Recensione Space Force Steve Carell batte sul tempo Donald Trump
Steve Carell batte sul tempo Donald Trump
Steve Carell tra gli attori del cosiddetto gruppo dei Frat Pack (Ben Stiller, Will Ferrell, Jack Black, Vince Vaughn e i fratelli Wilson) è stato probabilmente l'attore più in grado di scorazzare nel cinema "serio" e per certi versi "impegnato".
L'attore di 40 anni vergine e di serie tv, negli ultimi anni sembra aver lasciato la veste di interprete esclusivamente demenziale, togliendosi la soddisfazione di lavorare con cineasti come Zemeckis, Allen, Van Groeningen e Miller (grazia al quale ha ottenuto la sua prima e per ora unica nomination ai Premi Oscar per Foxcatcher).
Oggi Carell torna alle serialità.
E soprattutto torna al suo umorismo fatto di volti impassibili, di giochi di parole, smorfie e "tap tap".
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Il generale Naird (Carell) viene incaricato dall'amministrazione Usa a Washington di guidare un nuovo corpo dell'esercito americano: la Space Force. I soldati dello spazio infatti si affiancano all'esercito, l'aviazione, la marina e la tanto bistrattata (nella serie) guarda costiera. C'è solo un piccolo problema: per guidare questo importante corpo il generale deve trasferirsi da Washington al Colorado, presso la segretissima (ma nemmeno tanto, aspetto questo ben presente sin dalle prime sequenze) base centrale Space Force.
La scelta è un piccolo grande trauma familiare: la moglie va subito in galera (per imprecisati motivi, spetta all'immaginazione dello spettatore). La figlia invece (a cui non viene consentito di fare tatuaggi) da ragazza del New Jersey si trova spaesata in questo universo molto cowboy ed in cui al massimo può socializzare con un soldato russo in distaccamento nella base (che sicuramente non è una spia) ed un ragazzo dell'Alabama che già è tanto se legge ciò che c'è scritto sui siti web (tipo che la Regine Elisabetta II è una pusher).
Nella sua nuova funzione di generale della Space Force, Naird si deve rapportare con lo scienziato capo Mallory, interpretato da uno strepitoso John Malkovich, effeminato e maestro dello sci alpino quando era Ginevra assieme al padre diplomatico.
In 10 episodi (certi di vedere a breve la seconda stagione) i due si dovranno confrontare con generali riottosi, social media manager scapestrati e fanatici dei selfie e con guai familiari con tanto di matrimoni "aperti".
Per non parlare di fantomatiche First Lady che sottopongono nuove divise alla Space Force, tutte molto alla moda.
C'è una felice tempistica che rende questo ritorno di Carell al demenziale particolarmente interessante: l'amministrazione Usa qualche settimana fa (ed in piena emergenza Covid-19) ha deciso effettivamente di lanciare la sua Space Force, una branca autonoma dell'esercito capace di ritagliarsi il ruolo di guardiana degli interessi statunitensi nello spazio.
La scelta sembra far ridere, essendo quella di un Presidente noto per il suo istrionismo e il suo pressapochismo nelle scelte strategiche di lungo periodo (che il più delle volte non esistono), ma si prospetta come una via per certi versi obbligata (ed attestata anche dallo sviluppo di una dedicata branca giuridica) per le linee guida strategiche di una superpotenza come quella americana, che già registra una grande concorrenza sul tema spaziale da parte degli altri player globali (alcuni anche presenti in questa serie, in primis India e Cina Popolare).
E' però interessante notare come per forza di cose questa serie (che vede Carell anche produttore oltre che autore assieme a Craig Daniels, sodale di Carell sin dai tempi di The Office) nasca prima della scelta di Trump di istituire le forze Usa dello spazio. Aspetto questo che rende quanto mai attuale (e dunque doppiamente godibile) questo interessante prodotto della serialità Netflix.
Carell e Daniels impostano la struttura del racconto su vari episodi (il generale Naird che fa una simulazione lunare, gli indiani che "rubano" il sistema Pegasus agli Usa, o un'imprenditrice rampante che fa visita al quartier generale per sperimentare un nuovo tipo di carburante farlocco) e inseriscono tantissimi riferimenti satirici (molto da SNL della Nbc) alla politica Usa.
Trump non è mai citato, ma il Potus (nome in codice del Presidente Usa da decenni) appare sempre come una minaccia incombente coi suoi tweet di fuoco.
Così come interessante appaiono le scene in cui il generale Naird deve rapportarsi con la sua controparte politica, la commissione di controllo composta dallo Speaker del Congresso Pitosi (deve essere d'origine californiana, a occhio e croce) e dalla deputata "quella giovane e arrabbiata", che guarda caso si chiama Isidro-Campos.
Per non parlare poi del Deputato dell'Oklahoma, che ovviamente ci tiene a ribadire che la terra è piatta (stesso discorso dell'Alabama: non ne escono bene gli stati interni al paese, trattati Space Force di un prodotto prettamente "costiero" e perlopiù rivolto ad uno spettatore dal livello di istruzione medio-alto).
Interessante anche la figura del social media manager del generale, il signor Scarapiducci (forse non tutti ricordano Anthony Scramucci e i suoi pochi mesi da "titolatissimo" portavoce della White House) che cerca sempre di far apparire Naird come un fenomeno da social e non esita a farsi un selfie mentre delle spaesate femministe irrompono durante l'audizione di Naird al Congresso urlando "Vogliamo il diritto alla nostra vulva!" ("guardate che questa è l'audizione per la Space Force: la Corte Costituzionale si riunisce mercoledì").
Alcune sequenze sono decisamente ultrademenziali (come il tentativo di guidare una scimmia nello spazio nel secondo episodio). Altre racchiudono il senso della vita (la differenza che Mallory fa tra un completo e un ensamble). Il tutto in un'atmosfera in cui sembra di essere di essere usciti dalle commedie di Landis o dello slovacco Reitman degli anni '80.
Ma con un occhio al presente: il presidente di una serie che anticipa il vissuto della nostra politica attuale.
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Redazione