Il signore degli anelli: Gli anelli del potere, la recensione della stagione 2
Un'analisi del motivo per cui, nonostante la qualità produttiva, la serie non funziona
Spettacolare. Il trionfo della magnificenza produttiva. Visivamente ineccepibile. Chissà cosa avrebbe dato Peter Jackson, per disporre di effetti speciali di questo livello… Ma Peter Jackson avrebbe saputo, come lo sappiamo noi spettatori, che gli effetti speciali migliori del mondo non bastano.
Quando decidi, perché è una scelta, di mettere le mani su un universo narrativo come quello de Il signore degli anelli, ti prendi un rischio ma hai anche un innegabile vantaggio. Data la complessità universalmente nota del mondo nato dalla penna di J.R.R. Tolkien, ti puoi prendere il tempo necessario a gettare le basi della narrazione. Pochi si sono lamentati della lunghezza dei film di Peter Jackson, all’epoca della loro uscita. Soprattutto perché vedendoli, con la guida di personaggi coinvolgenti, difficilmente avevi il tempo di guardare l’orologio.
Possiamo quindi concedere a Il signore degli anelli: Gli anelli del potere, la serie di Prime Video, il lusso di prendersi un po’ di tempo per introdurre ambientazione, personaggi e trama.
Certo, un’intera prima stagione era un tempo un tantino eccessivo, ma molti di noi erano comunque pronti concedere il beneficio del dubbio al seguito di un’opera oggettivamente di grande qualità (visiva e produttiva).
L’approccio sbagliato
Questo seguito è la stagione 2 de Gli anelli del potere, che si è conclusa con l’ottavo episodio (il migliore degli 8) il 3 ottobre su Prime Video.
Ma il beneficio del dubbio, concesso con benevolenza dagli spettatori, è stato tradito.
La seconda stagione non ha quasi nulla di diverso rispetto alla prima. Stessi pregi - esteriori: estetici, essenzialmente (e vorrei anche ben vedere, con quel budget!) - stessi difetti.
Il che, spero sarete d’accordo, significa che è l’approccio a non funzionare.
Continui a raccontare una storia appassionante di per sé, ma commetti una leggerezza molto grave: lasci i personaggi esattamente dove sono, in superficie. Senza il necessario approfondimento psicologico. Già nel primo ciclo di episodi è abbastanza grave. Ma se incentri la nuova stagione su “il” cattivo per definizione, Sauron, il Signore Oscuro che ha abitato gli incubi di chiunque abbia letto di lui, allora non hai veramente scusanti.
La splendida copertina di un libro senza parole
Perdonatemi il gioco di parole, ma gli autori sono in effetti redicivi. Gli anelli del potere in questa seconda stagione prende tutti i problemi della prima, li esaspera e chiarisce quale sia in effetti il punto: la prima stagione non era una premessa. Non serviva a mostrare la magnificenza della realizzazione mentre si ponevano le basi per un universo narrativo complesso e variegato, ricco di intrecci e di maestosi combattimenti. No.
La prima stagione era semplicemente il modo in cui Gli anelli del potere ci sarebbe stato presentato. Sempre. Per tutta la sua durata, che a questo punto mi auguro sia breve.
Facciamo un esempio. Siete appassionati di libri. Passate davanti alla vetrina di una libreria in cui è esposta l’edizione più bella che abbiate mai visto. Un’edizione limitata, pregiata e curatissima, di un romanzo che amate. Non riuscite a togliere gli occhi da quella copertina, e siete praticamente costretti a entrare e acquistarlo. Emozionati come adolescenti, correte a casa perché non vedete l’ora di gustarvi la lettura. Con un’attenzione maniacale per non rovinare la copertina, aprite il libro e iniziate a sfogliarlo.
Ma è vuoto. Le pagine sono tutte bianche: non c’è scritto niente.
Gli anelli del potere è esattamente così. Ha una confezione estetica perfetta, ricca, attraente con una assenza di contenuto e, nel caso specifico della seconda stagione, soprattutto di anima.
Si parla spesso di “cuore della narrazione”, qui si deve chiarire che di cuore non ce n’è. Non c’è passione, non ci sono emozioni, non ci sono il coinvolgimento dei personaggi nelle vite e nel destino dei loro compagni d’avventura, come potranno mai esserci le emozioni e il coinvolgimento degli spettatori?
Se nemmeno i personaggi temono realmente colui che dovrebbe incarnare la paura stessa, perché mai dovremmo essere noi a temerlo?
Sauron
Riuscire a banalizzare, svilire e sminuire un “cattivo” del livello di Sauron era un’impresa non semplice. Eppure, la seconda stagione de Gli anelli del potere ci riesce, e alla grande.
Prima lo trasforma in una sorta di Venom che non ce l’ha fatta (no, non è puro Male come abbiamo sempre pensato, è una melma nera che cambia forma…). Poi lo investe del ruolo dello splendido elfo, il Legolas della situazione, che inganna tutti. Ma nemmeno questo funziona. Quel mostro di crudeltà e oscurità su cui Tolkien ha fondato tutto ciò che di spaventoso esiste nel mondo del suo Signore degli anelli non ci fa paura.
Soprattutto se infilato in un calderone di sottotrame (sono arrivata a contarne tredici!) con un’infinità di linee narrative secondarie trattate tutte come se fossero la principale, perfino Sauron perde potere.
Il ritmo
Sapete cosa sono i filler? Tutto ciò che riesce a rendere noiosa una serie potenzialmente epica come Gli anelli del potere. Significa trattare ogni linea narrativa, e come dicevo qui sono davvero tante, come se fosse ugualmente importante. Riempiendo di filler, appunto, con nozioni e scene inutili, episodi che risultano sempre troppo lunghi, privi di ritmo, spesso noiosi. Se anche succede qualcosa d’interessante, succede quando ormai sei talmente annoiato da esserti distratto.
Quando arriva una battaglia effettivamente epica, che merita la tua attenzione, finisci per viverla come l’ennesima anticipazione di qualcosa che (forse) succederà in futuro. Ma a questo punto sei stanco di aspettare.
Gli anelli del potere non ha anima. Per questo, non ci affezioniamo ai personaggi e di conseguenza ci importa ben poco di cosa accadrà a loro e ai loro cari. Se non ti affezioni ai personaggi, è perché la sceneggiatura resta sempre in superficie, è confusionaria e non sa guidarti nella giusta direzione.
Ma tu insisti. Prosegui, perché questa serie ha quell’aspetto visivo magnifico che non si vede tutti i giorni, ed è probabile che diventi anche la serie più vista su Prime Video da quando esiste.
Ma essere popolari non significa necessariamente avere qualità da offrire. Molta più gente di quanta abbia guardato Gli anelli del potere si guarda puntualmente Temptation Island, questo ne fa un buon prodotto?
I personaggi: che fine ha fatto Tolkien?
Entriamo un po’ più nello specifico. Sauron (Charlie Vickers, I Medici) si propone come il miglior “cattivo capo” di sempre: Morgoth, secondo lui, in confronto era un dilettante. Egli farà cose molto più memorabili. Mi scoccia ripetermi, ma se non ci credono nemmeno gli orchi, che arrivano a farlo fuori in un’evidente scena-citazione dell’omicidio di Giulio Cesare con Adar (Sam Hazeldine, Peaky Blinders) nel ruolo di Bruto, perché mai dovremmo crederci noi?
Anche perché, in realtà, noi sappiamo già cosa ha fatto Sauron. Il problema è riconoscere Sauron in questo personaggio scritto da qualcuno che probabilmente, per non farsi influenzare da Tolkien, ha evitato proprio di leggerlo.
Magari il fallimento de Gli anelli del potere è dovuto a un eccesso di prudenza, ma qui non tornano i conti.
Sauron in forma umana cela la propria natura. Incontra per caso (per puro caso, quando il Fato è un tema centrale nell’opera, ma qui non ci si sbilancia mai) la combattiva elfa Galadriel (Morfydd Clark, Queste oscure materie). Colei che è chiamata a guidare i regni illuminati contro il signore oscuro, eppure a volte fa i capricci. L’eroina della situazione, che in modo politicamente correttissimo è fra l’altro una donna, si comporta a più riprese come un’adolescente. Pur con tutti gli anni che le vengono attribuiti, ancora non distingue un cialtrone da un signore oscuro.
È così che crolla l’intero impianto narrativo. Un personaggio incoerente dopo l’altro. Una scena inutile dopo l’altra. Un’ostentazione di mezzi che funziona solo fino a quando non ci si rende conto che degli esiti di quella battaglia non ci importa nulla, perché in realtà non ci importa dei personaggi che vi prendono parte.
La battaglia delle Acque Nere in Game of Thrones non aveva un terzo del valore visivo di quella mostrata nella parte finale de Gli anelli del potere 2, ma la ricordiamo con emozione perché tenevamo ai personaggi. Soprattutto a Tyrion. Qui è dura appassionarsi davvero a un personaggio.
Forse giusto lo Straniero (Daniel Weymen, Testimoni silenziosi), lo stregone che sappiamo (noi, gli altri pensano frequentemente che sia cattivo) essere Gandalf, passa dal non saper praticamente parlare a usare il bastone per fare magie in un amen. Un’evoluzione incoerente, coi tempi sbagliati, con le regole sbagliate. E col mentore sbagliato.
Perché il vero elefante nella stanza de Gli anelli del potere 2 si chiama Tom Bombadil. Lo interpreta quel grande attore che è Rory Kinnear, che chiunque abbia visto Penny Dreadful o The Imitation Game non ha dimenticato. Se ingaggi Rory Kinnear, e se al personaggio non cambi nome e ruolo - qui sarà colui che aiuterà la trasformazione dello Straniero in uno stregone potente - non puoi pretendere che non si faccia un raffronto con la sua versione letteraria. Tom Bombadil è un personaggio che ha un sapore antico, primordiale. È divertente e autoritario al tempo stesso. Non sappiamo praticamente nulla di lui, se non che si mette a ballare e a parlare in rima. Non sappiamo nemmeno che “cosa” sia, quale sia la sua vera natura. Bombadil è un mistero, e tale è rimasto per volere del suo creatore. Qui abbiamo un Tom Bombadil affascinante grazie alla bravura del suo interprete, ma di poco spessore dal punto di vista del mistero. E mi taccio sul Saruman della situazione (con il trucco per farlo somigliare a Christopher Lee).
Sarebbe come paragonare una creatura di origine sconosciuta e dal potere potenzialmente infinito a Pat Morita in Karate Kid. Il maestro Miyagi, la cui unica ambiguità risiede nel non capire come Ralph Macchio non colga che con la scusa di addestrarlo, il buon Miyagi si sta facendo rifare casa gratis.
C’è cosi tanto da dire che potrei continuare a lungo (non ho parlato di Numenor, fra regine non vedenti che vedono nelle sfere magiche e aquile giganti che compaiono dal nulla) ma mi sono dilungata anche troppo.
Vorrei però almeno accennare la questione degli anelli. Gli anelli che un Celebrimbor (Charles Edwards, The Crown) ai limiti della caricatura, corrispondente del fabbro per definizione nella sua forma letteraria, più di una volta si trova in difficoltà perché non sa come forgiare, se non consigliato. Ma anche consigliato, usa comunque una pinza diventata oggetto di MEME sui social.
Insomma, tutto confuso. Tutto allungato (come la visione che Sauron provoca proprio a Celebrimbor: dura secoli più del dovuto ai fini della trama. Secoli). Ed è bizzarro, visto il costo di oltre 50 milioni di dollari all’ora che ha collezionato la serie. Io avrei preferito stare sull’essenziale. Ma magari quando ho studiato produzione si tendeva a concentrarsi su elementi secondari come l’efficacia della trama…
Con una confezione come la sua, Gli anelli del potere dovrebbe essere (almeno) un 8. Facendo la media con il 2 della narrazione, non può arrivare alla sufficienza.
E già con un 5 mi sento generosa, ma ripensando alle immagini non posso scendere ancora. Ma vorrei, fidatevi.