Vampire: The Masquerade – Reckoning of New York, un terzo e ultimo capitolo privo di mordente

Draw Distance fa un passo indietro rispetto al passato, con una storia e una protagonista che non tengono il passo

di Alessandra Borgonovo

Sebbene non abbia mai giocato al TTRPG Vampire: The Masquerade, mi sono facilmente appassionata alle due visual novel che precedono quella di cui andrò a parlare. Le ho giocate in ordine di uscita, quindi Vampire: The Masquerade – Coteries of New York e Vampire: The Masquerade – Shadows of New York, tra le quali ho apprezzato di più la seconda soprattutto per il personaggio di Julia. Entrambi i giochi sono stati sviluppati da Draw Distance, che ha voluto fare tripletta quest'anno con Vampire: The Masquerade – Reckoning of New York ma non è riuscita a eguagliare i due precedenti; anzi, della trilogia lo trovo il capitolo più debole tanto sotto l'aspetto narrativo quando ludico, per quanto poca interazione abbia da offrire una visual novel a carattere generale.

Questo terzo capitolo mi ha lasciato la sensazione di un'occasione mancata, poiché chiusura del cerchio dedicato a una New York destinata a cambiare, assumere nuova forma e costringere i vampiri che la abitano a fare altrettanto, con annessa una potenziale sostituzione ai vertici che avrebbe potuto offrire tanto in termini narrativi. Invece ci si trova di fronte a una prima protagonista (ce ne sono due a disposizione) completamente slegata e disinteressata alla cosa, dalla lingua tagliente ma senza la capacità di riconoscere quando tenerla a freno, il che sul lungo andare rischia di alienarne la simpatia al giocatore rendendola un'inarrestabile fucina di commenti sarcastici. Il fatto poi che la storia risulti molto inconcludente non aiuta, neppure se rigiocata nei panni dell'altro vampiro.

Nuovo anno, nuove regole

All'inizio della partita possiamo scegliere soltanto il personaggio di Kali, dei due a disposizione: il secondo verrà sbloccato una volta completata la storia dal suo punto di vista. Premettendo che un personaggio non deve per forza essere simpatico per piacere (la maggior parte di quelli della Coterie newyorkese è snervante), purché sia ben scritto e abbia qualcosa di interessante da offrire, Kali non riesce a centrare nessuno di questi obiettivi. Giovanissima vampira, due anni appena dall'Abbraccio, si ritrova improvvisamente abbandonata dal suo creatore e, com'è ormai tradizione delle visual novel di Draw Distance, portata non proprio di sua volontà davanti alla Coterie per rispondere di crimini che ha in parte commesso. In quanto ordini del suo sire non c'erano poi tante scelte ma qualcosa non torna e sembra che dietro azioni all'apparenza minori ci sia uno schema ben più grande in cui è stata coinvolta: per chi ha giocato ai due precedenti capitoli e imparato a conoscere i pazientissimi, nonché inclini all'ascolto, membri della Coterie diventa presto chiaro quanto Kali si trovi sul fiso del rasoio - o della lama di Qadir al-Asmai, il ferreo Sceriffo al servizio del Principe Hellene Panhard della quale aspira prendere il posto.

In qualche modo riesce a ottenere alcuni giorni di tempo per provare la sua innocenza, forte soprattutto del fatto che la Coterie abbia problemi ben più seri di cui occuparsi. Le sarà affiancato un altro vampiro, Pádraic, mediatore affiliato agli Anarchici con il compito di assicurarsi che Kali tenga fede alla promessa - nel bene come nel male. Vampire: The Masquerade – Reckoning of New York si svolge nell'arco di sette giorni, dalla Vigilia di Natale all'anno nuovo, ma di questa settimana le vengono dati solo quattro giorni per portare la testa del suo sire su un piatto d'argento e dunque liberarsi da ogni accusa. Peccato che gli indizi a disposizione rasentino lo zero: Kali si dovrà muovere a tentoni per raccogliere quanto può, in un rapporto inizialmente burrascoso con Pádraic in virtù della sua natura ribelle e dei modi di fare brutalmente ironici, laddove la pacatezza di lui la irrita di continuo. Il problema del personaggio di Kali è che persino al netto di un sarcasmo pungente a volte ben azzeccato, si calca troppo la mano su questo aspetto per renderla godibile sul lungo periodo, in particolare quando agisce in modo brusco senza essere sotto il nostro diretto controllo dando risposte che per modi e tempi chiunque avrebbe evitato. Apprezzabili le citazioni alla cultura pop, comprensibili anche essendo il personaggio giovane per i canoni umani e ancor più giovane in quanto vampiro (praticamente una neonata); resta però sempre valido il detto "il troppo stroppia" e in questo caso Kali manca di quella misura e di quell'equilibrio che l'avrebbero resa molto più godibile.

La stessa Coterie, che sottolineo non è mai stata composta da membri particolarmente piacevoli o con cui è facile interagire senza volerli prendere a ceffoni, sembra aver fatto un passo indietro in termini narrativi ed essere diventata un covo di vampiri sull'orlo dell'isteria. Una visione che stona con la, seppur odiosa, compostezza che li ha caratterizzati nei capitoli precedenti; certo, il problema che li coinvolge e di cui non riescono a scoprire la natura può giocare un ruolo nella loro urgenza ma rimane comunque la sensazione di una scrittura più frettolosa. Se da un lato è stato più che piacevole rivedere e riconoscere personaggi con cui avevo già vissuto due avventure, forti di un nuovo stile sul quale tuttavia si sarebbe potuto osare di più, dall'altro le loro presenze sono state a tratti eccessivamente effimere e prive di quella presenza che meglio li aveva caratterizzati in passato. D'accordo, il diario con tutte le descrizioni del caso aiuta a conoscerli ma è attraverso la storia che voglio viverli, vedere come si comportano e in che modo la loro presenza, in relazione a noi, va a plasmare il destino di Kali - destino peraltro sempre identico indipendentemente dalle decisioni prese, difetto già presente da Coteries of New York.

La situazione non migliora una volta preso il controllo di Pádraic, poiché per quanto sia un personaggio nettamente più interessante di Kali ci porta a ripercorrere la stessa storia da un punto di vista diverso senza per questo dare qualcosa in più alla narrazione a causa del suo ruolo. Senza fare spoiler, la sua posizione gli permetterebbe di assistere a situazioni interessanti che andrebbero a rimpolpare la storia, se solo non fosse il cane da guardia di Kali che si limita ad andare in giro un po' a caso nella speranza di raccogliere abbastanza per reclamare la propria libertà. Pádraic è probabilmente la maggior occasione sprecata di Vampire: The Masquerade – Reckoning of New York, nonostante una marcia in più in termini di reattività che rende la partita con lui quantomeno godibile. Data però l'estrema somiglianza tra le due linee narrative, bloccarlo dietro il completamento del gioco con Kali va soltanto a suo svantaggio perché è chiaro fin quasi da subito che andremo a rivivere quanto già visto senza troppe deviazioni.

Al di là dei singoli personaggi, la storia nel complesso non ha mordente, pur offrendo qualche spunto di lore interessante, e soprattutto ci sono troppi punti irrisolti. In particolare, tra una notte e l'altra assistiamo a scene di intermezzo che poi restano lì appese, o non si capisce come collocarle all'interno della narrazione. Per un personaggio nello specifico c'è una sequenza che poi non ha alcuno sbocco, suggerendo qualcosa che non sapremo mai. Se i due capitoli precedenti, Shadows of New York in particolare, erano in continuo crescendo, Vampire: The Masquerade – Reckoning of New York si trascina per la sua quasi totalità, ha un'impennata verso la fine ma di nuovo torna nel suo torpore per chiudersi in un finale dolceamaro che lascia con più dubbi che certezze.

Un gameplay dalle zanne smussate

Anche in termini di gameplay il gioco zoppica. All'inizio abbiamo la possibilità di distribuire due punti abilità fra le tre a nostra disposizione, il che significa lasciarne almeno una indietro. La poca utilità che queste ultime hanno nel corso della storia, nel senso che non ne influenzano il corso né vanno a a creare una sostanziale minaccia per noi in termini di fame o minaccia aumentate, rende piuttosto indifferente quali scegliere: dipende tutto dal tipo di reazione che vorrete far avere a Kali e in che modo farle risolvere determinate situazioni ma nella pratica si tratta di intermezzi il cui peso narrativo è nullo. Ricordo, soprattutto in Coteries of New York, l'impatto anche solo emotivo di alcune scelte o dell'uso dei poteri, qualcosa che qui manca completamente. Vuoi per una storia in sé che manca di mordente e solo verso la fine ha un leggera impennata, per una protagonista che alla lunga diventa noiosa, o per l'assenza anche solo percettibile di conseguenze sensibili, la minima componente ludica in questo caso non offre niente che non potessimo ottenere semplicemente continuando a leggere e scegliendo una risposta tra tante.

Fame e livello di minaccia non hanno peso nell'economia dell'esperienza. Mi sono ritrovata ad avere un alto livello di fame per un paio di notti consecutive, a causa della mancanza di occasioni per cui cibarsi, ma non c'è stato alcun impatto sull'incolumità di Kali o del suo accompagnatore. Probabilmente, a furia di tirare la corda, si arriva a un estremo tale per cui si rischia la morte ma avrei preferito un maggior bilanciamento in tal senso, così da avvertire le potenziali conseguenze per un uso sconsiderato dei poteri di Kali (che peraltro in alcune occasioni si è costretti a usare); questo anche in termini di bilanciamento per sé, poiché pur avendoli usati a ogni occasione possibile, persino quando non ero obbligata, il livello di pericolo non è mai andato oltre la metà. Il che, in un contesto dove i vampiri sono nettamente più sotto pressione rispetto ai capitoli precedenti, è un po' strano: il contesto in sé offre l'occasione perfetta per una revisione di questa piccola componente di gameplay, che invece si attesta come la più debole e meno significativa della trilogia.

Dal punto di vista artistico, il gioco opta per un nuovo stile che tuttavia non rende ai personaggi la stessa giustizia che in passato: ci sono leggere animazioni che li fanno sembrare "vivi" ma sono monoespressivi quando invece avrebbero potuto beneficiare, anche grazie a questi piccoli movimenti, di una maggior varietà. Restano invece invariate la qualità degli sfondi, per i quali anche qui avrei gradito più diversità, e l'atmosfera in sé. Il comparto musicale invece si dimostra a sua volta ridotto e non memorabile, fatta eccezione per la colonna sonora durante i conflitti che tuttavia non è sufficiente a mantenere l'asticella allo stesso livello dei precedenti.