Beckham, recensione: il calcio e il gossip che non ci sono più
Beckham vuole celebrare il mito del calciatore e vip inglese, ma nel farlo ci ricorda quanto selvaggi siano stati gli anni ‘90.
Quella di Beckham, miniserie Netflix in quattro episodi, è una favola. Non tanto per la storia raccontata, quanto per la struttura narrativa che assume ogni episodio della docu-serie. Si comincia da David, un giovane e talentuoso calciatore, compagno ideale nella vita che s’imbatte in una difficoltà. Momento di scoramento, paura e smarrimento e infine la resurrezione, il perdono, la rivincita: di quelle che solo il calcio sa donare. Con una morale: impegnarsi duro, lavorare testa bassa e pancia a terra, rimanere umili è conditio sine qua non per raggiungere l’eccellenza.
È una scelta narrativa come un’altra, comprensibile e prevedibile da parte di chi accetta di raccontare la propria storia,di raccontarsi davanti alle telecamere, ma ovviamente vuole tenere in pugno la narrazione e quando possibile pilotarla. Non significa necessariamente raccontare falsità, quanto piuttosto procedere per elisioni e omissioni o quantomeno riletture accuratamente smussate. Il bello di questo approccio documentaristico privo di brutalità e colmo di riguardo è osservare da vicino la difficoltà dei passaggi più stretti, dove si naviga a vista e si misurano si misurano non le parole, ma le sillabe.
Se Becks e Vic, se David e la sua Posh Spice sono una delle coppie più iconiche del mondo a decenni di distanza dal loro fidanzamento, oggi che entrambi non fanno più il loro mestiere principale che li ha resi famosi (calciatore lui, cantante lei) è proprio per questa capacità straordinaria di gestire le crisi e i momenti di difficoltà. Strepitoso, in questo senso, il passaggio in cui il documentario riesce a raccontare le infedeltà di David in un contesto così ambiguo, vago da non confermare nemmeno che le stesse siano avvenute. David a un certo punto avrebbe avuto una crisi con Victoria, secondo i giornali: non si capisce in che termini (anche se palesemente si sottintende un tradimento) non si capisce con chi e non si capisce se i due protagonisti della vicenda confermino quanto avvenuto.
Un simile valzer di sottotesti ritorna anche in chiusura di serie, quando non si tirano le somme sull’ultima missione di David: diventare il messia del calcio negli Stati Uniti, nazione notoriamente disinteressata allo sport. Si evince che con la sua presenza in campo prima e la sua squadra di calcio poi, Beckham abbia creato un pensionato di lusso per ex super stelle del calcio europeo desiderose di allungare la propria carriera di qualche anno in un contesto molto danaroso ma meno competitivo del calcio europeo.
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La trama di Beckham
Beckham racconta di quanto David sia stato un’apripista nel mondo del calcio e dello spettacolo e nell’intersezione tra i due, facendo cose che oggi diamo quasi per scontate da personalità dello spettacolo e dagli sportivi, ma che allora furono a modo loro rivoluzionarie. Il documentario, diviso in quattro parti, si apre con il “goal del secolo” segnato da un giovanissimo David in campo con la sua squadra di casa e del cuore, il Manchester United. Si chiude quattro ore dopo, con la sua avventura attuale da presidente e manager del Miami.
A tratti il documentario diventa una storia di coppia, con Victoria Adams, Posh delle Spice Girls, presente tanto quanto il marito, perfetto contraltare della ricostruzione dello sportivo di casa. La dinamica tra i due è perfetta, preziosa: si amano, si punzecchiano, si spalleggiano. Meriterebbero un documentario di coppia loro, mentre noi ci meriteremmo un prodotto meno di parte, per quanto ben confezionato.
Come ogni documentario celebrativo che si rispetti, ci sono tutti gli amici e gli ex colleghi che tessono le lodi del calciatore: Sir Alex Ferguson, Ronaldo, Figo, Fabio Capello, oltre ai genitori, agli amici e ai compagni di spogliatoio. Mancano alcuni avversari formidabili della carriera di Beckham, persone con cui sono rimaste ruggini, acredini, che non sono volute apparire o forse non hanno avuto possibilità di farlo: chissà.
L’intento, come già detto, è di raccontarci chi sia David Beckham oggi, all’età di 47 anni, dopo essersi ritirato dal mondo del calcio. La risposta sembra essere: una persona adulta, matura, centrata, con una famiglia solida e piccoli hobby e vezzi da milionario in pensionamento anticipato.
La parte più interessante e rilevante del documentario è il come Beckham arrivi a questo traguardo: passando attraverso due momenti di dolore, cagionati da suoi errori di giudizio ma così amplificati dai riflettori costantemente puntati su di lui da rendere facile caratterizzarlo come una vittima.
Il calcio e il gossip degli anni ’90
Come già più volte sottolineato, è impossibile considerare questo progetto obiettivo, imparziale, quando necessario impietoso. È un’operazione da cui David esce come eroe, anche quando non si comporta come tale.
Questo non vuol dire che non risulti una visione interessante, perché permette di mettere a fuoco come l’esperienza di Beckham sia, per definizione, unica. Primo perché l’attenzione mediatica e la popolarità raggiunta come calciatore e come star al di fuori del mondo sportivo rimangono forse ineguagliate: nel mito di Beckham ci sono le imprese sportive tanto quanto la sua bellezza, la sua attività come modello e ambasciatore di marchi e prodotti, oltre ovviamente al suo legame come Posh Spice.
Il calcio è diventato quello che è oggi anche perché Beckham ha seguito con convinzione la strada degli accordi con i marchi, del diventare lui stesso un brand da vendere. Al contempo però l’attaccamento alla maglia del Manchester United, una certa umiltà da figlio della classe operaia (rivendicata, incredibilmente, anche da Posh Spice prima che il marito la riprenda per questo) e una dimensione fortemente familiare lo pongono lontano da come intendiamo oggi una stella del calcio. Beckham è stato modello e uomo copertina - il terzo protagonista di un servizio fotografico con Beyoncé e Jennifer Lopez mentre la moglie stava partorendo il secondo figlio - in un’epoca in cui i servizi patinati per gli sportivi erano quelli di Sports Illustrated. È anche stato l’ultimo calciatore/divo venuto su in un mondo senza un’eccessiva incidenza dei procuratori e dei social. Così come l’amico Tom Cruise, è l’ultima stella di un certo mondo del divismo lontano e irraggiungibile, per numeri e per contatto con il pubblico.
Quel calcio non c’è più, a causa dei social. Grazie ai social però, o forse grazie al minor flusso di denaro che circonda il mondo dei pettegolezzi, non c’è nemmeno più certa carta stampata. Non a caso nel documentario si cita la morte di Diana. Così come la vicenda di “Free Britney”, così come le circostanze dalla morte di Lady D, quella di Beckham è una storia plasmata dalla veemenza dei media dell’epoca, dalla mancanza di confini morali e restrizioni giuridiche dell’azione dei paparazzi.
Due dei paparazzi più insistenti nei confronti della famiglia Beckham raccontano come la loro attività sia cambiata grazie ai Beckham e di quanto di quello che hanno fatto alla coppia oggi sarebbe impensabile, perché l’opinione pubblica stessa si rivolterebbe contro un’eccessiva intrusione nella vita privata delle famiglie delle celebrità.
La gogna mediatica durata mesi e mesi per il gesto d’intemperanza costato la squalifica di Beckham nei mondiali del 1998 durante la partita contro l’Argentina non sarebbe così duratura, così violenta. Non bisogna nascondersi che nelle pieghe dei social e della Rete oggi si dicono e fanno cose altrettanto violente, ma la parte più impressionante di Beckham è proprio il processo mediatico e quasi istituzionale per cui il 23enne Beckham divenne per mesi il nemico pubblico numero uno della nazione. Certo, il documentario archivia un po’ troppo velocemente il suo gesto impulsivo e poco sportivo, provando a sottintendere che essendo 23enne, era ancora abbastanza giovane, archiviando il tutto come una ragazzata.