Citadel: Diana, la spy story all'italiana

Arriva oggi, su Prime Video “Citadel: Diana”: lo spin-off italiano che si inserisce nell’universo narrativo di cui sono produttori esecutivi i fratelli Russo (Avengers: endgame). Sono, infatti, in corso le riprese della seconda stagione della serie madre, ma intanto ci prepariamo ad esplorare una versione tutta nostrana.

Diana (Matilda De Angelis) si muove tra le dinamiche di Manticore (una potente organizzazione criminale che manipola il mondo intero), su una Milano del 2030 in cui il Duomo è stato vittima di un attentato terroristico. Lei è alla ricerca della verità sulla dipartita dei suoi genitori ed è talmente tanto ancorata al suo passato dal muoversi tra le file dell’organizzazione governativa con fin tropo sospetto. Del resto, Diana è un’infiltrata di Citadel, l’agenzia di spionaggio che vorrebbe contrapporsi per la creazione di quel mondo utopico anelato da Manticore

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Non cambiano, quindi, le dinamiche tra Manticore e Citadel; al contrario, queste sono state poste come base per la strutturazione delle sei puntate nostrane. Diana, di conseguenza, si muove tra spionaggio e controspionaggio facendo il doppio gioco e controllando le proprie emozioni.

Durante la visione della serie, si sente molto che il tutto è stato confezionato nella nostra Italia. Vi è proprio quasi una differenza di strutturazione molto affine a ciò a cui siamo abituati. Nonostante, infatti, l’ancoraggio mitologico, il senso di appartenenza al suolo italico emerge preponderante. Elemento ricercato proprio nell’ideazione dell’intero progetto “Citadel” che qui trova il suo manforte sia in termini visivi che realizzativi. Non sarà il riconoscere il brano di sottofondo a farvi dire ciò, ma proprio nella strutturazione della trama. Nonostante in Italia, è bene ricordarlo, il genere spionistico è stato per lungo tempo un po’ abbandonato e la visione è stata prettamente esterofila.

Bisognerà vincere lo scoglio della prima puntata, vi avvisiamo, perché all’interno di questa serie si evitano gli spiegoni narrativi parlati, ma si spinge subito sulla volontà di far conoscere a tutti i costi i dettagli su Diana. Tutto è fastidiosamente palese, esattamente come lo è il suo particolarissimo taglio di capelli. Tutto è praticamente tagliato con l’accetta nonostante il grigio sia la caratteristica dominante di queste spie. Dal secondo episodio in poi la piega che la narrazione prende è di gran lunga più interessante e le dinamiche più intriganti.

Citadel: Diana, la spy story all'italiana

Ci muove, quindi, all’interno di caratterizzazioni grigie e di scopi del tutto personali che, il più delle volte, vengono posti al di sopra del bene collettivo. Interessante, in ogni caso, è il ribaltamento degli archetipi narrativi del genere perché vedere la freddezza di Diana che ci contrappone al cuore e al fervore di Edo (Lorenzo Cervasio). La loro dinamica relazionale è in grado di calamitare l’attenzione del pubblico, molto di più di quanto non faccia l’intera costruzione di Manticore Italia e del suo scontro con Francia e Germania. L’italianità si sente proprio all’interno delle motivazioni che muovono Manticore: una trasposizione in termini futuristici della nostra realtà fatta di politici corrotti e di mafie che lottano intestinamente per il potere. È quasi come se non ci si muovessimo poi tanto oltre all’ennesima serie polizziottesca, nonostante l’ambiente generale possa essere più accattivante. Un “noir de’ no’ altri”, passateci il termine colloquiale.

I personaggi migliori, se doveste chiedercelo, sono sicuramente Ettore Zani (Maurizio Lombardo) e Gabriele (Filippo Nigro) perché, al di la delle doti recitative dei loro interpreti, riescono perfettamente a incollare il pubblico allo schermo.

Citadel: Diana, la spy story all'italiana

 

 

Citadel: Diana

Rating: tutti

Nazione: Stati Uniti

7.5

Voto

Redazione

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Citadel: Diana

In definitiva, siamo davanti a un buon prodotto che pone le basi tra pregi e difetti. Una serie che si ancora ben bene al suo contesto culturale, elemento che non può essere un difetto se è stato quanto imposto “dai piani alti”, ma che forse spinge il pubblico a dover ricalibrare le proprie aspettative.

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