Zone of the Enders HD Collection

di Bizio Cirillo
La prima cosa che viene in mente quando si pensa a Hideo Kojima é senza ombra di dubbio Metal Gear Solid, fatto del tutto inevitabile visto che stiamo parlando di una delle saghe più conosciute e longeve della storia dei videogames, oltreché di uno dei maggior punti di riferimento del genere action stealth.
Ad ogni buon conto é opportuno ricordare che Kojima non é solo pane e Solid Snake. A lui si devono produzioni come Policenauts (1994) o Tokimeki Memorial (ben tre gli episodi della serie prodotti fra il 1997 ed il 1998), senza dimenticare la visual novel Snatcher (1988), il ben più recente Castlevania: Lords of Shadow e soprattutto Zone of the Enders.
Fra tutti, ZOE rappresenta senz'ombra di dubbio una delle migliori opere minori create dal buon Hideo. Conosciuto inizialmente più per portare in dote la prima demo giocabile di Metal Gear Solid 2 che non per la qualità intrinseca del gioco, in due sole uscite Zone of the Enders ha, infatti, avuto il merito di rivitalizzare un genere in declino come quello degli action ispirati ai mech, finendo col diventare una delle migliori espressioni del genere nell'epoca d'oro di Sony e della sua Playstation 2.


Non stupisce, pertanto, che sia stato proprio Zone of the Enders ad entrare nel novero dei titoli “degni” di disporre di un'edizione da collezione in alta definizione, diventando così la terza “HD Collection” targata Konami dopo Metal Gear Solid e Silent Hill.
Uscito nel lontano 2001 agli albori dell'era Playstation, il primo Zone of the Enders presentava uno stile narrativo decisamente desueto per l'epoca, riconducibile più ai classici stilemi dell'animazione giapponese che non ad un action game vero e proprio.
Seppur con le dovute eccezioni del caso, sulla falsariga di quanto già visto nel ben più famoso Gundam di Tomino, al giocatore veniva, infatti, offerta l'opportunità di vestire i panni Leo Stenbuck, un abitante qualunque della colonia orbitante Antilla, costretto suo malgrado ad intervenire nella contesa che vedeva contrapposti gli abitanti del pianeta Terra agli “Enders”, ovvero i coloni di Marte e delle megalopoli orbitanti situate attorno a Giove considerati alla stregua della feccia del genere umano.
Finito per caso (esattamente come Amuro Ray) alla guida dell'orbital frame soprannominato Jehuty (un avanzatissimo mech da combattimento alimentato a Metatron, il minerale ad alto potenziale energetico estratto dal sottosuolo di Callisto), al giovanissimo protagonista sarebbe, infatti, spettato l'ingrato compito di bloccare l'avanzata della fazione di Bahram, decisa più che mai a sfruttare la potenza di fuoco dell'orbital frame gemello - Anubis- per estendere il proprio dominio tanto sulle colonie “amiche” quanto sugli odiati nemici del Pianeta Terra.
Come nel più classico dei Metal Gear Solid, attraverso sequenze in CGI (di modesta fattura anche per l'epoca) Kojima sfruttava a dovere il plot narrativo per sviluppare situazioni e pensieri piuttosto profondi, ponendo l'accento sulla fragile psicologia del giovanissimo Leo (appena adolescente), sul suo rapporto quasi empatico con il computer di bordo del Jehuty -ADA- e soprattutto sulla sublimazione del concetto legato all'eterna lotta interiore fra bene e male, con la consapevolezza che nessuna cosa può essere completamente yin o yang.


Vista l'assenza di un comparto tecnico veramente all'altezza, il punto di forza di Zone of The Enders era tuttavia rappresentato dal sistema di gioco vero e proprio, capace di offrire un ottimo mix fra fase esplorativa e combattimento ed una libertà di movimento pressoché assoluta.
Pur con i limiti del caso dovuti per lo più all'inesperienza del team su una console ancora troppo acerba come era la Playstation 2 in quegli anni, Zone of The Enders permetteva di inscenare splendidi scontri “uno a uno” o “uno a molti” su piani differenti (senza mai perdere di vista né il proprio mezzo né tantomeno i mech avversarsi) tanto letali quanto appaganti per la vista, con situazioni di gioco, effetti speciali ed inquadrature di stampo prettamente cinematografico difficilmente riscontrabili in altre produzioni dello stesso genere. Il tutto era accompagnato da un sistema di controllo essenziale e pratico, capace di assecondare al contempo tanto le esigenze di chi prediligeva un approccio alla battaglia un po' più tattico, quanti di chi al contrario preferiva dare sfogo a tutta la potenza di fuoco disponibile sul Jehuty.

I “buoni propositi” del primo ZOE finirono di fatto col diventare le vere fondamenta del capitolo successivo. Erano passati due anni dall'uscita del primo ZOE, ma soprattutto era cambiata sia la metodologia di lavoro del team di sviluppo che l'esperienza su un hardware capace di fare ben più di quanto mostrato fino a quel momento. La base di Zone of The Enders pareva già più che ottima in termini di idee e contenuti, sebbene non mancassero critiche per la mancanza di un protagonista di un certo spessore (che risultasse credibile al comando di una macchina di morte come il Jeuthy) e per un comparto tecnico non all'altezza della situazione. Abbandonato il giovanissimo Leo in favore del ben più rude Dingo Egret, (un ex pilota delle forze di Bahram noncurante del mondo che lo circondava, ma pur sempre capace di sopportare il peso del destino dell'intero universo), The Second Runner prendeva di fatto il meglio del primo ZOE e lo elevava all'ennesima potenza, offrendo al giocatore l'opportunità di vivere un esperienza di gioco pressoché unica nel suo genere.


The 2nd Runner aveva, infatti, la capacità di coniugare alla classica trama ultra articolata di “Kojimiana memoria” un comparto tecnico di grandissimo spessore, forte di una grafica in cell shading decisamente azzeccata per un titolo “anime style” (caratterizzazione dei personaggi e degli Orbital Frame da far impallidire anche i migliori fumettisti dell'epoca) come questo, ma soprattutto di un gameplay tanto profondo quanto vario.
La continua alternanza di fase esplorativa e combattimenti a dir poco impegnativi e spettacolari, l'uso di frequenti filmati in CG tanto suggestivi quanto utili per comprendere al meglio la psicologia dei protagonisti, tutto pareva finalmente misurato al millimetro, con buona pace di chi riteneva il primo ZOE un mero esercizio di stile in attesa del tanto osannato Metal Gear Solid 2. Come se non bastasse, ZOE 2 aveva infine il merito di spingere l'hardware PS2 ad un livello mai visto fino a quel momento, al punto da risultare ancora attuale nonostante i dieci anni di onorata carriera.

Quando la parola HD diventa poco più di un inutile suffisso
Ci si chiede spesso fino a che punto debba spingersi un team di sviluppo incaricato di aggiornare una Hit videoludica con un decennio sulle spalle. Da un lato c'é, infatti, chi romanticamente ritiene che il gioco debba essere toccato il meno possibile, dall'altro chi, al contrario, si aspetta di vedere riattualizzati i titoli di maggior richiamo della precedente generazione di console.
Purtroppo la verità sta fin troppo spesso nel mezzo, con il risultato di vedere disilluse le aspettative di entrambe le parti. Anche in questo caso, il lavoro svolto dal team High Voltage Software (incaricato di eseguire la conversione dell'opera originale) é risultato piuttosto altalenante, evidenziando da un lato i punti di forza di 2nd Runner ed acuendo al contrario i difetti strutturali del primo ZOE. Per quanto concerne il primissimo capitolo della serie, con l'adattamento del gioco alla nuova risoluzione HD si ha avuto come sgradito effetto quello di peggiorare ulteriormente la situazione, evidenziando i limiti di un core incapace di gestire nel migliore dei modi una grafica poligonale piuttosto scarna nonostante il consueto uso -per l'epoca- di scenari con orizzonte fortemente limitato.


Sicuramente più apprezzabile il lavoro svolto su 2nd Runner, dotato di un motore già piuttosto avanzato e quindi molto più adatto ad "accogliere" le modifiche effettuate in corso d'opera. Fra queste spiccano senza ombra di dubbio il marcato attenuamento dell'asialing riscontrabile originariamente sia sugli ambienti che sopratutto sugli Orbital Frame coinvolti in battaglia, così come l'introduzione di filtri avanzati in grado di assicurare una maggiore brillantezza di tutte le texture utilizzate nel gioco. Più che condivisibile, infine, la scelta di inserire filmati introduttivi completamente nuovi in puro stile anime, una scelta questa più che adatta per un gioco che fa proprio dell'ambientazione e della trama il proprio miglior punto di forza.