Treasure Hunt 2001 - The Mask of Nefer

di Redazione Gamesurf
UN PO' DI STORIA

Orbene, nel giugno del 1997, Max stava attraversando il deserto nubiano a bordo della sua jeep. L'occasione del suo soggiorno in Egitto era l'incontro con un amico fotografo con il quale doveva collaborare per la stesura di un articolo destinato ad un rotocalco tedesco. Verso le dieci del mattino, sotto il sole cocente, Max notò la figura di un uomo di circa cinquant'anni che giaceva sulla sabbia rovente, apparentemente senza vita.
Fermata la jeep, Max prestò i dovuti soccorsi all'uomo, rimasto senza cibo né acqua per diversi giorni e lo condusse in salvo al villaggio di Tumas Wa 'Afiyah, dove Mahmoud (questo il nome dell'uomo) viveva. Per ringraziare Max di avergli salvato la vita, l'uomo non esitò a offrirgli un'eccellente ospitalità e un dono speciale, contenuto all'interno di una scatola in legno finemente lavorata: una pietra nera, abbastanza grossa e di forma rotondeggiante. Max prese in mano l'oggetto, l'osservò con attenzione e notò subito che aveva la particolarità di assorbire la luce fino a saturarsi, proprio come una spugna assorbe l'acqua. E proprio in quell'istante ebbe una strana sensazione, come se il sangue gli si fosse congelato nelle vene. Mahmoud gli fece capire a gesti che la scatola conteneva anche qualcos'altro e Max non tardò a scoprire tre rotoli di papiro interamente coperti da geroglifici.
L'egiziano spiego, con non poca difficoltà, che la pietra e i rotoli erano stati tramandati di generazione in generazione nella sua famiglia fino a lui e che, comunque, tutto ciò che gli premeva era frapporre tra la sua vita e quegli oggetti la massima distanza possibile. Tra le tante parole pronunciate dal concitato Mahmoud, una in particolare attirò l'attenzione di Max: "maledizione".

La pietra era dunque maledetta? E cosa rappresentavano tutti quei geroglifici sui rotoli di papiro? Troppe domande, troppi misteri perché un uomo come Max Valentin potesse resistere. Tornato con premura a Parigi, Max fece analizzare pietra e papiri e venne a conoscenza, soltanto sei mesi dopo, che la pietra in questione era un raro, autentico e preziosissimo diamante nero e che i papiri, risalenti alla XXIX dinastia, erano stati scritti da un certo Ptahmès, sacerdote di Anubi, e narravano di un nobile giovane di nome Nefer, uomo saggio, erudito e coraggioso, caduto anzitempo sotto i colpi infertigli da uomini malvagi. Per queste sue particolari virtù, aveva avuto l'onore di ricevere una maschera decorata da una placca d'oro, posta sopra il suo cadavere mummificato.
Nefer era il custode dell'arcana Pietra di Soleb ed era considerato l'unico che avesse il potere di annullare la sua maledizione e di rabbonire l'ira funesta di Horus, Re delle Due Terre. Ma, purtroppo, quegli stessi sciagurati che portarono via la vita di Nefer, ebbero il vile coraggio di sottrarre anche il prezioso oggetto dalle mani della sua mummia, attirandosi di botto tutti gli anatemi divini. Ptahmès allora profetizzò e giurò che il mondo avrebbe conosciuto lacrime e dolori fino al giorno in cui la pietra sarebbe rimasta nascosta agli occhi dell'umanità.
E quel giorno sarebbe arrivato dopo 2400 anni dalla profezia del sacerdote, quando un solo essere umano sarebbe stato trovato degno di succedere a Nefer come sacro custode della Pietra di Soleb. Solo allora il mondo avrebbe conosciuto un'epoca di pace, amore e prosperità, assistendo alla nascita di una nuova era.
A quel punto, ogni indizio conduceva ad affermare che il diamante nero che Mahmoud, probabile discendente della primigenia compagnia di ladri, regalò a Max Valentin, altro non era se non la pietra maledetta, che proprio in quel momento rivelatore cominciò a far sentire tutto il suo terribile potere. Infatti, al termine della lettura della traduzione del papiro, Max si sentì male e, per tutta la settimana seguente, tra emicranie, nausee e perdite di sangue dal naso, non fu possibile per i dottori diagnosticare il morbo da cui era affetto.
Qualche giorno dopo, ad Antwerp, lo stesso esperto che Valentin aveva contattato per analizzare la pietra, venne colpito dai medesimi sintomi e, stavolta, fino alla morte. Ma Valentin non morì; anzi, due settimane più tardi, ricevette una notizia che lo aiutò a recuperare le forze. Un suo amico egittologo venne, infatti, a trovarlo e lo informò del ritrovamento di una maschera molto simile a quella di Nefer descritta nei papiri, custodita nella collezione privata di un lord inglese. La maschera, conservata in condizioni quasi perfette, era ricoperta da una sottile e pregiata lamina d'oro, che arrivava a circondare anche parte del collo; rappresentava un giovane uomo con gli occhi spalancati ed estesi fino alle tempie che sembrava sorridere in modo enigmatico se lo si guardava di fronte.