El Portal - I segreti oscuri di Zona Divas: la sconvolgente docuserie sulla tratta di donne in Messico
Uno scioccante documentario su omicidi e tratta di esseri umani
El Portal - I segreti oscuri di Zona Divas: 4 episodi, uno più sconvolgente dell’altro.
Il mondo sommerso di Zona Divas, sito di escort che nascondeva una tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento e addirittura omicidi è al centro della docuserie di Netflix - in spagnolo e sottotitolata in italiano - che squarcia il velo su orrori di cui molti nemmeno sospettavano l’esistenza.
Non certo le ragazze straniere, quasi tutte sudamericane, che arrivavano a Città del Messico per lavorare come baby-sitter o colf, né le ragazze consapevoli che sarebbero diventate escort del sito, senza però sapere a quali condizioni.
Le storie di El Portal sono dure. Crude. Sono storie di povertà e di dolore, di donne nate dalla parte sbagliata del mondo e finite in un posto addirittura peggiore. Perfino quando scappavano dall’inferno.
Corruzione, collusione, violenza. Un sistema senza via d’uscita, tranne che per poche fortunate, presenti a raccontare la loro esperienza davanti alle telecamere di un documentario che non può lasciare indifferenti.
Il coraggio di parlare
Prima di qualsiasi altra cosa, va sottolineato il coraggio di chi ha realizzato questo documentario, viaggiato per mezzo mondo per incontrare le famiglie delle vittime e vedere dov’erano cresciute e perché erano scappate in Messico, dove c’era la sede di Zona Divas.
Il coraggio vero, però, è quello delle ex escort di Zona Divas, le sopravvissute. Quello delle famiglie delle numerose vittime di femminicidi legati all’organizzazione. Quello delle investigatrici che ci mettono la faccia, letteralmente, per esporre una realtà scomoda, che nasce in un Paese definito da alcuni testimoni del documentario “violento, corrotto, infernale”.
Un Paese in cui Ignacio Antonio Santoyo Cervantes, noto come Soni, è stato libero di agire per anni creando un moderno sistema di schiavismo sessuale che fa orrore.
Eppure, va raccontato. Esposto. Investigato. Altrimenti, le morti e i drammi di tutte queste ragazze saranno state inutili.
Morire a poco più di vent’anni, dopo essere state sfruttate da un’organizzazione criminale. El Portal ci trascina direttamente dentro un mondo sommerso e terrificante. Con eventi sempre più incredibili.
La tratta di esseri umani, la riduzione in schiavitù, gli omicidi e addirittura i finti colpevoli, incastrati dalla polizia corrotta o semplicemente incompetente.
A città del Messico, Zona Divas è un’organizzazione criminale che sfrutta le ragazze straniere facendole entrare in un giro di prostituzione da cui non possono uscire, pena la loro vita.
Brenda, argentina, ce l’ha fatta e ci racconta la sua esperienza. Come Candice, colombiana, che mantiene l’anonimato: è un’attrice a interpretarla.
Zona Divas
Zona Divas è il nome del sito (il portale, appunto) sul quale le ragazze vengono presentate ai clienti. Per pubblicare un annuncio sul sito, le ragazze contattavano l’organizzazione e fornivano il materiale richiesto.
L’organizzazione si occupava delle foto professionali. E la prima testimone che ne ha fatto parte ne parla benissimo - l’unica che ne parla bene. Afferma che dal sito proteggevano le ragazze, controllavano un’attività che esisteva comunque. Ma le molte, troppe escort di Zona Divas non sono affatto convinte di essere state protette. Perché i clienti non venivano controllati: potevi finire per incontrare chiunque. E infatti, ci sono state una serie di vittime.
Kenni, venezuelana, era legatissima alla madre. Quando la madre si ammala e ha bisogno di costosi farmaci che si trovano solo all’estero, Kenni parte. Arriva in Messico e si unisce a Zona Divas, facendo fruttare la propria bellezza per aiutare la madre. Kenni soffriva. Voleva smettere ma non poteva. Veniva costretta a lavorare e la stragrande maggioranza dei soldi, naturalmente, finivano all’organizzazione. Quella che le ragazze chiamavano agenzia e a cui pagavano vitto, alloggio e percentuali a peso d’oro.
Il fondatore della organizzazione Soni ribadisce che erano le ragazze a contattare Zona Divas e che facevano quel lavoro volontariamente. Non ha molto altro da dire, Ignacio Antonio Santoyo Cervantes. Più che altro ciò che vuole, visto il suo potere. E le sue conoscenze.
Wendy era fuggita dal Venezuela quando nel Paese non c’era più da mangiare. Arrivata a Città del Messico, finisce nella rete di Zona Divas. Kenni e Wendy sono due delle sei ragazze morte.
Omicidi e recensioni
Oltre agli omicidi, dei quali si parla diffusamente in questa scioccante docuserie, c’è un altro aspetto della vicenda che colpisce: le recensioni. I clienti lasciano recensioni sulle ragazze, ricattandole. Una cattiva recensione non ti fa più lavorare, una buona recensione fa sì che tu possa lavorare e guadagnare. Per quanto si possa guadagnare in un sistema di sfruttamento come questo, ovviamente.
Ecco quindi che i clienti, rigorosamente sotto alter ego, si riuniscono, si mettono d’accordo, ricattano le ragazze, organizzano addirittura dei ritrovi fra clienti del sito.
Nessuno di loro, comunque, arriva ai livelli di Soni, il proprietario della“agenzia“. Sfruttando il proprio potere, il “capo” faceva ciò che voleva e faceva fare a tutte le ragazze ciò che voleva.
I racconti sono agghiaccianti, ma fondamentali per aprire gli occhi su centinaia di vite disperate, distrutte, segnate per sempre.
Fra il 2010 e il 2017 si è formata quella che la investigatrice capo definisce ondata di femminicidi delle ragazze che venivano pubblicizzate su Zona Divas.
Reclutate addirittura sui social, con l’offerta di lavoro per ragazze straniere come colf e baby-sitter, all’arrivo scoprono che devono fare le escort. Non possono rifiutarsi: vengono minacciate le loro famiglie, di cui l’organizzazione sa tutto. A reclutare queste ragazze sono altre ragazze, quelle che hanno scelto di fare questo lavoro e che sono poi entrate nell’organizzazione, scalandone la gerarchia.
Nessun colpevole
Zona Divas era esattamente ciò che il suo fondatore aveva sempre negato che fosse: l’organizzazione dietro alla tratta di esseri umani. Una moderna forma di schiavitù che prevedeva fino a 10 clienti al giorno, le ragazze rigorosamente controllate giorno e notte, senza la possibilità di scappare.
L’unico modo era pagare cifre altissime per estinguere quel debito che l’organizzazione affermava di vantare nei confronti delle ragazze per l’inserimento, le fotografie, il vitto, l’alloggio, gli annunci e tutto il resto.
Una ragazza riesce a lavorare segretamente al di fuori dell’organizzazione, guadagnando abbastanza soldi da comprare la propria libertà da Soni. Un’altra è protagonista di una fuga rocambolesca, che la sottrae alle grinfie dell’organizzazione e grazie alla sua denuncia - tramite l’ambasciata, perché la polizia locale probabilmente sapeva già tutto e si faceva pagare per lasciar correre - inizia a emergere la verità.
Una verità che porta Soni e il suo socio a essere arrestati, ma che lascia gli omicidi senza colpevoli.
Le famiglie non hanno avuto giustizia, nemmeno quando il responsabile dell’omicidio viene individuato.
Di nuovo: corruzione, incompetenza, semplice superficialità. A nessuno importa della morte di una prostituta straniera. In fondo, pensano (e scrivono) molti, se la sono cercata.
El Portal, un documentario difficile da sostenere ma che siamo moralmente obbligati a guardare, ci insegna almeno una cosa: che nessuna, nessuna delle ragazze gettate via come spazzatura da assassini senza scrupoli se l’è cercata.