Andor 2: la recensione della nuova stagione su Disney+ dal 22 aprile
Lo spin-off della serie basata su un classico del videogioco ritorna con una seconda stagione che mantiene qualche difetto della precedente, ma ne amplifica le ambizioni
Quanto in là ci si può spingere in nome della libertà? Il fine giustifica i mezzi, scriveva Macchiavelli in un testo spesso usato dal potere per legittimare i propri strumenti di sopravvivenza. Ma cosa succede quando la lottà per libertà e uguaglianza ricorre agli stessi strumenti del regime fascista che vuole abbattere? Sono tante e complicate le domande a cui la seconda stagione di Andor, in arrivo il 22 aprile su Disney+, prova a rispondere, sempre continuando ad aggiungere tasselli inediti e di altissima qualità alla ricca mitologia di Star Wars.
Andor 2: l’Impero colpisce ancora
Tra le tante cose che la prima stagione di Andor ha dimostrato, in cima alla lista c’è la conferma che uno show di Star Wars possa essere diverso da ciò a cui Star Wars ha abituato i suoi appassionati e spettatori. Andor ha un approccio realistico, laddove di solito il materiale dell’universo creato da George Lucas è stato quasi sempre presentato come una fiaba. La differenza tra Andor e la restante produzione recente (e non) dedicata a SW si coglie al primo sguardo, talmente è evidente il contrasto tra i toni e i colori caldi usati di solito e la fotografia cupa, da dramma, che caratterizza Andor. Eppure, la serie creata da Tony Gilroy e prodotta da Lucasfilm riprende una caratteristica dell’originale Star Wars, quello ideato e diretto dallo stesso Lucas nel 1976, ovvero quella di sfruttare il racconto fantastico per parlare del presente.
Come più volte raccontato dallo stesso Lucas, spesso nell’incredulità dei fan di oltre oceano, Star Wars: A New Hope fu scritto come metafora della guerra del Vietnam, con l’Impero nei panni degli USA e i ribelli in quelli dei vietcong, spietata potenza bellica contro la guerrilla nel nome della libertà. Se dunque la prima stagione di Andor riprendeva questo approccio, raccontando la società fascista intergalattica organizzata dall’Impero, la stagione 2 racconta quanto sia difficile ribellarsi senza compromettere la propria integrità, senza finire per utilizzare gli stessi mezzi del nemico. La lotta è impari non tanto sul piano delle forze in campo, quanto sul versante etico.
La strategia della tensione
Narrativamente, tutto ciò si traduce nel racconto delle divisioni tra i ribelli, composti da gruppi sparsi nella galassia divisi da diverse idee su obiettivi e mezzi, con Cassian Andor (Diego Luna) ormai divenuto il principale agente operativo sul campo di Luthen (Stellan Skarsgård).La guerra sotterraneìa dell'antiuqario sotto copertura si muove si più tavoli e su quello politico la sua pedina (nonchè alleata) è sempre la senatrice Mon Mothma (Genevieve O'Reilly), ormai legata suo malgrado al poco limpido Davo Sculdun, interpretato da Richard Dillane, attraverso la promessa di matrimonio dei figlia.
In qualche modo, la seconda stagione di Andor prova a presentare i ribelli sotto una liuce diversa, meno idealizzata, ma non per trasformare tutto in un’indistinta macchia di grigio nella quale tutti avrebbero egualmente torto, e dunque ugualmente ragione (come il clima attuale avrebbe legittimamente lasciato temere), quanto piuttosto per rendere giustizia alla profondità del tema che la serie ha scelto come colonna portante.
Quella ribelle ancora non è ancora un’alleanza, bensì una rete dilatata, composta da gruppetti spesso mal organizzati nelle cui fila figurano idealisti, partigiani, esuli, ribelli, ma anche figure più opache, che a loro volta mostrano i primi segni di corruzione del poco potere che detengono tra le fila della resistenza. Nel senato galattico la situazione è ancora più paludosa. L’opposizione all’Impero è una facciata che crolla di fronte alla minaccia ai propri interessi e in un parallelo piuttosto agghiacciante con ciò che avviene in contemporanea nel mondo reale nemeno la deportazione di intere popolazioni e l’arresto degli oppositori, senatori inclusi, riesce a comporre un fronte unito. E mentre la diplomazia si muove lentamente in eleganti palazzi smangiucchiando tartine, l’Impero è pronto a sfruttare, inflitrare e alimentare nuovamente gli atti di ribellione per giustificare un ulteriore passo in avanti nell’oppressione planetaria.
L'impatto della stagione 2 di Andor
L’impatto con questa seconda stagione è stato sicuramente condizionato dal parallelismo con la realtà, forse la cui portata ha forse persino superato le intenzioni della produzione stessa, con veri e propri momenti da pelle d'oca: è assurdo pensare che serva uno show televisivo per poter urlare a piena voce che stiamo assistendo immobili a un genocidio. Anche al di là, però, della forza emotiva trasmessa dallo show, la seconda stagione di Andor è un ottimo prodotto seriale sotto ogni altro punto di vista.
La sicurezza nei propri mezzi consente alla serie di prendere decisioni coraggiose, come un inizio decisamente più compassato, una frenata rispetto alla potenza del finale della passata stagione necessaria per costruire l’atmosfera di quella che di fatto è un’elegante spy story che costituisce il nucleo della prima metà dei nuovi episodi. Ma per una serie che ha di fatto messo al centro del proprio racconto una riflessione su quali strumenti, violenza inclusa, siano necessari per combattere l’oppressore, il coraggio non è certo un problema.
Lentamente e fatalmente la tensione sale, per raggiungere il suo picco nel discorso in senato di Mon Mothma, un pugno allo stomaco dello spettatore e un episodio che spicca pur nell’altissimo livello medio a cui Andor ha abituato il suo pubblico. La seconda stagione di Andor è la dimostrazione, anzi la riconferma, di come si possa fare peak television anche con Star Wars.