Griselda: storia vera e recensione della miniserie Netflix con Sofia Vergara
La storia vera della boss della droga Griselda Blanco, e la recensione della miniserie Netflix in cui Sofia Vergara le dà vita. Con un'interpretazione magistrale.
Nel 1983 Brian De Palma diresse il remake in chiave moderna di un classico del 1932, intitolato Scarface. La sceneggiatura portava la firma di Oliver Stone e il protagonista era Al Pacino. Scarface, con la storia di Tony Montana, è diventato uno dei migliori gangster-movie di tutta la storia del cinema.
Griselda, drammatizzazione della storia vera di Griselda Blanco, è incredibilmente simile alla storia di Scarface. Perché gli inizi poveri, l’ascesa, l’ambizione spietata, l’arrivo al vertice, la lente distorta da uno smodato uso di droga e l’immancabile caduta, sono i passaggi attraversati da Tony Montana al cinema e da Griselda Blanco nella vita reale. Perché la storia è sempre la stessa: si arriva in cima, si perde il controllo e poi si cade. Rovinosamente.
Ci sono moltissime citazioni da Scarface - nella miniserie di Netflix in 6 episodi disponibile dal 25 gennaio - che ricostruisce grazie alla straordinaria interpretazione di Sofia Vergara, la vita e la carriera criminale di Griselda Blanco. Ma partiamo dall’inizio.
La vera storia di Griselda Blanco
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Nata il 15 febbraio del 1943 a Cartagena, nel quartiere più povero della città, Griselda andò a vivere a Medellín con i genitori - il padre l’avrebbe abbandonata presto e la madre era un’alcolizzata - all’età di 3 anni. Nel 1954, ad appena 11 anni, Griselda rapì un ragazzino ricco per ottenere un riscatto. Ma la famiglia non prese sul serio il sequestro: i conti non tornavano, sembrava tutto uno scherzo. Così nessuno pagò e prima ancora di compiere 12 anni, Griselda uccise per la prima volta, sparando al ragazzino che non le aveva fruttato i soldi sperati. A 13 anni era già un’esperta borseggiatrice. Il padre se n’era andato anni prima e quando la madre trovò un nuovo fidanzato, Griselda raccontò di aver subito abusi da parte di lui. Per questa ragione, a diciott’anni scappò di casa.
Alcune fonti riportano che lavorasse come prostituta da anni, sebbene Griselda abbia sempre negato questa parte della sua biografia. Quando aveva circa vent’anni incontrò Carlos Trujillo, un falsario celebre per la realizzazione di documenti falsi. Da Carlos, Griselda ebbe tre figli: Uber, Osvaldo e Dixon.
Carlos fu la sua seconda vittima: gli sparò, pare per una questione di soldi, e lasciò il Paese per trasferirsi a negli Stati Uniti. Era il 1964. Visse per un breve periodo a New York, insieme al suo secondo marito. Dopodiché si trasferì a Miami con i tre figli. Grazie ai suoi contatti con il cartello della droga di Medellín, fu pioniera nell’organizzazione dell’importazione di cocaina negli USA dalla Colombia. Sospettata di aver commissionato oltre 200 omicidi, nel corso di qualche anno Griselda costruì un vero e proprio impero, che le fruttava decine di milioni di dollari e la fece diventare la donna con il rango di boss della droga più alto della storia. Soprannominata “La madrina”, ma anche “La regina della coca”, fu infatti la più grande boss della droga della storia.
Per fermare il traffico di droga e soprattutto la sanguinaria guerra per il controllo del territorio, che coinvolse Griselda e i suoi avversari, venne creata l’unità speciale CENTAC (Central Tactical Unit), che riuscì a raccogliere la documentazione necessaria per l’arresto di Griselda Blanco da parte della DEA (l’unità antidroga) il 17 febbraio del 1985. Griselda aveva avuto un quarto figlio, dal terzo marito Dario Sepulveda, e l’aveva chiamato Michael Corleone Blanco, in omaggio al personaggio di Al Pacino ne Il padrino. Tanto per farci capire i suoi valori di riferimento.
In seguito a contrasti per la separazione e la custodia di Michael Corleone, Griselda fece uccidere anche Dario.
Ebbe diversi problemi di salute in carcere, causati principalmente dal peso e dal fumo, e dopo aver avuto un infarto in prigione nel 2002, nel 2004 venne scarcerata e rimandata in Colombia, a Medellìn, a vivere il resto della sua vita in pace. Ma il 3 settembre del 2012, dopo aver fatto la spesa in una macelleria insieme alla nuora incinta, la moglie di Michael Corleone, venne raggiunta da un motociclista che le sparò due volte, uccidendola.
Griselda Blanco è stata ritenuta responsabile di aver commissionato - e in parte commesso personalmente - centinaia di omicidi durante la guerra per il controllo del traffico di droga, nota come Miami Drug War o anche Cocaine Cowboy Wars.
La recensione della serie di Netflix: perché Griselda è destinata a lasciare il segno
Non è la prima volta che la storia di Griselda Blanco viene portata sullo schermo. Nel 2017 Catherine Zeta-Jones le diede vita nel film Cocaine Godmother, diretta da Guillermo Navarro, ma il film ebbe un’accoglienza negativa sia da parte del pubblico che da parte della critica.
Poi è arrivata Sofia Vergara. L’attrice colombiana, che in Modern Family (4 nomination agli Emmy e 4 ai Golden Globes per il ruolo) prendeva in giro le sue origini parlando della violenza esasperata del suo Paese, firma come produttrice esecutiva Griselda. E fa un lavoro incredibile come interprete.
Certo: per quanto truccata, con tanto di applicazioni di protesi in lattice, la Vergara resta sempre comunque troppo bella per somigliare alla vera Griselda Blanco. E a un’attrice della sua età, prossima ai 52 anni, non si poteva certo chiedere una trasformazione fisica per ingrassare e poi riperdere i chili come si fa con gli attori giovani. Quindi dovremo accontentarci: Sofia Vergara non somiglia molto a Griselda Blanco, ma certamente ci regala un’interpretazione memorabile - con ampie parti nella sua lingua madre - e forse, finalmente, una delle prossime nomination si trasformerà in un premio.
La storia di Griselda, nella miniserie, parte quando la donna è già adulta. Il racconto, per chiara volontà degli autori, viene costruito come vi dicevo con molti omaggi alla storia di Tony Montana raccontata da De Palma, tanto che ci sono delle inquadrature di Griselda ai vertici che ricordano quelle dedicate a Pacino.
C’è tanto di vero nella miniserie, inclusi l’accidentale omicidio di un bambino, il sicario Jorge Ayala - noto come Rivi - e la crudeltà di una donna che, pur essendo madre, sceglie il ruolo di Madrina che i suoi sottoposti le hanno assegnato.
Si dice sempre che il motivo per cui le donne raramente raggiungono i vertici di organizzazioni criminali spietate sia perché una madre non può essere anche un mostro, facendo uccidere donne e bambini. Ma Griselda ci racconta l’esatto opposto. Ci parla di una donna così ambiziosa da mettere tutto, inclusi i suoi figli, dopo la sete di denaro e potere.
Griselda è il mezzo con cui la storia dedica a una figura spietata un ritratto reale.
Proprio come in Scarface, la miniserie esplora il tema della corruzione, del potere e della violenza, dell’ascesa e della caduta attraverso uno sguardo crudo e spietato sul mondo del crimine.
Un mondo in cui Griselda si confronta sempre e solo con uomini, più spietati e più crudeli di lei. Almeno fino a quando Griselda mantiene ancora un vago controllo di sé. Quando lo perde, niente e nessuno sembra più turbarla, com’era invece accaduto in passato.
I paralleli fra la storia di Griselda Blanco e quella, fittizia, di Tony Montana si vedono fin dal principio, con la differenza che Griselda - essendo una donna - nel mondo degli anni ’60 e ’70 non viene presa sul serio da nessuno. Forse per questo deve mostrarsi capace di tutto. Forse per questo, almeno nella miniserie, si trasforma nel mostro che non le è difficile diventare.
Nella realtà, sappiamo che Griselda aveva iniziato a uccidere prima ancora di compiere 12 anni.
Ma la Griselda di Sofia Vergara non ci racconta la storia di una bambina che faceva semplicemente ciò che vedeva fare o che sentiva raccontare. Ci racconta, piuttosto, la storia di una donna che nella vita ha sempre dovuto lottare per conquistare qualsiasi cosa, fosse anche solo il diritto di bersi una birra. E che aveva sempre dovuto lottare contro degli uomini, per ottenere ciò che agli altri uomini spettava di diritto.
Ecco quindi che il punto di vista di Griselda è sì quello di un’aspirante boss della droga, ma anche e soprattutto quello di una donna che rinnega la sua stessa natura di madre perché, semplicemente, finisce per essere attratta più dal denaro e dal potere che da qualsiasi altra cosa.
La trasformazione di Sofia Vergara, episodio dopo episodio, diventa sempre più marcata. La sua violenza e il suo odio per il mondo che l’ha rifiutata e umiliata crescono un po’ alla volta, fino a esplodere. All’inizio di ogni episodio, viene scelta un’inquadratura, di solito un primo piano, della protagonista. Destinato a diventare un’immagine iconica, sulla quale compare il titolo della miniserie, il suo nome: Griselda.
La miniserie su questo insiste parecchio, così come insiste su come Griselda debba faticare anche solo per farsi ascoltare. E poi, quando è lei a dover ascoltare, non ne è più capace. Ha perso la sua stessa identità.
È talmente concentrata a sospettare che l’informatore della polizia sia vicino a lei che smette di guardare le persone con obiettività, ignorando i segnali che noi abbiamo colto con chiarezza.
Esattamente come Tony Montana, quando inizia ad abusare eccessivamente di ciò che le ha fatto fare i soldi, perde il controllo. Nello stesso, identico modo. Perché non c’è via di scampo, quando si esagera. Non si riesce più a comunicare con nessuno, nemmeno con i propri figli.
Anche dall’altra parte della barricata viene evidenziato il punto di vista femminile, ma soprattutto le difficoltà che anche i “buoni” trovano a farsi ascoltare.
La detective June Hawkins, ottimamente interpretata da Juliana Aidén Martinez (The Blacklist, Prodigal Son), nel dipartimento di polizia viene considerata come una segretaria dai colleghi uomini. Fino all’arrivo di un uomo, latino come lei, che quando viene messo a capo della neoformata CENTAC riconosce il valore del lavoro di June e le dà l’opportunità di fare il necessario per arrivare a incastrare Griselda.
Ci sono due donne, una contro l’altra, che si scontrano nella guerra della giustizia - spesso corrotta - contro il crimine.
C’è un ambiente ostile in tutto e per tutto alle donne, ma attenzione. Qui non siamo né nel politically correct né nella famigerata “lotta al patriarcato”: in Griselda siamo semplicemente immersi nella realtà di un’epoca che alle donne non concedeva spazio. Così, in un ambiente o nell’altro, le donne dovevano cercare di guadagnarselo in qualche modo.
La storia ci ricorda come venivano considerate le capacità imprenditoriali - e figuriamoci quelle necessarie per entrare in polizia - negli anni ’70: nulle.
Così, Griselda sceglie di raccontarci una storia vera con un doppio punto di vista femminile e una comune lotta di due donne contro un mondo creato dagli uomini per gli uomini.
Senza retorica, perché è semplicemente storia. Ricostruzione del contesto storico. Realtà.
Nel racconto dell’ascesa criminale di una donna che era più intelligente, scaltra e lungimirante di tanti uomini.
Griselda lo ripete spesso:
Ho un piano.
Qualsiasi cosa succeda, qualsiasi difficoltà arrivi, lei ha sempre un piano. Perfino nelle condizioni più disperate. E anche quando tutto sembra perduto, è talmente potente da riuscire ancora ad avere ciò che vuole.
Fino all’inevitabile finale, vero come la storia raccontata e come tutte le storie fittizie che abbiamo visto al cinema e in TV quando si tratta di imperi criminali.
Rating: TBA
Nazione: USA
Voto
Redazione
Griselda
Griselda, la miniserie Netflix in 6 episodi che racconta la storia vera della boss della droga Griselda Blanco, è prodotta e interpretata da una straordinaria Sofia Vergara. Certo: anche con le protesi in lattice che le applicano, la Vergara resta troppo bella per somigliare fisicamente alla vera Blanco, ma non importa. L'attrice è talmente intensa, credibile e coinvolgente in questo ruolo che tutto il resto passa in secondo piano.
Mantenere il ruolo de La Madrina, come veniva chiamata, diventa per Griselda Blanco l'unico scopo della vita. Tanto da arrivare a sostituire il suo ruolo di madre, in favore di quello di regina della coca di Miami (e non solo).
In un parallelismo voluto e ricercato con la storia di Tony Montana raccontata da Al Pacino in Scarface di Brian De Palma, Griselda su Netflix ci racconta ascesa e caduta di un impero costruito da una donna che, in quell'epoca, era considerata "buona" per fare, al massimo, la moglie. E nel caso peggiore, solo la prostituta.
La miniserie le mette contro un'altra donna, la detective June Hawkins (Juliana Aidén Martinez), che lotta anche lei in un mondo di uomini per farsi strada e far valere il suo ottimo lavoro nella neonata CENTAC, l'unità speciale creata nella realtà per fermare le guerre di droga a Miami, alimentate da Griselda.
Due donne, una contro l’altra, si scontrano nella guerra della giustizia - spesso corrotta - contro il crimine.
In un ambiente ostile alle donne, semplicemente perché la storia lo ricostruisce con onestà. Non c'è nulla di politicamente corretto, o di femminista, in Griselda. C'è solo la realtà di un mondo in cui una donna si è fatta strada a suon di omicidi per diventare la numero 1 nel crimine. E un'altra donna che l'aveva capita, come se la conoscesse, e che deve lottare anche solo per farsi ascoltare.
Senza retorica, senza risparmiarci nulla, senza pietà, Griselda ricostruisce scene ed eventi atroci. Con uno sguardo crudo sul mondo del crimine. Fino alla fine.