Happy Face: la recensione della serie di Paramount+ sulla vera figlia di un vero serial killer

Alla scoperta di una storia vera che fa riflettere

di Chiara Poli

Ispirato a una storia vera: la storia vera di Melissa G. Moore, che nella serie di Paramount+, in arrivo dal 21 marzo, diventa Melissa Reed. Ovvero la protagonista di Happy Face, una serie TV che dovreste proprio guardare, con i suoi 8 episodi che incollano allo schermo. Per raccontarci un’appassionante indagine ma soprattutto la vera storia di cosa significhi essere la figlia di un (vero) serial killer degli anni ’90.

La trama di Happy Face


Melissa Reed (Annaleigh Ashford, Masters of Sex) è felicemente sposata e ha due figli. Lavora come truccatrice per il famoso show del Dr. Greg, uno psicoterapeuta che si occupa di traumi e di crime in televisione. La trasmissione è seguitissima. Quando il serial killer Keith Hunter Jesperson (personaggio reale, interpretato in maniera eccelsa da Dennis Quaid, The Day After Tomorrow - L’alba del giorno dopo) chiama il dottor Greg (David Harewood, Homeland: Caccia alla spia), questi convoca Melissa nel suo ufficio, insieme alla produttrice del programma Ivy (Tamera Tomakili,Opus). Il serial killer Happy Face, rinchiuso in prigione, sta per telefonare a Greg e vuole parlare con Melissa, così lei è costretta a svelare il perché: Keith Junter Jesperson è suo padre…

Vittime collaterali


Cinque americani su sei nel corso delle loro vite saranno vittime di un crimine violento.

Lo racconta Melissa a Kathy, madre di una donna uccisa un anno prima, mentre la trucca per lo show.

Non è un caso che Melissa sia una make-up artist: la metafora del trucco, usata come l’indossare una maschera per nascondere le proprie reali emozioni, è ricorrente in tutta la serie.

“Put on a happy face”, recita la canzone della sigla: indossa una faccia felice. Come lo smiley, la faccina sorridente che il killer per questo soprannominato Happy Face usava come firma quando scriveva ai giornali.

Il killer è vero, Melissa è vera (ha scritto un libro e registrato un podcast per raccontare la sua storia, entrambi disponibili in Italia solo in lingua originale), la serie inventa una trama avvincente che coinvolge entrambi. Da qui il termine “ispirato”. I due personaggi protagonisti sono reali, il resto è stato appositamente ideato per inserire la tematica principale della realtà su uno sfondo narrativo fittizio.

E la tematica principale, come avrete intuito, è il dolore e tutte le altre conseguenze che anche le famiglie di chi commette crimini sono costrette a subire.

La realtà supera sempre la fantasia


La frase che ripetiamo in ogni episodio del podcast Crimini in Serie è perfettamente calzante nel caso di Happy Face: la storia raccontata durante gli 8 episodi è frutto di fantasia, ma Melissa ha veramente vissuto per 15 anni con un terribile serial killer senza sospettare nulla.

Quando aveva 15 anni, nella realtà come nella serie, suo padre venne arrestato e in seguito condannato per gli omicidi di 8 donne, anche se affermava di averne uccise molte di più.

Dennis Quaid, che abbiamo conosciuto quasi esclusivamente in ruoli positivi, ha evidentemente studiato per prepararsi al ruolo, e la sua performance è impressionate: l’uso della voce (noi l’abbiamo vista in anteprima in lingua originale), un semplice cambio di tono per trasformarsi, la dicotomia di padre affettuoso (all’apparenza) e di assassino spietato: tutto funziona alla perfezione.

Anche Annaleigh Ashford è molto intensa, un’ottima protagonista che ci aiuta davvero a pensare - cosa che raramente facciamo - anche all’altro lato della barricata: quello della famiglia dei colpevoli.

Jennifer Cacicio (Your Honor, Shooter) crea e scrive, la coppia d’oro formata da Robert e Michelle King (The Good Wife, Evil) produce e Happy Face fila via liscio, un episodio dopo l’altro, mentre ci preoccupiamo della sorte degli altri personaggi coinvolti… A cominciare naturalmente dalla famiglia di Melissa.

Il marito Ben (James Wolk, Mad Men) è ovviamente a conoscenza del segreto di Melissa, ma è il solo.

Stanno crescendo i loro figli, Hazel (Khiyla Aynne, Ponysitters Club) e Max (Benjamin Mackey, The Morning Show) come meglio possono, proteggendoli da una verità inconfessabile.

Perché essere imparentati con un assassino causa inevitabilmente lo stigma sociale.

Il marchio dell’assassino


Happy Face analizza tutti gli aspetti della vicenda reale vissuta da Melissa. Non basta riassumere con “pregiudizio” cioè che i figli di un assassino devono sopportare. C’è molto, molto di più.

La paura di essere come i genitori, il bullismo che devono subire in ogni ambito della società, l’odio feroce (immotivato, ma comprensibile) delle famiglie delle vittime, le ricadute sulle loro (nuove) famiglie e una vera di cascata di disgrazie che perseguita ogni nuova generazione di certe famiglie.

Portare addosso il marchio dell’assassino senza alcuna colpa significa essere comunque guardati sempre con sospetto, per la convinzione di tutti che sarebbe impossibile non accorgersi di qualcosa di strano convivendo con un serial killer. Ma la storia ci insegna che, anche in caso di qualche strano segnale, l’amore per i genitori porta bambini e ragazzini a ignorare qualsiasi indizio. Ci sono tante vicende reali che suffragano questa ipotesi… E non a caso, quella di Happy Face e di sua figlia Melissa è una storia vera.

Come le storie vere di cui si occupa lo show del Dr. Greg, fondato sulla curiosità morbosa del pubblico proprio come i programmi che vediamo ogni giorno in TV. In una metafora poco velata di come il vecchio “sbatti il mostro in prima pagina” abbia un’enorme influenza sul mondo contemporaneo e sull’opinione pubblica. Nell’era dei social network e degli influencer, in cui il declino morale sembra la vera preoccupazione per il futuro - mentre dovrebbe esserlo, giusto per citarne una, la questione ambientale - Happy Face ci ricorda quanto odio ci sia in circolazione. E quanto sia facile orientarlo con una semplice apparizione sui media…

Ogni episodio si chiude con un colpo di scena, con una svolta narrativa, con una scoperta che rimescola le carte in gioco. La tensione è costante, accompagnata da quel senso di angoscia che presto condividiamo per la sfortuna di Melissa e il dolore che ha dovuto sopportare per tutta la vita.

In un racconto che si chiude con una chiara premessa per una seconda stagione, che speriamo di poter vedere.