Avetrana - Qui non è Hollywood: su Disney+ la serie sul delitto di Sarah Scazzi
Un progetto controverso fin dal principio, scopriamo perché
Non è facile avvicinarsi a questa serie. A cominciare dalla locandina, che ha comprensibilmente suscitato un’infinità di polemiche sui social, fin dalla sua prima presentazione.
E poi naturalmente c’è la scritta “qui non è Hollywood”, trovata su un muro di Avetrana e ricondotta dagli autori della serie al circo mediatico seguito alla scomparsa di Sarah Scazzi, addirittura realizzata sul muro di casa Misseri mentre nella realtà si trovava altrove in paese e, secondo l’opinione comune, risaliva ad anni prima ed era una citazione dalla canzone dei Negrita.
Capite bene che già in partenza, Avetrana è un prodotto controverso.
Capire se fosse opportuno trasformare in una fiction uno dei più drammatici fatti di cronaca della nostra storia recente non è facile. Ma a cose fatte, con un adattamento del libro Sarah - La ragazza di Avetrana di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, non si può che valutare il lavoro compiuto.
E anche questa, per quanto mi riguarda, è una questione controversa.
Qui non è Hollywood
Turismo macabro. Si definisce così la morbosa attrazione per luoghi di delitti o tragedie che diventano mete turistiche. Ricordiamo tutti il selfie della sorridente signora impellicciata di fronte al relitto della Costa Concordia, tomba di 32 persone.
Avetrana non ha fatto eccezione. Quei luoghi che tutti abbiano conosciuto tramite la TV, dopo la scomparsa di Sarah Scazzi, sono diventati mete di pellegrinaggio turistico. Di un turismo a dir poco macabro.
Sembra questa la premessa narrativa di Avetrana - Qui non è Hollywood, la serie in 4 episodi (un’ora e cinque minuti ciascuno) in arrivo su Disney+ dal 25 ottobre.
Il primo episodio ci introduce i personaggi e il cast principale. Sarah Scazzi è interpretata da Federica Pala, Cosima Misseri dalla bravissima Vanessa Scalera, Michele Misseri da Paolo De Vita, Concetta Serrano da Emma Villa, mentre gli scomodi panni di Sabrina Misseri vengono indossati da Giulia Perulli, senz’altro la migliore di tutto il cast. Anche per la difficoltà del ruolo.
Diretta dal regista Pippo Mezzapesa, che firma la sceneggiatura insieme ad Antonella W. Gaeta e Davide Serino (con la collaborazione degli autori del libro Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni), la serie è prodotta da Matteo Rovere per Groenlandia.
Il problema è l’approccio. Sembrava che si parlasse del turismo macabro e del circo mediatico, come più volte annunciato dagli autori stessi, ma già i primi istanti - inutile negarlo - indispongono.
Qui c’è la precisa volontà di trasformare un fatto di cronaca che tutti abbiamo seguito col fiato sospeso mentre speravamo che Sarah venisse ritrovata sana e salva, in una fiction a tutti gli effetti.
Con tanto di premonizioni della vittima.
Avetrana fra alti e bassi
Avetrana è innegabilmente ben fatta, tecnicamente parlando. Con un ottimo cast. Con scene che ricostruiscono nel dettaglio la realtà. E questi sono gli “alti”. I momenti che rispettano la vittima e rendono giustizia almeno alla verità processuale. La serie inizia a esplorare la rivalità fra Sabrina e Sarah per Ivano, la ricerca di coccole e di attenzioni di Sarah (chiedeva sempre abbracci, perché Concetta non era affettuosa in senso fisico), il suo senso di solitudine, la sua situazione famigliare con il nonno malato, il forte legame con il fratello… Tutti elementi reali, riscontrati, preziosi. Sarah era una bambina. Stava crescendo ma era ancora “piccola”, proprio come la descrive chi la conosceva.
Avetrana entra nel vivo con quella discussione, reale e provata, fra Sabrina e Sarah perché la ragazzina aveva parlato al fratello dell’incontro intimo finito male fra Sabrina e Ivano. Tutto bene. Tutti bravi.
Ma in un caso di cronaca nera come questo, il problema di volerne fare una fiction è l’inserimento di momenti di pura invenzione. La cattiveria di Sarah con il nonno (inutile e non rappresentativa, per altro). Il desiderio di andare a vivere con gli zii (questo comprovato, sì, ma la comparsa di zio Michele in stile Boogeyman, come se fosse il mostro in un film horror, sapendo come sono andate le cose disturba parecchio).
E ancora: il ballo di Cosima, il terrore di Sarah il giorno della sua morte (come se potesse sapere cosa la aspettava…), la freddezza eccessiva di mamma Concetta (il suo credo religioso non giustifica un ritratto che sembra negare il suo dolore, quel dolore che tutti abbiamo visto). Ma il punto più basso della serie sono le allucinazioni di Sabrina, perseguitata dalla visione di Sarah dopo la sua morte. Licenza poetica, direte voi. No, invece. Una scelta molto pericolosa, perché suggerisce un disturbo mentale mai diagnosticato. Si tratta di un terreno molto, molto scivoloso. Non basta mettere il disclaimer iniziale in cui si ricorda che ci sono dialoghi e momenti frutto della fantasia degli autori. Non basta.
Il circo mediatico
Il famigerato circo mediatico, incarnato dal personaggio della giornalista Daniela (Anna Ferzetti), in realtà entra in scena a partire dalla seconda metà dell’episodio 2 e negli episodi successivi compare a tratti. Non è il centro della narrazione. Non rappresenta la chiave di lettura degli autori. È solo uno dei tanti elementi. Importante quanto molti altri.
E questo, capite bene, non aiuta a superare il fastidio dei momenti frutto di fantasia.
Un Paese intero, l’Italia, cercava Sarah Scazzi. Fu questo ad attrarre i giornalisti, che arrivarono poi a frotte alla scoperta di un delitto in ambito famigliare.
Prima di Yara Gambirasio, pochi mesi prima (il 2010 fu un anno orribile, il 26 agosto e il 26 novembre furono uccise due ragazzine), Sarah era nelle preghiere di tutta l’Italia, nei cuori di tutti noi.
Mentre l’Italia intera la cercava, ricordo personalmente con molta chiarezza una processione durante la quale Sabrina, intervistata in diretta TV, disse “La sento lontana”, come per sviare le indagini. In quel momento, molti di noi ebbero la consapevolezza che lei era coinvolta nella scomparsa.
Mi aspettavo di trovare questo episodio nella serie. Fu un momento il cui il “circo mediatico” risultò utile alle indagini. La stessa frase venne ripetuta da Michele Misseri dopo il ritrovamento del telefono di Sarah e Avetrana - Qui non è Hollywood ha scelto di inserire questo nella narrazione. Purtroppo, è proprio su Michele Misseri che ci sono i più grossi scivoloni - deliri di Sabrina a parte - delle parti frutto di fantasia. Il senso di colpa dell’uomo appariva evidente. Ma da qui a sentirsi scivolare nel pozzo e a essere strangolato da Sarah (agli occhi di Sabrina) ce ne passa. In compenso, ci sono delle scene interessanti aggiunte per determinare il ruolo di Michele Misseri nella sua famiglia. Questo tipo di aggiunta è funzionale alla narrazione e alla ricostruzione dei fatti. Molto altro non lo è, anzi.
Ecco perché Avetrana - Qui non è Hollywood, nonostante la bravura degli interpreti, resta controversa. È difficile guardare certe scene avendo seguito la vicenda. Forse chi non ne sa nulla apprezzerà maggiormente la produzione. Ma l’oggettività sul terreno scivoloso, come sui meriti, non si può dimenticare.