Hacks: la recensione della serie Netflix fra la vecchia Hollywood e il politicamente corretto
Su Netflix è arrivata la prima stagione di Hacks, dramedy con una Jean Smart strepitosa incentrata su una star della comicità che, dopo 40 anni di carriera, deve rinnovare il repertorio.
Jean Smart vanta una lunga e prolifica carriera. Molti della mia generazione l’hanno conosciuta nel ruolo ella First Lady in 24, una ventina d’anni fa. Ma anche la sua partecipazione a sitcom di grande qualità come Frasier, Innamorati pazzi e Samantha Chi? l’ha resa un volto noto al grande pubblico.
Hannah Einbinder, invece, non diceva quasi nulla perfino a me, che guardo serie e film h24. Già vista, ma non in ruoli memorabili.
Ed è perfetto così, perché la trama di Hacks ruota attorno a una leggenda della TV e degli spettacoli che inizia a lavorare con una perfetta sconosciuta la cui carriera deve ancora decollare.
In realtà, però, non è la fama a dividere le due protagoniste di Hacks, serie del 2021 arrivata su Netflix con i 10 episodi della prima stagione.
La trama di Hacks
Deborah Vance (Jean Smart) è una leggenda della comicità. Il suo spettacolo a Las Vegas è un appuntamento immancabile per turisti e fan della diva che da 40 anni calca le scene. Ma quando il proprietario del casino in cui si esibisce, Marty Ghilain (Christopher McDonald, l’indimenticabile Harry di Thelma & Louise) decide di metterla da parte, Deborah la prende malissimo. Tanto da voler usare il nuovo materiale scritto insieme ad Ava,(Hannah Einbinder), giovane sceneggiatrice con la carriera bloccata da un tweet infelice che le ha fatto terra bruciata intorno.
Il rapporto fra Deborah e Ava, che vengono da due mondi molto diversi e proprio non si capiscono, è il centro della narrazione, mentre l’agente di entrambe, Jimmy LuSaque (Paul W. Downs, anche shworunner e produttore della serie creata da Lucia Aniello), non fa che aggiungere caos al caos.
Non si sa più come parlare
Non è l’età, né la carriera, né lo stile di vita a creare un abisso fra Deborah e Ava. No. È l’atteggiamento a fare tutta la differenza del mondo. Ava è bisessuale, trova offensive battute che il pubblico di Deborah aveva sempre amato e quando le si presenta, la povera - si fa per dire - star consumata non sa più neanche come rivolgersi a lei. Lui. Loro. Asterisco.
Tutta la comicità di Hacks è giocata sul disagio che separa il vecchio mondo da quello che deve stare attento a ogni singola parola che pronuncia, un mondo rappresentato più che in ogni altra parte del pianeta dalle nuove leve di Hollywood, per le quali il politicamente corretto è una sorta di ossessione.
Per loro fortuna, sanno come muoversi in un territorio minato - nonostante un pessimo tweet abbia messo Ava nei guai - mentre tutti gli altri devono imparare. E non è affatto facile.
Perché una volta si poteva scherzare e ridere di tutto, oggi bisogna fare molta attenzione a non offendere nessuno e fare ironia su argomenti in qualche modo neutri, universali, che non indugino in dettagli troppo personali. Impossibile, per chi ha costruito un’intera carriera sulle battute che di sensi ne hanno almeno tre, se non due. Il doppio senso per non funziona più. Per questo Ava è perfetta per aiutare Deborah a orientarsi in un mondo nuovo, che le apra le porte di un’esperienza inedita. Deludendo probabilmente il pubblico che la segue da quarant’anni, ma magari catturando l’attenzione di nuovi fan.
Mentre Deborah non sa neanche più come parlare, e il suo agente - nonché agente di Ava - ha un’assistente incapace e chiassosa intoccabile in quanto figlia del proprietario dell’agenzia che anziché facilitargli il lavoro lo mette costantemente in difficoltà. Quando ha la brillante idea di mettere insieme Deborah e Ava, Jimmy sa di poter scatenare un disastro. Ma per sua fortuna, in una Las Vegas più squallida e triste che mai per gli americani non ricchi e più ricca e accogliente che mai per le star, le cose finiscono per andare come devono.
Il disagio è previsto
Lo scontro (pluri)generazionale come concetto funziona e Jean Smart ci regala un’interpretazione incantevole. Peccato che faccia voglia di vedere tutta la sua storia e molto meno quella di Ava, personaggio davvero fastidioso - menomale che quella odiosa sarebbe Deborah - che non fa che millantare cause per ogni cosa.
Mettiamoci la sfortuna di Ava, che di suo non è propriamente un’ottimista, e abbiamo il quadro di una serie interamente giocata sui contrasti di personalità e approccio alla vita, piuttosto che su due generazioni largamente separate che si confrontano.
In ogni caso, per quanto Ava possa fare tenerezza in diversi momenti, anche per la sua sfortuna e il fatto di risultare antipatica al punto di non avere amici, Deborah esce vincitrice dal confronto. A mani basse. Com’era giusto e prevedibile che fosse in una serie che tratta apertamente tematiche scottanti, dai ricatti sessuali nell’ambiente dello spettacolo alla necessità di essere fintamente corretti per non bruciarsi la piazza. Dagli uomini con la crisi di (oltre) mezza età che si fidanzano con le ventenni alle donne che l’età rischia di mettere da parte in un mondo sempre più superficiale e attento solo all’aspetto esteriore. Dall’ossessione per la chirurgia estetica al bisogno di emancipazione da una madre ingombrante. Dal lutto alla paura del futuro. Dai cambiamenti climatici alla depressione.
Hacks funziona. Tutto il disagio scatenato dal personaggio di Ava fa ampiamente parte del piano.
Innamoratevi di Deborah Vance e dei suoi eccessi, del suo ruolo di madre fallita e del suo desiderio di rivivere una storia d’amore. Perché l’amore, come il bisogno di contatto umano e di compagnia, non ha età.
Come sembra non averla Jean Smart, splendida (nel 2021) settantenne che si tiene stretti i suoi 5 Emmy Awards e ha molto, ma davvero molto da insegnarci sulla recitazione e sulla vita.