Bodkin - Will Forte e l’Irlanda che strega nella nuova serie di Netflix
Scopriamo insieme perché Bodkin è una serie da vedere
Jez Scharf è al suo debutto come creatore, sceneggiatore e produttore di una serie TV dopo aver realizzato alcuni cortometraggi. E devo dire che, nonostante la mancanza d’esperienza, ha fatto davvero un ottimo lavoro. Bodkin, dal 9 maggio su Netflix, è una serie piena di fascino, che ti tiene incollato allo schermo e ti presenta personaggi che non dimenticherai facilmente.
La trama di Bodkin
Il podcaster americano Gilbert (Will Forte, The Last Man on Earth) è in cerca di una nuova storia. Vola fino in Irlanda, nella cittadina di Bodkin, per raccontare una storia di 25 anni prima: durante la festa di Samhein, 3 persone scomparvero senza lasciare traccia. Una venne ritrovata, delle altre due non si seppe più nulla. Accompagnato dalla giovane ed entusiasta ricercatrice Emmy (Robyn Cara, Red Rose), Gilbert s’imbatte nella giornalista del prestigioso The Guardian: Dove (Siobhan Cullen, The Dry), inviata sul posto controvoglia a occuparsi del caso. I metodi non convenzionali e aggressivi di Dove entrano subito in contrasto con la politica di Gilbert, che è quella di fare amicizia con tutti per farsi raccontare una storia. Ma facendo amicizia, entrando in contatto con gli abitanti di Bodkin, ci rendiamo conto che nessuno vuole riesumare quella vecchia storia. Tanto che i nostri novelli detective finiscono per trovarsi seriamente nei guai…
Una storia appassionante con personaggi eccezionali
Bodkin è una serie davvero appassionante. La suggestiva atmosfera dei paesaggi irlandesi e di vecchie storie che s’intrecciano con il mondo contemporaneo ci trascina subito dentro la storia.
Gilbert, Emmy e Dove sono tre personaggi molto diversi, in qualche modo complementari. Nonostante la sua (apparente) incapacità di prendere a cuore le persone, Dove si rivela una donna piena di passione per il suo lavoro, pronta a rischiare il tutto per tutto pur di andare in fondo alle cose. Ma proprio questo suo modo di fare l’ha messa seriamente nei guai a Londra, tanto che tramite il suo capo viene raggiunta da notizie molto preoccupanti.
Gilbert ha un grande peso sulla coscienza, l’aver distrutto la propria vita privata per aver scelto di raccontare una storia molto personale tramite un podcast di successo, che l’ha reso celebre in tutto il mondo ma gli è costato anche molto caro.
Emmy, infine, si aggira sul campo come se fosse a una gita scolastica, piena d’entusiasmo per la sua prima esperienza come ricercatrice e assistente in una produzione che prende una piega sempre più inaspettata.
Non siamo detective, non siamo qui per risolvere niente. Siamo qui solo per raccontare la storia.
Con queste parole, Gilbert redarguisce Dove - perennemente arrabbiata con tutti e per tutto - infastidita dal doversi relazionare con gente che non ha nessuna esperienza giornalistica reale.
Mentre Bodkin si prepara a festeggiare Samhein (l’antenato di Halloween) per la prima volta dopo i tragici fatti del passato, Dove si aggira vestita come la Trinity di Matrix, molto contrariata di dover essere tornata in Irlanda (il Paese da cui è scappata per trasferirsi a Londra), determinata a muoversi in maniera indipendente mettendo spesso in difficoltà Gilbert.
Secondo Dove, il true crime è un genere cheap, una sorta di gossip irrispettoso, ma secondo Gilbert si tratta di un lavoro serio, che gli permette di entrare in contatto con intere comunità e di appassionare milioni di persone.
Una tecnica perfetta, funzionale alla narrazione
La fotografia, soprattutto nelle numerose riprese esterne, è estremamente verosimile: vuole restituire allo spettatore l’impressione di essere lì, a Bodkin, immerso in quel cielo grigio che non è ancora brutto ma che certamente non è più soleggiato. In attesa, forse, di una tempesta che sconvolgerà le vite di tutti.
La composizione dell’inquadratura è molto interessante. Si privilegiano, anche nelle conversazioni a due, delle riprese non ravvicinate. I primissimi piani sono quasi inesistenti, i primi piani sono rarissimi e si cerca di far mantenere anche ai personaggi una certa distanza, che vuole chiaramente rappresentare la distanza fra ciò che le persone dicono e ciò che pensano davvero. Fra ciò che sanno e ciò che nascondono con cura. Si tratta di un interessante modo per rappresentare la distanza fra la verità e tutto ciò che vi è stato costruito sopra. Ma questo, così come il grigiore del clima, vale esclusivamente quando c’è qualche abitante di Bodkin coinvolto nella scena. Altrimenti, facilmente, spunta il sole. Perfino quando le notizie che riguardano i nostri tre protagonisti non sono buone, per sottolineare ulteriormente come quello di Bodkin sia un mondo a sé, con regole tutte sue.
Le tematiche di Bodkin
La colonna sonora gioca su motivetto in stile mystery che dà quel tocco di genialità in più al tutto, con un altro contrasto funzionale alla narrazione, che non perde mai occasione per farci sorridere, perfino nelle situazioni più gravi.
Ogni elemento introdotto viene ripreso in modo da essere sia concreto - all’interno della storia - che simbolico. Le tradizioni irlandesi, il passato che riemerge, lo scontro generazionale. In Bodkin c’è tutto questo, insieme a una messa in scena di come rifarsi una vita, dopo un passato discutibile, sia di fatto impossibile.
Oltre a tutto questo, naturalmente, ci sono delle importanti riflessioni. Soprattutto sull’opportunità di raccontare certe storie, sul modo corretto in cui farlo. Bodkin ci parla, oltre che del legame indissolubile fra presente e passato, anche dell’invito a interrogarci su cosa sia davvero il giornalismo e su cosa interessi davvero al pubblico. Soprattutto, però, Bodkin ci invita a riflettere sulle nostre origini. Sapere da dove veniamo è fondamentale per capire dove dobbiamo andare. E magari, quando ci sentiamo particolarmente persi, ci basta ululare per ritrovare la fiducia e sapere che al momento opportuno troveremo le risposte.
Mentre ci affezioniamo a personaggi e paesaggi che, dopo la fine di questi 7 episodi, rimarranno nel nostro cuore.