo gli eventi di Inquisition, Dragon Age: The Veilguard riprende dal cliffhanger lasciato in sospeso, ponendo Solas, noto anche come Dreadwolf (Fen’Harel, il Temibile Lupo), al centro di una nuova e imminente minaccia. Il protagonista, Rook, è chiamato a guidare un gruppo scelto per fermare i piani di Solas, il quale intende rompere la barriera del Velo per motivazioni che scopriremo in corso d’opera. Tuttavia, ciò che inizia come un confronto con Solas evolve rapidamente in qualcosa di molto più grande: le sue azioni causano la liberazione di due antiche divinità elfiche, vere antagoniste della storia, pronte a seminare il caos sul Thedas.
Nonostante il gioco sia un seguito diretto di Inquisition, The Veilguard lascia il giocatore con pochi punti di riferimento, gettandolo subito nell’azione senza un’adeguata contestualizzazione. Si ha la sensazione di essere ripiombati in un mondo familiare ma disorientante, dove l’assenza di spiegazioni chiare sui dettagli chiave e sulle conseguenze degli eventi passati rende difficile orientarsi capendo con cognizione di causa le motivazioni che spingono Rook, e il giocatore, a fare quello che stanno facendo.
La figura di Rook, pur dotata di un certo carisma, non sembra avere lo stesso spessore narrativo dei protagonisti precedenti. A differenza dell'Inquisitore, la cui rilevanza era motivata da un ruolo mistico e unico, Rook appare più come un personaggio strumentale, incaricato di compiti fondamentali ma senza una vera giustificazione narrativa che lo legittimi come leader (a parte le indicazioni di Varrick). Questo distacco, sommato alla mancanza di punti di riferimento per comprendere appieno il contesto, fa sì che l’immedesimazione nel protagonista e nella sua missione risulti meno naturale e incisiva rispetto al passato.
La campagna principale di Dragon Age: The Veilguard offre una durata considerevole, superando una trentina di ore per chi esplora sia la trama principale che le missioni secondarie dei compagni (a seconda della meticolosità e della difficoltà). Queste ultime non solo arricchiscono la storia, ma rivelano dettagli essenziali sui personaggi e le loro motivazioni. Ignorarle può portare a una mancanza di affinità con alcuni compagni, che potrebbero abbandonare il gruppo per tornare sulle fasi finali.
Un elemento che può però limitare il coinvolgimento nel gioco è la rigidità delle scelte morali. The Veilguard sembra infatti impedire al giocatore di interpretare un personaggio opportunista, o magari malvagio, costringendolo lungo la via dell’eroe positivo. Le opzioni di dialogo e di azione, nel corso del gioco, offrono scelte che appaiono significative, ma che in realtà non generano conseguenze tangibili a lungo termine. Questa struttura limita la libertà di roleplay che caratterizzava i titoli precedenti di BioWare, dove ogni decisione poteva alterare il percorso del protagonista in modo significativo.
Un Sistema di Combattimento Aggiornato e l'Esperienza con le Classi
Dragon Age: The Veilguard abbandona la pausa tattica dei titoli precedenti per un sistema di combattimento in tempo reale che privilegia l’azione diretta e ravvicinata. Questa scelta conferisce al gameplay un ritmo più adrenalinico e immediato, che si adatta bene a tutte le classi poiché la rotazione delle abilità segue delle dinamiche molto semplificate, pensate insomma con lo scopo di far divertire il giocatore senza troppi pensieri.
Tuttavia, il sistema di combattimento rischia di risultare ripetitivo sulla lunga. In molte situazioni, le abilità si riducono a uno spam di colpi e combo per abbattere ondate di nemici, senza una vera progressione nella difficoltà (a meno che non ci si scontri con nemici troppo più alti di livello). A questo si aggiunge la disposizione casuale degli avversari lungo il percorso, il che può dare l’impressione di affrontare nemici senza un senso logico, semplicemente come se fossero disposti a caso, ricordando simpaticamente la scena Disney di Ade che manda nemici contro Hercules solo per vederli distrutti in poco tempo. L'intelligenza artificiale segue schemi piuttosto prevedibili, diminuendo l’imprevedibilità degli scontri.
La situazione cambia nelle boss-fight più complesse, come gli scontri nel Crocevia o contro i Prole Oscura evoluti, in cui è essenziale scegliere con un minimo di cura le sinergie tra i compagni e pianificare l’approccio strategico. In questi momenti, affrontare un nemico senza la squadra adeguata o al momento sbagliato può portare rapidamente alla sconfitta, offrendo una sfida che premia la strategia.
Uno degli aspetti più riusciti di The Veilguard è sicuramente l’albero delle abilità, che offre una struttura ampia e ben integrata nel gameplay, permettendo una personalizzazione davvero appagante. C’è anche la possibilità di resettare le abilità, un'opzione che invoglia a sperimentare vari approcci. Giocando come guerriero, ad esempio, abbiamo alternato le specializzazioni tra Mietitore e Custode Grigio, scegliendo in base agli oggetti più potenti che riuscivamo a trovare, per scoprire quale stile si adattasse meglio al nostro equipaggiamento.
Il sistema di potenziamento degli oggetti, inoltre, arricchisce questa esperienza di personalizzazione. Nel Faro, l’hub centrale del gioco situato nella vecchia dimora di Solas nel Crocevia, è possibile migliorare equipaggiamenti grazie a un NPC specializzato in potenziamenti e incantamenti. Per accedere a queste opzioni, però, bisogna raccogliere trofei esplorando le varie aree del gioco, così da far crescere le competenze dell’NPC e sbloccare nuove possibilità di potenziamento.
Oltre a questo, alcuni oggetti possono essere acquistati direttamente con la valuta di gioco, ma solo se si raggiunge un certo livello di fama con il gruppo associato a quegli oggetti. Accumulare reputazione richiede pazienza e impegno, ma è una sfida che aggiunge profondità sia alla progressione del personaggio sia al legame con le fazioni, rendendo ogni passo un po’ più significativo.
Compagni di Viaggio: L’Anima di The Veilguard
Come da tradizione per ogni Dragon Age, i compagni di viaggio rappresentano il cuore dell’esperienza, e in The Veilguard assumono un ruolo ancora più centrale, diventando la chiave per esplorare le varie sfumature dell’ambientazione. Al fianco di Rook si uniscono personaggi come Lucanis, un assassino legato ai Corvi di Antiva, ed Emmerick, un negromante che porta sempre con sé il suo scheletro, Manfred, sorprendentemente amichevole nonostante la sua natura macabra.
Ogni compagno aggiunge una prospettiva diversa e offre al giocatore la possibilità di affrontare missioni personali che approfondiscono le loro storie e il loro passato. Spesso, queste missioni sono così dettagliate e avvincenti da rivelarsi persino più affascinanti della trama principale, dando un valore unico alla loro presenza e rendendo il viaggio ancora più ricco e coinvolgente.
Alcune volte però gli ingranaggi non si incastrano come ci si aspetterebbe. Ad esempio, nel mio caso, ho scelto di aiutare Neve a salvare la dimora a lei più cara, una decisione che ha finito per danneggiare i Corvi e trasformare la città di Lucanis in un pantano corrotto dalla Prole Oscura. Mi aspettavo che una scelta così drastica potesse portare Lucanis a lasciarmi definitivamente, o almeno a richiedere di riconquistare la sua fiducia. Invece, si è semplicemente allontanato per due missioni prima di tornare, smettendo successivamente di usare le abilità di cura. Sebbene me lo abbia fatto notare a più riprese, la mancanza di un arco narrativo che permetta di ricostruire il rapporto rende l'impatto della scelta quasi irrilevante.
Le missioni dei compagni rappresentano comunque uno degli aspetti più affascinanti del gioco, offrendo scorci unici su storie che arricchiscono l’intera esperienza. In molti casi, queste missioni superano fasi della trama principale per profondità e fascino, aggiungendo dettagli che ampliano il mondo di Dragon Age. Emmerick, ad esempio, con la sua magia oscura e l'inseparabile Manfred, regala momenti di ironia inaspettata e un tocco di umanità a un personaggio altrimenti legato al semplice ruolo di negromante.
Taash, invece, introduce un tema complesso come quello della non-binarietà. La sua presenza è un’aggiunta importante e apprezzata, ma in alcuni momenti la caratterizzazione sembra limitata o semplicemente forzata. La narrazione spesso definisce Taash quasi esclusivamente attraverso la sua identità di genere, senza approfondire le motivazioni o il percorso che l’hanno portata a essere ciò che è. Questo approccio rende Taash un personaggio attuale e rilevante, ma in alcuni tratti risulta ridotto a un aspetto singolo, quando avrebbe potuto beneficiare di una personalità più completa e sfaccettata, arricchita da altri elementi caratteriali.
Nonostante queste storie personali siano spesso tra i punti più coinvolgenti, la trama principale fatica a mantenere un senso di epicità costante, come ci si aspetterebbe da un Dragon Age. L’Assedio di Weisshaupt, ad esempio, rappresenta un’eccezione notevole: è uno dei momenti più intensi e spettacolari del gioco, e riesce a rendere giustizia alle aspettative dei fan della serie. Tuttavia, questo squilibrio tra le missioni personali dei compagni e la trama principale suggerisce che il vero cuore di The Veilguard risieda proprio nelle storie più intime, piuttosto che in una grande epopea.
Grafica e Direzione Artistica: Un Mondo più Vivo che Mai
Uno degli aspetti più impressionanti di Dragon Age: The Veilguard è la direzione artistica, che porta l’ambientazione fantasy a un nuovo livello di vividezza. I paesaggi, ricchi di dettagli e curati, sono indubbiamente piacevoli alla vista, ma per i personaggi è stato scelto uno stile più “cartoonoso” e vivace rispetto all’approccio più crudo e dark fantasy legato ai capitoli precedenti. Questo cambio di stile, pur aggiungendo una forte identità visiva a The Veilguard, si distanzia dalle atmosfere fredde e cupe dei primi capitoli, avvicinandosi a toni più luminosi e colorati. Se avessero lavorato bene sui personaggi tanto quanto fatto sulla costruzione degli scenari e dell'ambientazione, probabilmente questo problema si sarebbe potuto tranquillamente superare.
Anche il sistema di combattimento ha subito un’evoluzione, orientandosi verso un approccio più action, che su schermo si traduce in una serie di effetti particellari sicuramente accattivanti, ma difficili da gestire soprattutto contro tanti nemici o boss più grandi, dove la telecamera finisce per diventare un nemico ostico da combattere (insieme ai draghi!).
Ogni area esplorabile in The Veilguard è caratterizzata da una palette cromatica unica, studiata con attenzione per enfatizzare l’atmosfera distintiva di ciascun luogo. Le aree naturali, con i loro colori saturi e bagliori mistici, catturano la magia del Thedas, mentre le città si distinguono per tonalità più cupe. Questa cura per i dettagli dona a The Veilguard un’identità visiva forte, in grado di immergere il giocatore nell’ambientazione, pur con i cambiamenti estetici suddetti che potrebbero non piacere a tutti.
Tuttavia, sebbene l’ambiente si riveli costruito con grande cura e ricchezza di dettagli, i personaggi al contrario presentano qualche criticità. Le espressioni facciali, benché migliorate rispetto ai titoli precedenti, risultano a tratti troppo pulite e uniformi, quasi finte se vogliamo, creando una lieve dissonanza visiva con tutto il resto. Questo effetto, probabilmente dovuto a uno stile grafico eccessivamente omogeneo, è evidente soprattutto sui volti dei personaggi non giocanti e delle razze come i Qunari, la cui fisiologia unica meriterebbe un tocco artistico più distintivo.