Beyond Goodbye: la serie sentimentale di Netflix è in realtà cinica

Si perde troppo l'occasione di emozionare

di Chiara Poli

Beyond Goodbye (Sayonara no Tsuzuki), la serie giapponese di Netflix disponibile dal 14 novembre in lingua originale con i sottotitoli in italiano, intreccia il destino di quattro persone dopo un tragico evento, che a qualcuno distrugge la vita e a qualcun altro la salva.

La trama di Beyond Goodbye


Un viaggio in autobus in mezzo alla neve, dalla città di Otaru fino alle cime innevate e romantiche per chiederle di sposarla. Yusuke (Tôma Ikuta, Hanamizuki) sta portando Saeko (Kasumi Arimura, Dear Family) nel luogo in cui lei sa già che le verrà fatta la fatidica proposta di matrimonio. Yusuke ha anche già visto la casa in cui vivranno come marito e moglie. Ma durante il tragitto, verso la montagna, un incidente devia il destino dei due innamorati. E quello di altri due: Kazu (Kentarô Sakaguchi, Things that Come After Love,) un ragazzo da tempo in ospedale in attesa di un trapianto di cuore, e sua moglie Miki (Yuri Nakamura, Ritratto di famiglia con tempesta). Quando Kazu e Saeko si incontreranno per caso, in qualche modo si riconosceranno.

Il tema del destino e del dovere


C’è una frase pronunciata da Saeko che riassumo la visione un po’ cinica che questa serie restituisce sul concetto di destino.

Si dice destino solo per rendere le coincidenze più interessanti.

Il destino, in questa storia in cui la formalità - nei sentimenti, nelle parole, nei gesti tipici della cultura locale - la fa da padrone, soccombe a ciò che è giusto.

Alla fine, si fa la cosa giusta, non si fa quella che si vorrebbe. Si sceglie il dovere, sempre. Come fanno le brave persone. Kazu, sicuramente il migliore fra gli interpreti di questi 8 episodi, a un certo punto racconta di aver sempre voluto essere diverso, non proprio “cattivo” ma non il bravo ragazzo che è sempre stato.

Non ha avuto molte occasioni di vivere. Quando ne arriva una, s’illude che tutto sarà diverso. E per un po’ funziona: i ricordi che ha ereditato insieme al cuore di Yusuke lo portano a vivere un’avventura che mai, senza quel trapianto, gli sarebbe capitata.

Ma il destino - quello vero, cinico, spietato - è sempre in agguato. Dietro un angolo buio.

Non si può sfuggire al proprio destino, ci dice Beyond Goodbye: si può solo scegliere come comportarsi mentre esso si compie.

Il meglio arriva alla fine


Otaru è una città portuale giapponese famosa per le distillerie di tè e caffè. E va chiarito che il concetto di caffè che ci viene presentato qui è su un livello molto diverso dal nostro. Un gradino più su della brodaglia che bevono in America, per capirci. Un caffè buono, a quanto pare, è considerato “calmante” e confortante in situazioni sgradevoli. Tutto l’opposto di quanto succede qui, dove il caffè tende a rendere nervosi.

La serie tenta, senza riuscirci, di fare ciò che altre storie - come Il tè del deserto e Cigarett Girl, citandone due molto diverse - avevano fatto con il tè e il tabacco.

Purtroppo, il caffè diventa un semplice mezzo per far spostare Saeko fra il Giappone e le Hawaii (dove, così come in Giappone, puta caso o c’è una marea di gente o assolutamente nessuno, nello stesso luogo, a seconda delle necessità narrative).

Beyond Goodbye è piena di ingenuità come questa. 8 episodi sono davvero troppi per una storia così dilatata. Alla fine, gli eventi che contano davvero non sono molti. E arrivano quasi tutti alla fine.

Ma la lentezza esasperante, anche nei gesti, in realtà non stona con lo stile della narrazione. Ciononostante, 5 episodi sarebbero stati più che sufficienti.

Un amore formale


È così formale, in questa cultura. Tutto. Ma soprattutto il modo in cui Kazu e Miki “Miss Mela” si mettono insieme. Un modo privo di emozioni, romanticismo, amore. Ecco perché il matrimonio di Kazu sembra contare sempre così poco.

Il pepe arriva, finalmente, solo alla fine. E grazie al personaggio di Miki. Non essendo lei la protagonista, capite che questo è un problema. In tutta questa formalità, questa educazione esasperata e questo rispetto, finalmente qualcuno fa la parte del cattivo. Per ragioni pienamente giustificabili, aggiungo.

Quando Kazu è in ospedale in attesa di trapianto, Miki non fa che ripetere la sua famiglia quanto sia bello. Ma dopo che si sono sposati, e che lui ha un cuore nuovo, tutto cambia. Kazu non è più l’essere fragile e debole di prima, a completa disposizione di Miki. Dipendente da lei. E lei, questo, non riesce ad accettarlo.

Di qui la visione cinica di tutto: destino, amore, matrimonio.

In una sorta di favola secondo la quale il cuore di un uomo contiene anche i suoi sentimenti, le sue conoscenze e la sua personalità, manca davvero originalità. Abbiamo già visto dozzine di storie simili, declinate in tanti generi dal sentimentale - come questo - all’horror, che ha fatto ampio uso del concetto di trapianto. E duole dire che tutte queste storie simili sono meglio riuscite. O più toccanti. Penso a Return to Me, con David Duchovny e Minnie Driver, per dirne uno.

Forse è culturalmente troppo lontano dal “sentire” europeo, eppure le storie indonesiane, coreane o filippine non subiscono lo stesso destino. Viene il dubbio che sia un problema di messa in scena. Perché quando i gesti sono esasperatamente lenti e non stiamo guardando Un affare di famiglia di Koreeda, aggiungere anche l’effetto rallenty è davvero troppo.