WorldShift
di
Gabriele Cazzulini
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Punto esclamativo! Come dopo un sospiro di sollievo alla scoperta che esiste l'impossibile: un gioco di strategia in tempo reale che non richiede una laurea in ingegneria o una vocazione al masochismo. Niente istruzioni enciclopediche, niente mesi trascorsi a negoziare una tregua col cervellotico sistema di controllo. Worldshift si presenta sulla passerella dei nuovi titoli con una pretesa storica: rivoluzionare il genere rts per trasformarlo in un formato a portata di tutti, dai secchioni alle pupe. Fine della superbia con cui gli aristocratici giocatori di rts gettavano occhiate di biasimo verso il popolino affamato di giochi d'azione dove tutto é controllato da tre dita al massimo e basta un solo neurone a controllare quelle tre dita? Adesso arriva la risposta...
LA POLPA
Il tipico canovaccio della recensione politicamente corretta vorrebbe questo prologo riservato alla storia, alla sceneggiatura, ai personaggi. Insomma é come prenderla larga. Invece questa volta i canoni sono stravolti e i cannoni della critica sono pronti a colpire il centro del bersaglio. Intanto bisogna dare a Worldshift quel che é di Worldshift: la paternità di un concetto di strategia in tempo reale semplificata, alleggerita, comprensibile. Lo schermo non é affollato da decine di variabili che possono comandare dagli schieramenti dei grandi eserciti fino al nodo della scarpa dell'ultimo fante. Impressionante, affascinante. Ma anche dannatamente complicato. E adesso? Worldshift é immediatamente giocabile, senza allenamenti, senza manuali. Facile come aprire una lattina invece che stappare una bottiglia invecchiata. La sua forza é all'appello all'intuitività e ad una struttura di gioco più uniforme e lineare rispetto alle labirintiche opportunità di gioco un rts del vecchio conio. Piano però con il trionfalismo. Questa cavalcata delle Valchirie che sembra porta Worldshift nell'Olimpo dei videogiochi corre su un pavimento molto fragile - e qui si avvertono i primi scricchiolii. Strategia per tutti, visuale dall'alto, vegetazione vivace, giochi di luce. Tutti presenti.
Ma é anche presente un fattore che non dovrebbe esserci. Non é la qualità scadente della dimensione audio video. Non é neppure la narrazione, anche se non brilla per fantasia. E allora? Cos'é? E' la struttura di gioco. Un conto é semplificare. Un altro conto é squadrare il gioco riducendolo ad una trasmigrazione dell'anima del gioco d'azione nel corpo di un gioco di strategia. Traduzione: la facilità di usare Worldshift é sostenuta da un impostazione del gioco che risulta nettamente sbilanciata dalla parte dell'azione diretta - clicca sul protagonista e dirigilo in un punto. Stop. Più o meno. Nota bene: non si tratta di azione come azione vera e propria, cioé combattimento che viene gestito direttamente dal giocatore. Il gioco resta sempre sul piano della strategia, ma é una strategia che scorre troppo liscia, prevedibile, scontata. Talvolta pure banale. E' come per gli sparatutto: c'é un'unica legge che governa l'evoluzione del gioco e recita: fai quello che devi fare. E' una logica molto stringente, che nello sparatutto é mitigata dalla frenesia dell'azione. Un gioco rts ha ritmi molto più blandi perché il dinamismo corre con le scelte tra strategie che vanno rapidamente adattate al mutare del contesto. Sono le sinapsi che devono fare gli straordinari, mentre nello sparatutto l'attività cerebrale é chiusa per cessata attività. Stop. Adesso é anche finita anche questa doverosa precisazione che sfata il mito di Worldshift per rendere giustizia dei suoi vizi e virtù. Strategia sì, ma così annacquata da essere un'azione comandata col mouse, qualche dita e poco, pochissimo cervello.
LE OSSA
Adesso la recensione può riprendere col freddo rigore dello scienziato che analizza al microscopio il suo vetrino. Tutto nella norma. Tre grandi razze di gioco, ognuna con poche, grandi divisioni di ruolo interni, un pianeta dalla fauna vivente e dalla vegetazione rigogliosa, un sistema di avanzamento della tecnologia che é personalizzabile da ogni giocatore - raccogliendo oggetti e poteri e poi combinandoli a piacimento. Quindi basta con le evoluzioni a tappe forzate, sbloccate solo ad un certo punto, con certe risorse, secondo un certo insieme di abilità. Quindi niente mal di testa e niente esaurimenti nervosi perché quel particolare potere non si é ancora sbloccato. Ecco una nota di merito per Worldshift. Ma neanche il tempo di alzare i calici per il brindisi, che arrivano le dolenti note. Anche condividendo l'impostazione della strategia all'acqua di rose, il gioco stesso non si lascia governare in maniera così naturale. Non esistono comandi unificati per muovere tutti le truppe insieme. Male. Non é nemmeno facile individuare tutte le truppe con una conformazione geografica molto ricca. Malissimo. Il peggio arriva proprio qui: gli scenari offrono molte opportunità per un approccio veramente strategico, perché ci sono sentieri, valli, pendici, strettoie, corsi d'acqua - che però non sono raggiungibili. Infatti c'é sempre un unico percorso, normalmente su un tragitto in pianura, che collega il punto x al punto y. Sembra il vecchio giochino di enigmistica che fa collegare i punti numerati con un'unica linea. Post-it: la prossima volta sarebbe gradito più rispetto per le facoltà intellettive del videogiocatore.
I NERVI
Worldshift rimedia a questa falsa semplificazione della strategia in tempo reale predisponendo differenti modalità di gioco che includono il multiplayer online e offline, l'allenamento, il gioco cooperativo. Anche qui l'obiettivo é quello di raggiungere una giocabilità globale, che scorre dalla più classica campagna in single player per travasarsi nel multiplayer online e offline. Il circuito funziona, i menu sono funzionali ed efficaci per passare da una modalità all'altra. Però anche queste profumate spezie non cambiano il sapore di fondo, genuino, diretto, spesso limitato. Ottimo per un pubblico che non sopravvive ai primi cinque minuti di un vero gioco in rts. Ma non é detto che i primi cinque minuti di Worldshift siano vissuti col sorriso a trentadue denti o che siano seguiti da altri cinquanta minuti di piacevolissimo intrattenimento. E la storia? Eccola: un meteorite ha centrato la terra distruggendo la civiltà umana con una tremenda peste. Doppia sfiga. Questo accadde infinite migliaia di anni fa. Oggi sono sopravvissute soltanto tre razze: gli umani ancora sani, raggruppati in cinque sterminate metropoli; gli alieni che sono arrivati col meteorite e quegli umani che fantozzianamente sono stati colpiti dalla peste subendo disumane mutazioni genetiche. Va bene la fantasia, anche tirata per i capelli in questa storia così annoiata. Ma di questo passo si formeranno comitati spontanei di videogiocatori per firmare la petizione contro le storie banali. Stop con le lacrime amare; é ora di rifarsi il trucco degli occhi con una grafica lussureggiante e pulita tecnicamente. Senza lode e senza infamia. Sempre ordinata, differenziata quanto basta. Ingredienti sufficienti a cucinare un piatto moderatamente gustoso. Ricchi i dettagli dei corpi, più per il design che non per le animazioni, piuttosto grossolane. Audio? All'inizio appassionante. E' ben calibrato sullo svolgimento del gioco. Poi scatta la trappola della ripetitività e l'incanto per le orecchie diventa un disco incantato.
SIPARIO
Voce del verbo noia: Worldshift s'é impantanato nelle sue stesse contraddizioni. Voleva portare la strategia in tempo reale nelle case di tutti i videogiocatori. Alla fine il campanello suona ma dentro alla scatola c'é un prodotto che vince la medaglia d'oro dell'accessibilità ma finisce retrocesso nella graduatoria del coinvolgimento e della facilità d'uso. Non basta una solida struttura audiovisiva per ripagare dell'acquisto. Passo e chiudo.
Punto esclamativo! Come dopo un sospiro di sollievo alla scoperta che esiste l'impossibile: un gioco di strategia in tempo reale che non richiede una laurea in ingegneria o una vocazione al masochismo. Niente istruzioni enciclopediche, niente mesi trascorsi a negoziare una tregua col cervellotico sistema di controllo. Worldshift si presenta sulla passerella dei nuovi titoli con una pretesa storica: rivoluzionare il genere rts per trasformarlo in un formato a portata di tutti, dai secchioni alle pupe. Fine della superbia con cui gli aristocratici giocatori di rts gettavano occhiate di biasimo verso il popolino affamato di giochi d'azione dove tutto é controllato da tre dita al massimo e basta un solo neurone a controllare quelle tre dita? Adesso arriva la risposta...
LA POLPA
Il tipico canovaccio della recensione politicamente corretta vorrebbe questo prologo riservato alla storia, alla sceneggiatura, ai personaggi. Insomma é come prenderla larga. Invece questa volta i canoni sono stravolti e i cannoni della critica sono pronti a colpire il centro del bersaglio. Intanto bisogna dare a Worldshift quel che é di Worldshift: la paternità di un concetto di strategia in tempo reale semplificata, alleggerita, comprensibile. Lo schermo non é affollato da decine di variabili che possono comandare dagli schieramenti dei grandi eserciti fino al nodo della scarpa dell'ultimo fante. Impressionante, affascinante. Ma anche dannatamente complicato. E adesso? Worldshift é immediatamente giocabile, senza allenamenti, senza manuali. Facile come aprire una lattina invece che stappare una bottiglia invecchiata. La sua forza é all'appello all'intuitività e ad una struttura di gioco più uniforme e lineare rispetto alle labirintiche opportunità di gioco un rts del vecchio conio. Piano però con il trionfalismo. Questa cavalcata delle Valchirie che sembra porta Worldshift nell'Olimpo dei videogiochi corre su un pavimento molto fragile - e qui si avvertono i primi scricchiolii. Strategia per tutti, visuale dall'alto, vegetazione vivace, giochi di luce. Tutti presenti.
Ma é anche presente un fattore che non dovrebbe esserci. Non é la qualità scadente della dimensione audio video. Non é neppure la narrazione, anche se non brilla per fantasia. E allora? Cos'é? E' la struttura di gioco. Un conto é semplificare. Un altro conto é squadrare il gioco riducendolo ad una trasmigrazione dell'anima del gioco d'azione nel corpo di un gioco di strategia. Traduzione: la facilità di usare Worldshift é sostenuta da un impostazione del gioco che risulta nettamente sbilanciata dalla parte dell'azione diretta - clicca sul protagonista e dirigilo in un punto. Stop. Più o meno. Nota bene: non si tratta di azione come azione vera e propria, cioé combattimento che viene gestito direttamente dal giocatore. Il gioco resta sempre sul piano della strategia, ma é una strategia che scorre troppo liscia, prevedibile, scontata. Talvolta pure banale. E' come per gli sparatutto: c'é un'unica legge che governa l'evoluzione del gioco e recita: fai quello che devi fare. E' una logica molto stringente, che nello sparatutto é mitigata dalla frenesia dell'azione. Un gioco rts ha ritmi molto più blandi perché il dinamismo corre con le scelte tra strategie che vanno rapidamente adattate al mutare del contesto. Sono le sinapsi che devono fare gli straordinari, mentre nello sparatutto l'attività cerebrale é chiusa per cessata attività. Stop. Adesso é anche finita anche questa doverosa precisazione che sfata il mito di Worldshift per rendere giustizia dei suoi vizi e virtù. Strategia sì, ma così annacquata da essere un'azione comandata col mouse, qualche dita e poco, pochissimo cervello.
LE OSSA
Adesso la recensione può riprendere col freddo rigore dello scienziato che analizza al microscopio il suo vetrino. Tutto nella norma. Tre grandi razze di gioco, ognuna con poche, grandi divisioni di ruolo interni, un pianeta dalla fauna vivente e dalla vegetazione rigogliosa, un sistema di avanzamento della tecnologia che é personalizzabile da ogni giocatore - raccogliendo oggetti e poteri e poi combinandoli a piacimento. Quindi basta con le evoluzioni a tappe forzate, sbloccate solo ad un certo punto, con certe risorse, secondo un certo insieme di abilità. Quindi niente mal di testa e niente esaurimenti nervosi perché quel particolare potere non si é ancora sbloccato. Ecco una nota di merito per Worldshift. Ma neanche il tempo di alzare i calici per il brindisi, che arrivano le dolenti note. Anche condividendo l'impostazione della strategia all'acqua di rose, il gioco stesso non si lascia governare in maniera così naturale. Non esistono comandi unificati per muovere tutti le truppe insieme. Male. Non é nemmeno facile individuare tutte le truppe con una conformazione geografica molto ricca. Malissimo. Il peggio arriva proprio qui: gli scenari offrono molte opportunità per un approccio veramente strategico, perché ci sono sentieri, valli, pendici, strettoie, corsi d'acqua - che però non sono raggiungibili. Infatti c'é sempre un unico percorso, normalmente su un tragitto in pianura, che collega il punto x al punto y. Sembra il vecchio giochino di enigmistica che fa collegare i punti numerati con un'unica linea. Post-it: la prossima volta sarebbe gradito più rispetto per le facoltà intellettive del videogiocatore.
I NERVI
Worldshift rimedia a questa falsa semplificazione della strategia in tempo reale predisponendo differenti modalità di gioco che includono il multiplayer online e offline, l'allenamento, il gioco cooperativo. Anche qui l'obiettivo é quello di raggiungere una giocabilità globale, che scorre dalla più classica campagna in single player per travasarsi nel multiplayer online e offline. Il circuito funziona, i menu sono funzionali ed efficaci per passare da una modalità all'altra. Però anche queste profumate spezie non cambiano il sapore di fondo, genuino, diretto, spesso limitato. Ottimo per un pubblico che non sopravvive ai primi cinque minuti di un vero gioco in rts. Ma non é detto che i primi cinque minuti di Worldshift siano vissuti col sorriso a trentadue denti o che siano seguiti da altri cinquanta minuti di piacevolissimo intrattenimento. E la storia? Eccola: un meteorite ha centrato la terra distruggendo la civiltà umana con una tremenda peste. Doppia sfiga. Questo accadde infinite migliaia di anni fa. Oggi sono sopravvissute soltanto tre razze: gli umani ancora sani, raggruppati in cinque sterminate metropoli; gli alieni che sono arrivati col meteorite e quegli umani che fantozzianamente sono stati colpiti dalla peste subendo disumane mutazioni genetiche. Va bene la fantasia, anche tirata per i capelli in questa storia così annoiata. Ma di questo passo si formeranno comitati spontanei di videogiocatori per firmare la petizione contro le storie banali. Stop con le lacrime amare; é ora di rifarsi il trucco degli occhi con una grafica lussureggiante e pulita tecnicamente. Senza lode e senza infamia. Sempre ordinata, differenziata quanto basta. Ingredienti sufficienti a cucinare un piatto moderatamente gustoso. Ricchi i dettagli dei corpi, più per il design che non per le animazioni, piuttosto grossolane. Audio? All'inizio appassionante. E' ben calibrato sullo svolgimento del gioco. Poi scatta la trappola della ripetitività e l'incanto per le orecchie diventa un disco incantato.
SIPARIO
Voce del verbo noia: Worldshift s'é impantanato nelle sue stesse contraddizioni. Voleva portare la strategia in tempo reale nelle case di tutti i videogiocatori. Alla fine il campanello suona ma dentro alla scatola c'é un prodotto che vince la medaglia d'oro dell'accessibilità ma finisce retrocesso nella graduatoria del coinvolgimento e della facilità d'uso. Non basta una solida struttura audiovisiva per ripagare dell'acquisto. Passo e chiudo.
WorldShift
6
Voto
Redazione
WorldShift
Apriti sesamo? Apriti sedano? Niente da fare. La formula magica non esiste. Invece che gioco di strategia alla portata di tutti, Worldshift si rivela una marinaio col vizio delle promesse. Col pugnale sotto al mantello di una grafica accattivante e di un sistema di controllo a prova di Homer Simpson, Worldshift trafigge l'ignaro giocatore con la noia di un gioco che offre uno e un solo modo di giocare. E' come risolvere il problema dell'alcolismo lasciandosi morire di sete. Il passo falso di Worldshift insegnerà a correggere il tiro la prossima volta. La stagione della caccia ad un rts per tutti resta aperta.