Crossover è la serie sportiva per cui in tante famiglie scelgono Disney+
Era da tempo che non si vedeva una serie Disney dedicata al pubblico più giovane così riuscita: Crossover, senza essere memorabile o rivoluzionario, fornisce solido intrattenimento sportivo e seriale.
Il punto forte di Disney+ sono, prevedibilmente, i contenuti di taglio familiare e quelli dedicati ai più piccoli, ai bambini e agli adolescenti. Non è un caso che, da quando i servizi streaming hanno preso piede anche in Italia, la piattaforma del Topo abbia guadagnato costante consenso tra il pubblico delle famiglie.
Lo spazio dedicato ai più piccoli sulla TV generalista è sempre più risicato e relegato a canali a doppia o tripla cifra. Disney d’altronde è un’azienda il cui core business è proprio fornire prodotti e servizi per le famiglie nel settore dell’intrattenimento.
Per molti Disney+ è diventata una tata d’emergenza, il cui target medio è un po’ più basso di quello di Netflix. La grande N infatti anche nei suoi prodotti adulti cerca sempre di strizzare l’occhio ad adolescenti e post adolescenti, ma raramente anche ai più piccoli. Il tutto con grande disperazione di chi è adulto e vorrebbe vedere qualcosa slegato dai drammi scolastici o universitari archiviati da tempo.
Crossover in questo senso è parecchio interessante. Il pubblico che mira a intercettare è lo stesso che un tempo rimaneva ipnotizzato davanti alle serie televisive di successo di Disney Channel, che hanno lanciato tante ex star prodigio, ora attrici e cantanti de facto. Il target qui però è maschile e l’ambientazione sportiva.
Ha ragione la showrunner Kimberly Harrison a dire - nella nostra intervista ai creatori di Crossover - che non si vedeva una serie così da tempo. La prima stagione di Crossover infatti risulta più che sopportabile, anzi, godibile per un pubblico di genitori seduti sul divano con i propri figli.
Crossover è più figlia della serialità contemporanea trasversale, filtrata attraverso le esigenze e i paradigmi Disney, che delle vecchie serie di successo della Casa del Topo pensate per un pubblico di giovanissimi.
Continua a leggere la recensione della prima stagione di Crossover:
La trama di Crossover
Il crossover è uno dei tanti movimenti che compongono la disciplina della pallacanestro. Da nome, consiste nell’ingannare l’avversario mentre si ha il possesso palla, lasciando a intendere che si procederà tenendo la sfera arancione con una mano, procedendo poi a una finta che fa la fa finire nell’altra.
Il significato metaforico del titolo fa riferimento ai tanti eventi inaspettati che travolgono all’improvviso la famiglia Bell e i due figli gemelli JB e Filthy. Siamo a New Orleans, ma stavolta non c’è una storia di riscatto e uscita dal getto. Il padre dei protagonisti è un ex giocatore dell’NBA, quindi le preoccupazioni economiche non sono un problema.
I figli della coppia vengono subito instradati a diventare i campioni di domani: sin dall’età di 5 anni il padre cresce JB e Filthy con l’obiettivo di vederli giocare in NBA.
Vista da un’ottica fuori dagli Stati Uniti, fuori dalla loro società iper-competitiva e neoliberista, fuori dalla voglia di riscatto della comunità afroamericana, è surreale che questo sia il punto di partenza acritico della serie. Non è la prima volta che succede: basta pensare ad esempio a Una famiglia vincente, il film con cui Will Smith ha vinto un Oscar interpretando in chiave positiva il padre delle sorelle Williams. Assi nello sport sì, ma anche ragazze cresciute isolate dalla propria comunità e private di ogni obiettivo se non quello di vincere.
Essendo un prodotto Disney e quindi, per definizione, mediato e positivista, la pressione sui gemelli Bell è tanta ma non troppa, la situazione sempre giocosa e psicologicamente sostenibile. Il principale obiettivo dei due è farsi notare dai talent scout delle squadre delle superiori nell’ultimo anno trascorso nell’attuale istituto che frequentano. Il campionato che stanno giocando dunque è cruciale.
Il crossover è l’improvvisa malattia che ferma il padre e allenatore dei due. Sembra l’inizio di un dramma, di fatto lo è, ma Crossover riesce a tenere la palla al centro e a mantenere il tono ragionevolmente leggero, guidandoci alla scoperta delle paure e delle insicurezze non solo dei ragazzini e dei loro amici, ma anche degli adulti di famiglia.
Cosa funziona e cosa no in Crossover
Nonostante il sigillo produttivo di LeBron James, è difficile credere davvero al mondo ovattato di Crossover, in cui tutti danno sempre la risposta giusta e fanno sempre l’azione più sensata anche nei momenti più drammatici.
Date le premesse, la serie potrebbe prendere una svolta molto più drammatica. Di fatto i Bell sono una famiglia privilegiata, con pochi scheletri nell’armadio (che da premessa si riveleranno inoffensivi) e che di fronte a una difficoltà riescono sempre a cavar fuori un successo. Nel presente e nel futuro.
Infatti Crossover alterna il racconto del presente dei giovani Bell al momento da loro tanto atteso: quello in cui scopriranno se faranno parte del mondo dei professionisti, NBA. Ci sono almeno due colpi di scena che tengono alto il ritmo della serie (quando scopriamo cosa è successo, vogliamo sapere come, perché è soprattutto a chi) e che creano difficoltà ai protagonisti.
Crossover avrebbe anche dalla sua il punto forte di essere una serie dedicata a un pubblico giovane e internazionale ambientata in un contesto all black come la New Orleans sportiva. Senza un’eccessiva pedanteria (considerando gli standard Disney) è evidente come la serie dia uno sguardo all’atmosfera famigliare e comunitaria cementata attraverso la storia e le lotte afroamericane.
Questo spunto non innovativo ma comunque inusuale finisce per essere però un grosso limite della serie. In un prodotto Disney per giovani è già difficile che qualcuno faccia qualcosa di irreparabilmente stupido o irreparabile e basta, figuriamoci se c’è in ballo la rappresentazione afroamericana. Nessuno alza mai la voce, nessuno sbotta, tutti sono grandi saggi con una pazienza zen encomiabile.
Se siete alla ricerca di una serie sportiva, Crossover potrebbe fare per voi, ma attenzione: la pallacanestro è una componente importante ma non sempre centrale in una serie pensata per un pubblico di adolescenti e quindi particolarmente incentrata sui loro desideri e turbamenti.
Nonostante i piccoli e grandi scogli che i Bell affrontano, è difficile sostenere di sentire “la vita vera” dentro Crossover. Insomma, se non avete la necessità di coinvolgere nelle vostre visioni i più giovani, lascerei perdere. Se invece siete genitori e vi tocca, difficilmente in questo periodo troverete qualcosa di meglio di questa serie.