Stragisti per caso: l’incredibile storia di Ci vediamo in un'altra vita con gli spagnoli coinvolti negli attentati di Madrid del 2004
Quando una scelta banale ti segna per sempre la vita
Impossibile non sapere di cosa si tratti: gli attacchi dell’11 marzo 2004 a Madrid rappresentano il più grave attacco terroristico mai condotto su suolo europeo. 192 vittime, oltre 2000 feriti, e la complicità inconsapevole di un ragazzino, protagonista della serie spagnola Ci vediamo in un’altra vita su Disney+.
Basata sull’omonimo libro, la storia nasce dall’intervista rilasciata da Gabriel Montoya Vidal, conosciuto come “Baby”, al giornalista Manuel Jabois (autore del libro) dieci anni dopo l’attentato.
Gabriel Montoya Vidal aveva appena 15 anni quando entrò nel giro di Emilio Suárez Trashorra, l’uomo che fornì l’esplosivo ai terroristi.
Chiamato Baby proprio per la sua giovane età, Gabriel è il protagonista assoluto di 6 episodi che ci raccontano gli attentati di Madrid da un punto di vista inedito. Un punto di vista prezioso perché illustra i rischi di farsi coinvolgere in attività criminali senza la consapevolezza di cosa si stia facendo.
La trama di Ci vediamo in un’altra vita
Gabriel Montoya Vidal nasce in una famiglia sfortunata. Il padre è un tossicodipendente e un criminale e finirà in carcere, lasciando Gabriel a prendersi cura della madre da giovanissimo.
E finché il ragazzino porta a casa dei soldi, mamma non fa domande. Così, dopo aver incontrato per caso nel quartiere in cui vive un uomo di nome Emilio, criminale sempre a caccia di gente sveglia per allargare il proprio business, Gabriel si lascia affascinare dalla possibilità di fare soldi in fretta.
Emilio gli dà della droga da spacciare, usando un metodo inedito: gli fa credito. Si fa pagare, insomma, solo a vendita avvenuta. Non dovendo anticipare denaro per acquistare ciò che spaccia, Baby - così lo soprannominano Emilio e i suoi - dimostra di essere all’altezza del compito e inizia a vedere Emilio come un amico. Girano sempre insieme, Baby - appena quindicenne al momento dell’incontro - cresce sotto l’ala di Emilio che, oltre a essere un criminale, soffre anche di problemi psichiatrici.
Ma a Baby non importa: ha trovato una figura di riferimento, è molto giovane e privo di prospettive, perciò fa tutto ciò che Emilio gli chiede. Incluso trasportare delle borse e delle persone - un gruppo di arabi che non conosce - da e verso la vecchia miniera in cui Emilio mette a disposizione degli uomini l’esplosivo che stanno cercando.
Baby guida senza avere la patente, gira armato e diventa presto temuto e rispettato. Non si fa domande e non si rende conto che, quando incontra gli uomini arabi, non li porta a recuperare della droga: diventa di fatto complice della fornitura degli esplosivi che l’11 marzo del 2004 avrebbero cambiato per sempre la storia di Madrid, della Spagna e dell’Europa intera.
Troppo giovane per il carcere, Baby finisce in riformatorio, condannato per complicità in una strage che non immaginava di rendere possibile.
Stragista per caso: la storia degli attentati dal punto di vista di Gabriel
L’interpretazione di Roberto Gutiérrez, che dà vita a Gabriel da adolescente (da adulto è interpretato da
Quim Àvila), è impressionante: ci fa entrare nella vita, nella prospettiva, nell’ambiente di Baby. Impariamo a guardare il mondo con i suoi occhi, siamo quasi felici per lui quando Emilio gli offre la possibilità di guadagnarsi da vivere. Quasi.
Perché presto, mentre il montaggio degli episodi ci parla di Baby ragazzino, adulto, in riformatorio, al processo e bambino, viaggiando avanti e indietro nel tempo, ci rendiamo conto che il degrado in cui Gabriel è nato e cresciuto non gli lasciava scampo. Era destinato a diventare un criminale, proprio come suo padre. Ed è questo che cerca in Emilio (l’altrettanto bravo Pol López), persona instabile ma ricca di fascino per un ragazzino che non ha niente: una figura paterna.
Baby è convinto che Emilio sia suo amico. Crede che ci tenga, a lui. Pensa che si preoccupi di lui e del suo futuro. E noi, che guardiamo la storia dal suo punto di vista, per un attimo pensiamo la stessa cosa. Ma presto capiamo che si tratta dell’illusione di un ragazzino solo, di cui nessuno - nemmeno sua madre - si preoccupa davvero.
Nato con un occhio “difettoso”, Baby sembra destinato al fallimento. A una vita misera da adulto come da bambino.
Emilio rappresenta la speranza di diventare qualcuno che conta. Baby è sveglio, intelligente, non ha studiato ma ha imparato fin da piccolo come funziona l’ambiente criminale spagnolo. Ha avuto un esempio vivente davanti agli occhi, quel padre di cui cercava disperatamente le attenzioni, pronto a fargli da spalla nelle sue serate brave pur di stare con lui.
Molti dei dialoghi riportati nella serie sono tratti dal libro, e dunque dall’intervista fatta dalla viva voce di Gabriel. Sono parole sue, insomma. Tutto viene filtrato dal suo sguardo, fino a quella frase che non lascia spazio ai dubbi:
Pentirsi è facile, ma se ci pensi a cosa serve?
Per tutto il tempo, Gabriel dimostra di avere una maturità che manca perfino agli uomini delle autorità che hanno a che fare con lui. Quando capisce di aver contribuito alla strage dell’11 marzo, l’unica via di uscita per non impazzire al pensiero di tutti quei morti è la consapevolezza di non poterci fare niente.
Il passato è passato. Le azioni ormai sono state compiute. Devastarsi l’anima ripensandoci non servirebbe a nulla.
Un destino segnato, una vita senza via di scampo
Un ragazzino cresciuto in mezzo al crimine e all’illegalità, senza amici veri e senza una famiglia che si preoccupi di lui, ha la maturità necessaria per capire che non si può tornare indietro.
Il tuo mondo è quello che conosci. Io non conoscevo nient’altro.
Con queste parole Gabriel ci fornisce la più semplice delle spiegazioni. E la chiave lettura della sua dichiarazione più famosa, ripetuta fino allo sfinimento al giornalista Maunuel Jabois:
Non mi pento di quello che ho fatto, mi pento di quello che è successo.
Una frase meno profonda di quanto sembri, perché Gabriel resta pur sempre Baby: un ragazzino. E per quanto si ripeta ossessivamente che non poteva sapere cosa stesse facendo, non può sfuggire alla realtà, ovvero al fatto di essere stato manipolato.
Emilio, non pienamente in grado di intendere e di volere a causa dei suoi disturbi mentali, ha scelto di credere alla versione dei terroristi: l’esplosivo serviva a rapinare gioiellerie. Ma Emilio sapeva che oltre 600 kg di esplosivo erano troppi anche per rapinare tutte le gioiellerie di Spagna. Lo sapeva, ma ha scelto di ignorarlo.
L’essenza del racconto di Ci vediamo in un’altra vita è tutta qui, nella differenza d consapevolezza fra Baby ed Emilio.
Nella storia di un ragazzino che, per quanto saggio e maturo, restava pur sempre un ragazzino. Convinto - come mezza Spagna, all’inizio - che a compiere la strage l’11 marzo fosse stata l’ETA. Ovvero l’organizzazione nota come acronimo di Euskadi Ta Askatasuna (Nazione basca e libertà), una formazione politico-militare nata nel 1959 da una scissione del Partito nazionalista basco, con l’obiettivo di conquistare la piena indipendenza delle Province Basche. La formazione ha avuto una storia complessa, che ha visto periodi di guerriglia, attentati terroristici e un tentativo di dialogo di pace con il governo spagnolo.
Nel 2011 l'ETA ha annunciato la definitiva cessazione delle attività terroristiche e ha partecipato alle elezioni politiche, diventando una forza politica riconosciuta. Nel 2017 ha rinunciato formalmente alla lotta armata e ha avviato il processo di disarmo definitivo, segnando il suo definitivo scioglimento.
Ma nel 2004, tutti pensavano che fosse responsabile delle esplosioni dell’11 marzo a Madrid.
Solo una persona aveva capito subito che si trattava di un attentato terroristico: Emilio. A conferma di come sapesse che la storiella delle rapine era insensata.
Emilio fu arrestato prima di Gabriel, ma Gabriel fu il primo a essere condannato al maxiprocesso del 2007, l’evento giudiziario più seguito in Spagna in tutta la storia del Paese.
Consapevolezza
Se vi aspettate di scoprire la storia di come e perché nacque la strage dell’11 marzo, rimarrete delusi. Non sono le ragioni dei terroristi, la loro organizzazione o i loro movimenti a essere al centro di Ci vediamo in un’altra vita. Sebbene la serie (e il libro) prenda il nome da una frase pronunciata proprio da uno dei terroristi e rimasta impressa a Gabriel, questa è la sua storia. Vissuta dal suo punto di vista per raccontarci in modo inedito com’è facile perdere una decisione apparentemente banale, ma in realtà in grado di scrivere il tuo destino.
Gabriel accetta di portare delle borse senza interessarsi del loro contenuto. Non sono affari suoi. Come aveva fatto tante altre volte, esegue il compito che gli viene assegnato da Emilio senza farsi domande.
Lo chiamano Baby ed è molto giovane ma non è stupido. Sa bene che fare domande è pericoloso.
Il suo grado di consapevolezza si ferma al dovere di eseguire gli ordini. Punto.
La contraddizione sta nel suo rapporto con Emilio, che come dicevamo Baby vede come una figura di riferimento. Se Emilio fosse veramente un amico, Baby potrebbe parlargli apertamente, chiedergli cosa stia succedendo, interessarsi del piano. Non lo fa perché in fondo lo sa che Emilio è il suo capo.
La sua consapevolezza gli permette di riconoscerlo ma non di ammetterlo esplicitamente.
Ecco la forza di Ci vediamo in un’altra vita: non è una riscrittura dei fatti. Non è una spiegazione. È solamente un monito: attenzione a ciò che scegliete di fare senza chiedere nulla. Attenzione al vostro ruolo nella storia. Attenzione. Fate molta, molta attenzione. Gabriel Montoya Vidal non ha fatto attenzione. E il suo nome si è indissolubilmente legato a una strage cui ha inconsapevolmente contribuito.
Rating: TBA
Nazione: Spagna
Voto
Redazione
Ci vediamo in un'altra vita
Ci vediamo in un’altra vita è la serie spagnola in 6 episodi che su Disney+ ci racconta la storia degli attentati di Madrid del 2004 da un punto di vista inedito. Non si occupa della storia dei terroristi, dello sviluppo del piano, del suo scopo. Ci racconta da dove veniva l’esplosivo, da chi, e chi - inconsapevolmente e - aveva contribuito a fornirlo agli stragisti, diventando di fatto complice della strage. 192 morti e oltre 2000 feriti l’11 marzo 2004 hanno segnato la storia di Madrid, della Spagna e dell’Europa. Ma quel giorno ha anche segnato per sempre la vita di Gabriel Montoya Vidal, noto nell’ambiente criminale come Baby per la sua giovanissima età - il ragazzo che aveva incontrato i terroristi senza sapere cosa stessero per fare e che aveva trasportato l’esplosivo che avrebbero usato.
Ci vediamo in un’altra vita nasce dall’intervista che Gabriel ha rilasciato al giornalista Manuel Jabois, raccolta in un libro, dieci anni dopo la strage. Dopo essere diventato il primo condannato al maxiprocesso del 2007. Raccontandoci una storia di degrado e destino segnato, di solitudine e di assenza di consapevolezza, di ricerca di un senso di appartenenza derivato dalla mancanza di riferimenti. Mentre un bambino cresciuto in mezzo al crimine si trasforma in un ragazzino pronto a tutto pur di contare qualcosa.