La recensione di Sconfort Zone: Maccio Capatonda in crisi creativa
Una commedia amara che riflette su tematiche molto attuali

Dal 20 marzo su Prime Video c’è Sconfort Zone, la serie in 6 episodi in cui Maccio Capatonda affronta una crisi creativa: deve scrivere una sceneggiatura ma ha perso l’ispirazione… Perché Sconfort Zone? Perché Maccio Capatonda è proprio sconfortato. E sconfortante. In una serie che non è adatta a lui: si è spinto oltre un limite che non è concesso a tutti. O, almeno, così sembra.
La trama di Sconfort Zone

Una crisi creativa di quelle memorabili, che lo spinge a dire apertamente a tutti che la sua carriera è finita: Marcello Macchia, noto come Maccio Capatonda, ormai non trova più ispirazione. Deve scrivere una sceneggiatura ma non ha uno straccio di idea. È stufo dei soliti personaggi, alla ricerca di qualcosa di nuovo che non arriva. Quando incontra per caso Arnaldo Braggadocio, celebre psicologo che gli propone una terapia d’urto di breve durata, all’inizio cerca di reagire riesumando i suoi vecchi personaggi, ma alla fine cede. Chiama il dottor Braggadocio e inizia una terapia con una prova più dura - e assurda - dell’altra… Servirà a fargli ritrovare l’ispirazione? Forse, ma non certo nel modo in cui sperava.
La falsa partenza

La comicità dissacrante e intelligente, ma soprattutto surreale di Maccio Capatonda sembra davvero essere entrata in crisi. L’idea di fondo è chiara: Maccio interpreta sé stesso alle prese con una crisi artistica, talmente profonda da farlo dichiarare “finito”. Una sorta di autoanalisi portata avanti tramite un esperimento terapeutico, guidato da un ambiguo e grottesco psicologo. Un pretesto narrativo che dovrebbe dare il via a un percorso tragicomico dentro la mente del protagonista, ma che in realtà inciampa più volte nei propri stessi presupposti. Sconfort Zone si apre con un episodio in un’ambientazione forzatamente drammatica, in cui si gioca con la sofferenza reale, seppure mediata da attori.
Il tono è incerto, la satira non graffia e la sensazione di disagio è autentica… Ma non nel senso giusto. Insomma, c’è qualcosa che non torna. Sembra tutto forzato, in qualche modo fuori contesto.
E poi, alla fine del terzo episodio - esattamente a metà stagione, e non a caso - un colpo di scena spiega tutto. Il contesto surreale torna predominante e le esperienze di Maccio, alla disperata ricerca di un’ispirazione che sembra destinata a farsi sostituire da una serie di errori, uno peggio dell’altro, ci portano il giusto contesto. I conti iniziano a tornare e quell’impressione che poteste avere all’inizio, e nei cui panni mi sono calata per interpretare il sentimento che vuole far emergere, scomparirà. Ritrovando il “solito” Maccio Capatonda? No, ma Sconfort Zone diventa finalmente divertente nel modo in cui ci si aspetta, una volta svelato il proprio meccanismo.
TV che parla di TV, attori che parlano di sé

Ogni attore - o quasi - resta se stesso (Edoardo Ferrario, Gianluca Fru e tanti altri, accanto a Dario Cassini, Camilla Filippi e un intero cast che sa perfettamente quello che fa) e Sconfort Zone si palesa per ciò che è: una riflessione sulla vita della persona famosa, con tutti i suoi risvolti non solo sul protagonista ma anche su chi lo circonda. La fidanzata Miriam (una bravissima Francesca Inaudi), il migliore amico e manager Luca, i genitori, i collaboratori…
In una riflessione su di sé, la TV di Sconfort Zone ci parla di qualcosa che è di una spaventosa attualità: il calo di popolarità e la costante ricerca di attenzione. Nell’era degli influencer, i “vip” in caduta libera si reinventano con spot inadatti o imbarazzanti, con reality e talent show - e così farà anche Maccio, in un’evidente parodia di un celebre programma reale - mentre il talento e la creatività diventano una sorta di miraggio.

E ancora: la costrizione nei panni dei soliti personaggi, le aspettative di tutti che credono tu possa fare sempre e solo la stessa cosa, la ripetitività fino a diventare noiosi… Ciò che ci dà (volutamente, e apparentemente) fastidio all’inizio è esattamente ciò di cui parla Sconfort Zone. Ovvero di imperfetta, debole, disfunzionale umanità.
È tutto molto chiaro, inclusa l’idea di dare un contentino ai fan riesumando i personaggio che hanno fatto di Maccio Capatonda una star (e perfino i trailer). Un verso, una battutina, uno spot. Niente di più. Quanto basta per farci riflettere su come dietro la comicità, in particolare, ci siano persone vere: le persone legate al personaggio che è diventato popolare e che, nel bene e nel male, subiscono le conseguenze della sua fama.
Rating: tutti
Nazione: Italia
Voto
Redazione

Sconfort Zone
Dal 20 marzo su Prime Video c’è la nuova serie di e con Marcello Macchia, alias Maccio Capatonda, scritta insieme a Alessandro Bosi, Mary Stella Brugiati, Danilo Carlani e Valerio Desirò. Macchia firma anche la regia con Alessio Dogana, mentre a produrre sono Banijay Italia e Prime Video. Il Maccio Capatonda in crisi creativa che ci accoglie rischia di diventare un cliché in sé, un personaggio del resto già visto in Vita da Carlo 3, e questo compromette gran parte della premessa narrativa, ma basta osservare attentamente per capire che i conti non tornano. Il colpo di scena - non del tutto inaspettato - che arriva esattamente a metà stagione ci svela la reale natura di Sconfort Zone: una riflessione sul concetto di popolarità, sul suo calo, sui modi che i “vip” usano per reinventarsi e su come, al giorno d’oggi, avere talento sia molto più difficile di diventare una star senza saper fare assolutamente nulla. Perché quando costruisci una carriera e diventi un volto noto - e non una meteora - tutte le persone della tua vita sono in qualche modo “contaminate” dalla tua notorietà. Nel bene e nel male.