Clickbait: la recensione delle miniserie Netflix che ci incolla al televisore
Alla scoperta di una miniserie intrigante e piena di sorprese
Se amate le serie TV di qualità, sicuramente l’avrete riconosciuto immediatamente: Adrian Grenier era Vincent, il giovane attore protagonista di Entourage per HBO. Sono passati esattamente 20 anni dal debutto di Entourage, ma Adrian Grenier (che era anche il fidanzato di Anne Hathaway ne Io diavolo veste Prada) è ancora bellissimo, affascinante, pieno di glamour. E non è un caso che sia stato scelto proprio lui, per questa miniserie disponibile su Netflix.
La trama di Clickbait
Nick Brewer (Adrian Grenier) è un padre, marito e fratello. Lavora come fisioterapista presso una scuola. Quando compare in un video online, ferito e con un cartello spaventoso, la sorella Pia (Zoe Kazan) e la moglie Sophie (Betty Gabriel) cercano di ritrovarlo, ma mentre indagano su dove possa trovarsi scoprono che il loro Nick sembra non esistere. E che l’uomo che credevano di conoscere è in realtà molto diverso, mentre il detective Roshan Amiri (Phoenix Raei), incaricato delle indagini, cerca di capire cosa sia successo a Nick.
Tanti punti di vista per una miniserie che intriga e appassiona
La sorella, il detective, la moglie… Tanti diversi punti di vista, uno per ciascun episodio degli 8 disponibili, che funzionano perfettamente per mostrarci tutti i lati e le sfaccettature di questa storia in cui familiari e forze dell’ordine indagano sulla misteriosa scomparsa di un uomo. Un padre di famiglia che finisce improvvisamente su Internet in uno sconvolgente video acchiappaclick. Il classico clickbait.
Come puntualmente accade, quando c’è di mezzo il web, iniziano a emergere i segreti. I segreti di tanti personaggi, che si legano l’uno all’altro anche in modi inattesi.
Mentre veniamo depistati e pensiamo di aver compreso tutto, analizziamo ogni differente punto di vista cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle, esattamente come fanno Pia e il detective Amiri.
Mentre ci spiega che non ci si può mai fidare di chi conosce i nostri intimi segreti, e che sarebbe bene tenere molto alla nostra privacy sui social network, Clickbait avanza inesorabile verso una soluzione inaspettata. Fatta di elementi che non sono mai ciò che sembrano. Non davvero.
Il circo mediatico
Per una storia che nasce da Internet, c’è una conseguenza inevitabile: l’allestimento del famigerato circo mediatico. Giornalisti assetati di gossip, scoop e indizi che servano a risolvere il caso. Leoni da tastiera che molestano i protagonisti. Radio e TV che informano di ogni minima pista senza verificarla.
È talmente realistico che ci sembra di assistere a ciò che accade ogni volta che è un fatto di cronaca interessa il grande pubblico. E Clickbait, che nasce da un video acchiappaclick, è costruita esattamente come un prodotto acchiappaclick: nei primi due episodi è impossibile staccarsi dalla TV. Man mano che la storia procede, lo scenario cambia, così come il vero centro della narrazione: siamo in mezzo al circo mediatico, con i protagonisti, interessati a tutti i retroscena e non alla vera risoluzione del caso.
Ci siamo cascati, esattamente come gli autori avevano previsto. E anche quando veniamo travolti dall’ondata mediatica, dei commenti online e dalle teorie di milioni di persone che giudicano le vite di perfetti sconosciuti, non riusciamo a smettere. Perché ci rendiamo conto che a questo punto, siamo gli unici a cui interessa davvero sapere cosa è successo. Ci siamo noi, gli spettatori, e la famiglia di Nick. Ma non tutta la famiglia di Nick.
Una miniserie come un social
Negli episodi di Clickbait si parla molto di amore fraterno. Con almeno una sequenza che spezza il cuore.
Si parla di cosa c’è dietro le vite che compaiono sui nostri schermi sullo smartphone o sul computer. Si parla di vita reale contrapposta a una vita online fittizia, piena di menzogne, di inganni.
Viene alla mente il tragico caso recente di una influencer che nascondeva violenze domestiche e denunce per abusi, illudendo i suoi follower di vivere una vita perfetta.
Clickbait è costruito proprio su questo: sulle apparenze. Sulla facilità con cui ci si nasconde dietro falsi profili e si dà sfogo a istinti che nella realtà restano sopiti.
Si parla di fragilità nascoste, indecifrabili, nelle quali ci si può imbattere involontariamente, creando poi dei danni. Si parla di onestà, di segreti, di identità nascoste.
La narrazione ci porta attraverso gli Stati Uniti, ma senza mai mostrarceli perché il clima claustrofobico richiede riprese quasi esclusivamente in interni, mentre la storia di una famiglia diventa la storia di tante persone, di sconosciuti accomunati dai segreti. In una chiarissima rappresentazione della nostra società, di una gran parte del mondo intero.
Le tematiche al centro della narrazione, sempre più intricata, sono anche il motivo per cui vogliamo vedere come va a finire. È come se stessimo spiando la vita degli altri attraverso un social network.
Una vita vissuta da personaggi tramite i social network, le app di incontri, le chat di famiglia e quelle private. Una vita come quella di miliardi di persone su questo pianeta.
L’universalità delle tematiche, nonostante qualche difetto nella sceneggiatura, è la vera attrattiva di Clickbait. Il vero clickbait, ciò che ci fa restare lì, davanti al televisore, un episodio dopo l’altro, per capire se le nostre teorie erano corrette e per ricordarci quanto sia facile cadere in un inganno. Anche se siamo abbastanza grandi da aspettarcelo…