Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

Dalla realtà al podcast, alla miniserie

Dying for Sex la recensione della storia vera con Michelle Williams

Su Disney+ sono disponibili gli 8 episodi della miniserie Dying for Sex, basata sul podcast che racconta la storia vera di Molly Kochan, morta a 44 anni di cancro assistita dalla sua amica Nikki.

La vera storia dietro Dying for Sex

Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

La serie nasce da una vicenda realmente accaduta, raccontata inizialmente nel podcast omonimo di Wondery lanciato nel 2020. Al centro di tutto c'è Molly Kochan, una donna di Los Angeles che, a 44 anni, scopre di avere un cancro al seno in stadio avanzato, metastatico. La diagnosi è senza scampo. Ma invece di ritirarsi in se stessa o aggrapparsi disperatamente a ogni speranza di cura, Molly prende una decisione radicale: lascia il marito e si butta in un percorso di esplorazione sessuale e personale.

Ma il vero cuore della storia non è il sesso in sé - anche se Molly racconta nel podcast le sue esperienze con disarmante sincerità e una buona dose di ironia - bensì l’amicizia profonda che la lega a Nikki Boyer, co-conduttrice del podcast e sua migliore amica da anni. Nikki, che lavorava nel mondo dell’intrattenimento, ha iniziato a registrare le conversazioni con Molly quasi per gioco, poi con sempre maggiore consapevolezza: stava documentando gli ultimi anni di una donna che, paradossalmente, voleva vivere più che mai.

Attraverso sei episodi intensi e commoventi, il podcast racconta non solo gli appuntamenti sessuali di Molly, ma anche i traumi dell’infanzia, i problemi irrisolti con la madre, le fragilità, le risate, la rabbia e il tentativo, alla fine riuscito, di arrivare alla morte senza lasciare che fosse la malattia a definire chi fosse.

Molly è morta nel 2019, poco prima che il podcast uscisse. Nikki Boyer ha raccontato che una delle cose che più le premeva era proprio lasciare un’impronta, una testimonianza autentica della propria esistenza. E ci è riuscita: Dying for Sex è stato un successo enorme, commovente e potente, e ha dato voce a un modo alternativo, e più umano, di vivere l’ultimo tratto di strada.

La serie con Michelle Williams nasce proprio da qui: dal desiderio di tradurre questa testimonianza vera in una narrazione visiva che fosse rispettosa, ma anche libera di inventare. La Molly della serie non è una copia esatta della Molly reale, ma ne porta con sé lo spirito ribelle, tenero e sincero.

Dying for Sex: la miniserie

Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

Molly (Michelle Williams, candidata a 5 Oscar per altrettanti film fra cui I segreti di Brokeback Mountain e Manchester by the Sea) è una donna sulla quarantina che riceve una diagnosi terminale di cancro al seno. Invece di lasciarsi sopraffare dalla malattia, decide di stravolgere la propria vita: lascia il marito e intraprende una serie di avventure sessuali con uomini incontrati online. Ma non è una storia frivola o scandalistica: ogni incontro è un’occasione per esplorare parti della propria identità, quell’identità che per troppo tempo Molly aveva messo a tacere. La sua migliore amica Nikki (Jenny State, celebre doppiatrice e interprete di Bored to Death) la accompagna in questo viaggio come confidente, testimone e infine anche memoria emotiva della protagonista. Attraverso un tono che oscilla fra ironia, dolore e intimità sincera, Dying for Sex ci racconta il percorso di Molly verso una forma personale di liberazione, in un momento in cui avrebbe potuto lasciarsi andare al solo declino fisico.

Le ragioni del successo

Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

Non è difficile comprendere perché il podcast di Nikki abbia avuto un tale successo: la donna ha deciso di raccontare la storia di Molly e della sua amicizia con lei, gli ultimi anni di vita della sua amica e il modo in cui ha deciso di vivere “fino in fondo”, anche quando la fine era inevitabile. Il podcast ha avuto una risonanza enorme per la sua capacità di parlare della malattia in modo schietto ma non privo di leggerezza, esplorando il sesso come metafora di riscatto, non come provocazione. La miniserie, pur rimanendo fedele ai toni originali, si prende più libertà narrative, approfondendo i retroscena familiari e i rimpianti che hanno segnato il passato di Molly, in particolare nel rapporto con la madre Gail (la sempre intesa e perfetta Sissy Spacek).

Dopo The Big C

Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

Dying for Sex è una serie che arriva con grandi promesse e un cast impeccabile. Eppure, qualcosa stona: ma non l’avevamo già vista, questa storia? Perché per quanto cambi l’abito (una diagnosi qui, una ribellione erotica là), il copione emotivo è sempre lo stesso. La protagonista riceve una diagnosi, rinasce, si riscatta, fa pace con il passato e alla fine... Ci lascia. Come previsto e annunciato fin dal principio. Siamo sicuri di voler vedere ancora queste storie? Non che non siano importanti. Non che non facciano piangere. Ma iniziano a somigliarsi tutte.

Forse è perché nel 2010, un capolavoro chiamato The Big C aveva già detto tutto quello che Dying for Sex e qualsiasi altra storia su una donna che affronta la malattia e la morte voglia dire. Laura Linney (nelle vesti di Cathy) ridefiniva il modo in cui la TV raccontava la malattia: con ironia feroce, con un’umanità scomoda e un’autenticità priva di vezzi. La pillola non ci veniva indorata, insomma, e Cathy aveva le stesse reazioni di Molly. Perché entrambi erano personaggi umani, veri, credibili. The Big C aveva avuto la capacità di non ridurre tutto alla malattia stessa. In confronto, Dying for Sex ci appare quasi trattenuta, timida nel voler osare davvero.

Perché il punto è proprio questo: per quanto la serie voglia sembrare rivoluzionaria nel suo parlare di sesso e malattia, alla fine non è davvero una storia né sul sesso, né sulla morte. È una storia sull’amicizia. Su quell’amicizia fatta di risate, confessioni, sguardi e silenzi. Ed è una storia sul perdono. Ma non il perdono banale, quello “da manuale”. Qui si parla del perdono che una madre crede di dover ricevere dalla figlia, e che invece - e questo è il vero cuore emotivo della serie - deve imparare a offrire a se stessa. È lì, in quel gesto minuscolo e gigantesco, che la serie trova la sua verità più profonda. 

Quindi sì, forse non è un racconto nuovo. Forse non ci sorprende. Ma ci accarezza, ci consola, e ogni tanto ci mette anche di fronte a quelle cose che non vorremmo ammettere neanche a noi stessi. 

E Michelle Williams, inutile dirlo, è semplicemente perfetta.

7.5

Voto

Redazione

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Dying for Sex: la recensione della storia vera con Michelle Williams

Dying for Sex su Disney+ non è solo la cronaca di una storia vera in cui una donna che decide di esplorare il sesso dopo una diagnosi terminale; è soprattutto il ritratto tenero e feroce di un’amicizia che resiste alla malattia, alla paura e al tempo che stringe. La serie con Michelle Williams, tratta da una storia vera già raccontata nell’omonimo podcast, oscilla fra confessione e catarsi, fra ironia e dolore, raccontando una donna che sceglie di vivere fino all’ultimo respiro. Eppure, per quanto intensa e sincera, la storia suona familiare, come se l’avessimo già sentita - e forse è davvero così, perché The Big C, anni fa, aveva già riscritto le regole di questo tipo di narrazione. Ma Dying for Sex ha comunque un suo cuore pulsante: non è la malattia né il sesso, ma il perdono, quello autentico, e l’amore incondizionato tra due amiche che si tengono per mano anche quando una delle due non può più restare.

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