Visions of Mana, una fiaba tradizionale dal sapore moderno – Recensione PS5

La recensione dell’action-RPG di Square Enix, un gradito ritorno di fiamma per la serie del Mana, una storia d’altri tempi scandita da una formula di gioco e orpelli (quasi) al passo con i tempi

di Jacopo Retrosi

Overworld, città, dungeon, ripeti, è il paradigma che contraddistingue i classici JRPG di una volta, una formula scolpita nella roccia a cui pochi si sono sottratti, produzioni più blasonate comprese. Il nuovo Visions of Mana di Square Enix però se ne frega delle convenzioni ed entra a gamba tesa ponendoci un quesito piuttosto intrigante: e se rimuovessimo uno dei pezzi dall’equazione? 

L’ultimo capitolo della serie del Mana, il primo mainline dopo oltre 15 anni di attesa, propone una formula di gioco action-RPG sui generis con una storia che sa tanto di già visto e di già recitato, risultando assai tradizionale (e stereotipato) sotto numerosi punti di vista. Dalla sua però vanta, oltre che una realizzazione di prim’ordine, è bene precisarlo, un elemento alquanto inusuale tra gli esponenti del genere: un ritmo forsennato, che sacrifica i capisaldi del filone in favore di una progressione frizzante e molto celere, nel bene e nel male. Ma lasciatemi spiegare.

Visions of Mana, la storia

Nel mondo di Vision of Mana elementi e fenomeni naturali sono regolati dal flusso di mana, generato dal sacro albero, per l'appunto, del mana. Solo che questa fornitura non è infinita e ha bisogno di carburante, pertanto ogni quattro anni, otto individui virtuosi per altrettanti spiriti vengono selezionati da una fata per compiere un pellegrinaggio e offrire la propria anima in dono all’albero del mana, che potrà così riprendere la sua attività, almeno fino al prossimo ciclo. I villaggi che vengono meno a questo compito e non inviano un candidato sono destinati alla rovina, e il loro elementale protettore perde tutti i suoi poteri. Un po’ fiscale se posso dire la mia, ma come premessa ci siamo. 

La vicenda prende piede nel villaggio del Fuoco, da cui in genere ha inizio il pellegrinaggio, dove sono appena stati eletti il nuovo “Alm(Miko, “sacerdotessa”, in giapponese, anche se si tratta di un ruolo che possono ricoprire pure gli uomini) del fuoco, Hinna, e la sua guardia personale, Val. Seguiremo le loro vicissitudini mentre cercano di raccattare gli altri Alm sparsi per il continente e di raggiungere l’albero del mana per immolarsi in virtù del ruolo assegnatogli, ma come potete immaginare gli eventi prenderanno tutt’altra piega.

Come asserito in precedenza, la trama di Visions of Mana è di quelle classicheggianti, piena di dialoghi ampollosi, tanti (ma non tutti) avvenimenti scontati e quel feeling da epica tradizionale, dove le forze le bene fronteggiano quelle del male, povera di sfumature. Intendiamoci, nelle 32 ore che ci abbiamo messo per arrivare ai titoli di coda ne sono successe di cose, ma nulla che ci abbia lasciato a bocca aperta, tranne una manciata di momenti topici, diluiti però dal solito melodramma che tanto piace al genere. La sagra delle frasi fatte insomma, ma non nascondiamo che ci siamo tutto sommato divertiti lungo il viaggio, merito di un cast di protagonisti coeso e caratterizzato da poche ma buone sfaccettature. 

Tornando alla nostra tesi iniziale, il ritmo di Visions of Mana non conosce freni e preme costantemente per mandare avanti la baracca. Questo significa che non c’è mai un attimo di stanca o tempi morti, ma gioca a sfavore dei personaggi, usati come meri orpelli narrativi, costretti a sciorinare spiegazioni a iosa per reggere il passo, e non parliamo poi degli espedienti per decidere la meta successiva. “Il cattivo ha bofonchiato qualcosa che ricordo aver sentito in questa nazione dall’altra parte dell’oceano” e altre mirabolanti trovate per spronarci a levare le tende sono insomma all’ordine del giorno.

È tutto molto pretestuoso, ma si impara a conviverci e ad apprezzare, nei suoi limiti, questo approccio fiabesco di una volta. E non è finita qui, perché c’è un altro espediente che il titolo Square Enix adotta per continuare la sua cavalcata: per un buon due terzi di gioco non ci sono dungeon. Fino ad un certo avvenimento tutto è dedicato al worldbuilding, all’assemblaggio del party e a fornire allo spettatore le nozioni di cui potrebbe aver bisogno per comprendere quanto sta accadendo (sempre con la sua proverbiale fretta). 

Poi finalmente Vision of Mana si ricorda di essere un JRPG, abbandona completamente la componente “social” e propone dungeon e boss uno dopo l’altro, quasi senza interruzione, ritagliandosi giusto quei 5-10 minuti di tanto in tanto per concludere l’arco narrativo di ciascuno dei membri della squadra. Non a caso il nostro livello è più che raddoppiato nelle ultime 10 ore. In pratica si passa da un’avventura a un dungeon crawler nell’arco di uno schiocco di dita, una soluzione di sicuro sbilanciata, ma di grande intrattenimento (anche se al termine del “gauntlet” eravamo abbastanza sfiniti). 

Visions of Mana, il gameplay

L’elemento che fa da collante alle due anime di Visions of Mana è il sistema di combattimento action, veloce, spigliato e accurato nelle collisioni, ma non elaborato quanto un Tales Of a caso. Il suo punto di forza sta nella sua modularità, dato che ognuno dei cinque protagonisti potrà scegliere fra ben otto classi diverse. Il loro ruolo sul campo di battaglia è più o meno sempre quello, ma cambiare “Vessel” assicura nuove tecniche e passive, a patto di investire i punti elemento accumulati e di aver trovato in giro i “Calici” e i “Tonici” necessari a sbloccare abilità latenti e slot dove incastonare ulteriori skill.  

La pratica sul campo di battaglia potrebbe risultare monotona se siete alla ricerca di qualcosa di movimentato, ma i fan dei giochi di ruolo avranno di che trastullarsi grazie alle numerose variabili con cui creare il party perfetto, cucito a seconda delle proprie esigenze e del proprio stile. I menù sono un po’ verbosi, ma ci si fa presto il callo.

Esattamente come nella nostra anteprima della demo, dobbiamo però segnalare unIA non esattamente sveglia, incapace di aggirare attacchi ad area ed evitare di colpire i nemici resistenti o immuni ad un particolare elemento proprio con quell’elemento. Una situazione scomoda che porta spesso a sprecare risorse, fortuna che il tasso di sfida non è così elevato. 

A tal proposito, in Visions of Mana si viaggia tanto (all’inizio almeno) e si grinda poco. Basta ricordarsi di affrontare alcuni dei gruppetti di mostri lungo il cammino, poi al resto penseranno i tanti boss, mini-boss e nemesi, i nemici dotati di nome proprio come in Xenoblade Chronicles. Questo ovviamente alla difficoltà standard, o Normal, perché poi ci sono una Hard e una Expert (ma anche una Easy e una Beginner, per chi non mastica il genere o vuole solo seguire la storia), che si sblocca una volta finita l’avventura, e lì il gioco non è così clemente.

E a proposito di Xenoblade, Visions of Mana sembra aver estrapolato dalla gemma Monolith Soft anche il suo amore per location ampie e piene di collezionabili, qui nella forma di oggetti consumabili, scrigni del tesoro, altari con sfide extra e molto altro ancora. Un incentivo come un altro per dedicarsi all’esplorazione in un’opera altrimenti piuttosto lineare. Ci sono anche missioni secondarie per tornare sui propri passi, ma si tratta perlopiù di fetch quest poco interessanti; sono tante però, e le ricompense niente male. 

Visions of Mana, grafica e sonoro

Dal punto di vista tecnico, Visions of Mana stupisce per colpo d’occhio, con scorci dai colori accesi da mozzare il fiato, ma un forse un po’ troppo saturi nei primi piani, mostrando il fianco di un engine studiato per hardware della scorsa generazione (il gioco è disponibile anche su PS4). I modelli sono ricchi di dettagli, tuttavia le texture appaiono piatte, cosa che contribuisce al look in stile “anime” ma mal si presta alle tante inquadrature ravvicinate durante i numerosi intermezzi. 

Intermezzi che patiscono un set limitato di animazioni per i personaggi, cui si cerca di metterci una pezza con dissolvenze e angolazioni forzate della telecamera, ma che non nascondono quel feeling “retrò” che si rifiuta di abbandonare il genere, come movenze monche a indicare un’interazione o la tendenza a mettersi in posa dopo ogni frase. Decisamente meglio la situazione in-game, con animazioni fluide per fasi platform e combattimenti, ottimi effetti speciali, prestazioni abbastanza solide (ogni tanto il gioco perde qualche colpo, ma nulla di grave) e in generale schermate pulite e leggibili, anche nel marasma degli scontri più popolosi. Insomma, bello da vedere in movimento, meno se ci si concentra sui particolari.

Gradevole e molto variegata la colonna sonora, con una vasta scaletta di brani bucolici per le traversate e dal sapore più epico per le tante battaglie che ci attendono, in particolar modo contro i boss. Il mood è quello classico Square Enix, a partire dal tema d’apertura del menù principale, con melodie che descrivono sempre bene l’attimo e si lasciano ascoltare sul lungo termine. Buono il doppiaggio (abbiamo optato per quello giapponese), anche se un po’ lento per via dei tanti spiegoni a cui è soggetto, anche nei momenti più impegnati, risultando decisamente monocorde. Fortuna che c’è Careena a portare un po’ di colore negli scambi di battute, o avremmo rischiato di addormentarci più volte.