Vietcong – Purple Haze

di Stefano 'Miyazaki' Guzzetti
Quattro amici e una gita in campagna, ovvero l'originalità.
La guerra.... Questo soggetto trito e ritrito nella maggior parte degli sparattutto in prima persona è ancora una volta protagonista; questa volta si parla di guerra del Vietnam, come avrete capito dal titolo del gioco. Al di là della scontatezza del soggetto, il titolo della Coyote non offre null'altro in più. Prendete altri tre amici e andate gioiosamente in guerra in Vietnam; sposate la causa americana e il gioco è fatto. Se proprio dobbiamo riconoscere un qualcosa alla software house, possiamo evidenziare la forte componente strategica che si è provato a dare al titolo; un po' come Rainbow Six, anche qua comanderete le azioni del resto della vostra ciurma. O perlomeno così dovrebbe essere. Come mai? (direte voi...). Semplice, l'intelligenza artificiale dei vostri commilitoni è ben lungi dall'essere paragonata a quella implementata nel titolo Ubisoft. Nonostante vi adoperiate per impartire gli ordini più tattici che possiate immaginare, degni del miglior Rommel, alla fin fine vedrete gli altri andarsene a spasso e per di più in maniera quasi random, mentre voi vi adoperate al massimo per portare a termine la missione. E allora cosa rimane? Un semplice fps, non più strategico quindi, e per di più realizzato in maniera un po' carente sotto vari punti di vista. La storia in sé (se ce n'è una veramente degna di nota, ma questo vale per la maggior parte degli fps) viene raccontata attraverso varie scene di intermezzo tra una missione e l'altra ma è inutile che ve lo ricordiamo, tanto lo sapete già: siete qui solo per sparare e basta. Mettete l'elmetto.


Le fresche frasche
L'ambientazione principale di Vietcong è il verde. Ne vedrete tanto, troppo forse, quasi vi sembrerà di giocare dentro un evidenziatore che usavate al liceo; il punto però è che a parte una colorazione vivida e di impatto, il titolo Coyote non offre molto. I modelli poligonali sono quasi sulla media e Vietcong più che un gioco per Xbox vi sembrerà un titolo per Playstation 2; abituati come sarete a titoli come Halo (tanto per citarne uno a caso) con questo episodio sembrerà di fare un passo indietro nel tempo. Le textures inoltre sono definite ma quasi nella media e alla fine l'esperienza di gioco può anche divenire monotona; perché diciamocelo chiaramente, dal momento che oggi i videogiochi costano e anche parecchio, è bello anche spendere per qualcosa che giustifichi il gesto. Ma Vietcong non brilla né per originalità, né per doti tecniche, e quest'ultima caratteristica viene perpetuata anche nel comparto dei comandi. Si sa, gli fps sono impostati su un'azione il più delle volte adrenalinica; azioni rapide, date da decisioni momentanee e istintive, questo è il succo dello sparare in prima persona. Ma per farlo abbiamo bisogno di un'interfaccia che ci possa perlomeno far credere che il joypad sia una naturale estensione dei nostri arti; insomma, i comandi devono rispondere, e bene. Nel titolo Coyote invece spesso, purtroppo, abbiamo a che fare con dei comandi lenti e non precisi; questo rende il gioco frustrante e poco piacevole. Peccato perché anche qua si poteva davvero fare di meglio. Continuando il discorso sull'intelligenza artificiale aperto nel paragrafo iniziale, dobbiamo anche menzionarne quella dei nemici che non sempre dimostrano una furbizia degna della situazione. Anzi, con qualche trucchetto da scuola media, spesso e volentieri avrete la meglio sui vostri antagonisti senza troppi sforzi e, soprattutto, senza l'aiuto della vostra squadra che spesso penserà a passeggiare. Quando si dice ';spirito di gruppo'...


Hey Jimmy! Suonacene ancora una!
Andando ad analizzare il comparto sonoro, Vietcong si comporta in maniera sorprendentemente originale. Se la maggior parte degli fps supporta ormai da anni una colonna sonora fatta di musiche dal pathos stellare e temi che vanno a raccogliere a piene mani da ogni stereotipo di musica da suspance, il titolo Coyote ci sbatte nelle orecchie quello che realmente i soldati nel Vietnam volevano sentire per tirarsi su, gasarsi, o quant'altro ancora: le musiche del momento. La musica pop stile sixties e, ancor meglio, un certo modo di suonare la chitarra in maniera hendrixiana, sono la costante della ost di Vietcong; tutto questo è senz'altro degno di nota anche se comunque non ci sono titoli di forte richiamo e qualche licenza in più non avrebbe certo guastato.

Le frasche non sono fresche
Possiamo definitivamente considerare Vietcong un'occasione mancata; un'opportunità di realizzare un bel fps per Xbox andata alla deriva. Questo titolo, oltre a lasciarci un mediocre sparatutto in prima persona tra le mani e uno strategico mancato, ci lascia anche un bel pensiero: non basta la potenza di una macchina come l'Xbox per confezionare un buon prodotto, ma ci vuole anche altro. Qualcosa che però al team Coyote è sfuggito dalle mani. Ma non tutto è perduto: se comunque siete degli appassionati (e sfegatati) consumatori di fps e avete raso al suolo tutta la ludoteca per la console nera, benvenga questo modesto Vietcong che vi terrà incollati allo schermo per un po', e lo farà ancora per un bel po' se sfrutterete la modalità Live proposta. Come dire, nel mentre che aspettiamo Halo 2, andiamo a fare un giretto in Vietnam. E mi raccomando, elmetto in testa.