Il problema dei 3 corpi: una serie che affascina ma rinuncia a molto
Scopriamo insieme cosa ci aspetta su Netflix con Il problema dei 3 corpi
Il 21 marzo su Netflix arriva Il problema dei 3 corpi, la serie che adatta l’omonimo romanzo di Cixin Liu. La serie è tanto attesa quanto discussa ancora prima della sua uscita. Chi l’ha vista in anteprima, come noi, si è costruito una propria opinione in base anche al non trascurabile rapporto con il romanzo da cui è tratta.
In questa recensione, cercheremo di offrirvi una chiave di lettura per l’approccio a un universo narrativo molto complesso, che non sempre è riconducibile al “gioco” in cui credono di essersi imbattuti i protagonisti.
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La trama de Il problema dei 3 corpi
La serie inizia nel 1966 a Pechino quando Ye Wenjie (Zine Tseng), una ragazza molto intelligente nonché fisica in erba, osserva il padre, un professore, affrontare un processo pubblico sommario per aver insegnato la teoria “controrivoluzionaria” del Big Bang.
Ye Wenjie finisce in un campo di lavoro per essere rieducata e scoperta a leggere un libro proibito, perdipiù in inglese. Il regime le offre una scelta: rinchiudersi tutta la vita a far fruttare il suo talento di scienziata al servizio dello Stato o non uscire mai più da un campo di lavoro.
Anni dopo, nella Londra del 2024, una lunga scia di suicidi affligge illustri scienziati. Cinque ex studenti di Oxford si ritrovano e una di loro, Auggie (Eiza González), scopre di essere in pericolo perché vede la stessa cosa che avevano visto gli scienziati poi morti. Insieme a Jin (Jess Hong), una brillante scienziata all’avanguardia nel campo della fisica teorica, a Saul (Jovan Adepo), che ha scelto di dedicarsi alla baldoria anziché alla ricerca, Will (Alex Sharp), professore di fisica e Jack (John Bradley), multimilionario, Auggie capisce che sono tutti in pericolo. Insieme all’investigatore Clarence (Benedict Wong), cerca di capire cosa stia succedendo e grazie al gioco Jin fa progressi sulla comprensione del mistero.
Decenni prima, Ye Wenjie ha preso una decisione che sta avendo effetti su altre persone. Una decisone che ha influenzato il destino del mondo intero…
Una serie complessa, ricca di fascino ma anche di strade senza uscita
In sceneggiatura si chiama condensazione ed è una delle tecniche più diffuse per l’adattamento di un testo letterario in un film o una serie TV.
Perché l’adattamento, come la sceneggiatura, è un tipo di scrittura con delle regole tecniche molto precise. La creatività deve essere associata a questi schemi di scrittura. Adattare Le cronache del ghiaccio del fuoco di George R. R. Martin, nonostante il vasto spazio a disposizione grazie a una serie TV in diverse stagioni, ha necessariamente richiesto molti processi di condensazione.
L’adattamento, a lungo considerato da molti dei lettori di Martin troppo difficile da realizzare, è riuscito. Sappiamo però che la conclusione de Il trono di spade, firmata da David Benioff e D.B. Weiss e Benioff, non è all’altezza delle prime stagioni perché, semplicemente, non avevano più materiale da adattare. Benché Martin avesse raccontato loro la conclusione prevista per la sua opera letteraria, adattare parole raccontate anziché scritte in romanzo è ben diverso.
In un certo senso, è la stessa cosa che si ha l’impressione che accada con l’adattamento de Il problema dei 3 corpi, primo di uno trilogia.
Ci potevano essere solamente due strade: una totale aderenza al romanzo, che avrebbe tagliato fuori la gran parte del pubblico di Netflix per via della sua complessità, oppure semplificare il tutto, rendendolo più accessibile ma perdendo inevitabilmente gran parte della sua natura. Benioff e Weiss, insieme ad Alexander Woo (The Terror) hanno scelto la seconda strada perché era l’unica sensata.
I corpi disidratati e poi reidratati in quella sorta di spazio virtuale che gli scienziati protagonisti pensano sia solamente un gioco, come molti altri elementi, hanno un grande fascino visivo, e non a caso. Ma mancano una serie di informazioni. Gli episodi decollano a partire dal terzo, ma anche dopo il decollo ci sono molte parti teoriche che vengono solamente abbozzate e per questo stonano. Quando si trovano nei primi episodi annoiano, in quelli successivi lasciano molti interrogativi.
Binari paralleli
La storia de Il problema dei 3 corpi si svolge su binari paralleli. Il mondo reale è quello virtuale (ma non è esattamente questo) a cui i protagonisti accedono indossando uno strano casco dorato. La complessità delle decisioni da prendere, rinunciando al proprio lavoro in nome di qualcosa che non si comprende e solamente per salvarsi la vita, è il problema di fondo alla base della narrazione.
Messa in scena ed effetti visivi sono accurati, ma non bastano a compensare tutte le mancanze. Forse si è semplificato troppo, forse non abbastanza, perché la differenza e il disequilibrio fra le varie parti sono davvero marcati.
8 episodi da 63 minuti ciascuno sono infinitamente lunghi, non privi di fascino e di sorprese, ma comunque molto lunghi. E questa non è una serie per tutti, va chiarito prima di far incorrere gli spettatori in grosse delusioni.
Lo sforzo compiuto da Weiss e Benioff insieme a Woo è più che evidente.
La posta in gioco è molto alta: la sopravvivenza del nostro mondo, e lo capiamo fin da quando Jin completa il primo livello del gioco, in modo per altro atroce.
Il personaggio del detective Clarence è infinitamente meno ricco di fascino rispetto alla sua descrizione letteraria. Il cast prevede due illustri ritorni da Game of Thrones, da John Bradley (Sam) a Liam Cunningham (Davos Seaworth). Il grande Jonathan Pryce (candidato agli Oscar per I due papi) completa un cast in cui ognuno contribuisce alla comprensione del racconto.
Spunti e mancanze
Le scenografie nel mondo reale sono talmente moderne, spoglie e impersonali da far sembrare questo il vero gioco virtuale, anziché le sequenze ambientate nei momenti in cui protagonisti indossano il casco. Mentre ci si interroga sull’esistenza di Dio, sulle vere origini dell’universo e sull’esistenza di intelligenze aliene, si cerca di risolvere il mistero di quel conto alla rovescia che ha portato tanti brillanti scienziati, principalmente fisici delle particelle, a togliersi la vita.
Manca la tematica della riflessione su dove si trovi la nostra essenza, nel cervello o in quell’anima che per molti esiste davvero. La domanda quindi è principalmente questa: possono le scelte di una sola persona influenzare il futuro di un intero pianeta?
Secondo Il problema dei 3 corpi la risposta è sì. Ma non tutti i momenti in cui questo ci viene raccontato funzionano altrettanto bene. La macchina produttiva, che fra i produttori esecutivi vanta nomi di celebri attori come Brad Pitt e Rosamund Pike, compie enormi sforzi, e questo non si può non apprezzare.
Anche chi non ha letto il romanzo, in ogni caso, sentirà che gli mancano alcune tessere del puzzle. Dipende dalla scelta di base per l’adattamento.
Una cosa è certa: anche Il problema dei 3 corpi, il cui romanzo nasce nel 2006, come quasi la totalità delle produzioni contemporanee ci mostra che non siamo in grado di prendere decisioni atte a preservare il futuro del nostro pianeta e di conseguenza della nostra specie. Pensiamo egoisticamente soltanto a noi stessi, spesso nemmeno ai nostri figli e nipoti.
L’immaturità e la tendenza all’autodistruzione degli esseri umani è al centro dell’intera narrazione, esplorata da tanti diversi punti di vista: cinque scienziati che formano in realtà un unico personaggio. Un personaggio completo e complesso, che però non basta, visto che intelligenza e saggezza non sono la stessa cosa.
E una donna molto intelligente, ma per nulla saggia, preme un tasto che determina il fatto di un intero pianeta. Sarebbe bastato puntare su questo, sulla storia di fantascienza dietro una complessa riflessione sulle nostre origini e sulla nostra direzione, limitando il materiale prelevato dal romanzo.
Da dove veniamo, dove andiamo e perché sono domande che mal sia adattano a un mix narrativo come quello de Il problema dei 3 corpi in TV. Ciononostante, la visione resta interessante e mi auguro che ciascuno tragga le proprie conclusioni - in attesa di quelle ufficiali, che non arrivano. Ed è bene che lo sappiate. È una trilogia, questa. Presumibilmente, sarà composta da 3 stagioni.
E tutte ci racconteranno la stessa storia: non siamo interessati a salvare il pianeta, noi stessi e i nostri discendenti. Ma se una minaccia arrivasse dallo spazio, saremmo tutti pronti a unirci per salvare il nostro prezioso mondo. In teoria, almeno. E se questo non fa riflettere abbastanza sul nostro atteggiamento, non so cos’altro lo possa fare.
Rating: V.M. 14
Nazione: Stati Uniti d'America
Voto
Redazione
Il problema dei 3 corpi
L'adattamento di un romanzo come Il problema dei 3 corpi, primo di una trilogia letteraria (e, ci aspettiamo, di 3 stagioni), rappresenta una vera e propria sfida. La premiata ditta David Benioff - D.B. Weiss, già dietro le quinte dell'adattamento per Il trono di spade, unisce le forze con Alexander Woo in uno sforzo evidente.
La sola scelta possibile era la semplificazione del materiale letterario di partenza, che però si fa sentire. Intuiamo che ci mancano dei pezzi. Alcune parti, quelle esplicative, sono fin troppo semplificate. Questo penalizza la narrazione, che risulta più semplicistica di quanto non dovrebbe e tradisce alcune delle riflessioni inserite nel romanzo da Cixin Li.
Ciononostante, Il problema dei 3 corpi ci pone di fronte a interrogativi interessanti, alla dimostrazione di come le scelte egoistiche di una persona possano influire sul destino del mondo intero e alla presenza di cinque personaggi distinti che sono in realtà le diverse declinazioni di un unico protagonista. Una mente intelligente e ricettiva, a cui - come emerge - manca però la saggezza. Saggezza e intelligenza non necessariamente convivono. Ogni punto di vista lo conferma, in un racconto lungo che scorre senza intoppi, fino all'inevitabile attesa per scoprirne le conclusioni.