La recensione di Kubra, la serie di Netflix che s’interroga sulla fede nel mondo di oggi
Su Netflix è arrivata Kubra, la serie turca in cui un uomo inizia a comunicare con Dio. Cosa sta succedendo? Cosa deve fare?
Su Netflix è disponibile dal 18 gennaio la serie turca in 8 episodi che s’interroga sul potere e la forza della fede, declinata in diversi modi, nel mondo di oggi.
Dovremmo evolverci, invece diventiamo sempre più egoisti, sempre più avidi, sempre più indifferenti al dolore dei nostri vicini. Se c’è una cosa che la pandemia ha evidenziato, è che il valore della vita - per gli stessi esseri umani - sembra quasi non esistere più.
In un contesto così difficile, Kubra ci chiede di riflettere su ciò in cui crediamo davvero.
Ciascuno di noi crede di essere unico, insostituibile, inimitabile, ma siamo tutti uguali, tutti orientati a provare le stesse emozioni, magari interpretandole in modo diverso. A fare la differenza è sempre e solo ciò in cui crediamo.
Chiaramente ispirata a Messiah, la serie sempre di Netflix del 2020 che in 10 episodi ci parlava delle reazioni del mondo alla comparsa di un misterioso nuovo profeta, con gli agenti federali incaricati di scoprire la verità sul suo conto, Kubra fa un passo avanti. Ci fornisce una risposta. Ricordandoci che, in fondo, sta tutto a noi e a ciò in cui crediamo.
La trama di Kubra
Istanbul, Turchia. Gökhan (Çaatay Ulusoy) è miracolosamente sopravvissuto mentre era nell’esercito a un attacco sanguinario in un avamposto di montagna. Da quel momento, la sua vita è cambiata: ha salvato un bambino, per ben due volte, e ha iniziato ricevere degli strani messaggi da un utente di nome Kubra sul cellulare tramite un’app chiamata “Soul Touch” per creare legami d’amicizia. La sua fidanzata Merve (Aslhan Malbora), pensando che qualcuna voglia contattarlo, gli dice di chiedere chi sia a scrivergli. Ma Gökhan non ottiene risposte, solo una successione di frasi dal contenuto misterioso, legate alla religione. Poi finalmente capisce: Gökhan ora sa di essere sopravvissuto perché a scrivergli è Dio in persona, che gli manda dei messaggi su cosa fare per aiutare i bisognosi e portare la fede nel mondo. Quando è certo che sia veramente così, Gökhan - inizialmente scettico - confessa la verità alla sua famiglia e in breve tempo la voce si sparge.
Qualcuno pensa che sia stressato, altri che sia pazzo, ma molti gli credono. Soprattutto la sorella, salvata anche lei miracolosamente. Quando riceve l’avviso di un pericolo imminente, Gökhan realizza un video per avvisare tutti, alimentando lo scetticismo. Molti gli rispondono con video in cui affermano che è un egocentrico malato di mente, ma quando qualcosa effettivamente succede, tutto nella vita di Gökhan cambia. La polizia s’interessa a lui, e molti nuovi seguaci che lo credono un novello profeta iniziano a seguirlo… Cosa c’è di miracoloso nella sua vita? Perché è stato scelto? Cosa sta succedendo?
La recensione di Kubra: falsi profeti, veri fedeli
Ciascuno interpreta la realtà e gli eventi in base alle proprie conoscenze e alle proprie esperienze.
Questa nuova, moderna venuta di un messaggero di Dio nel mondo cinico, spietato e superficiale di oggi porta a un inevitabile scontro fra chi crede e chi pensa che ci sia dietro qualcosa, magari un modo per far soldi, come spesso accade. Gökhan viene preso di mira, ma pare che qualcosa davvero lo protegga, e i suoi seguaci aumentano. C’è qualcosa di speciale vicino a Gökhan. Forze una forza superiore, forse semplicemente una fede incrollabile, o magari si tratta solo di fortuna. Per tutto il tempo della narrazione, Kubra s’interroga su questo, spingendoci a riflettere profondamente su come ci comporteremmo noi se ci trovassimo vicino a una persona come Gökhan.
Nell’era dei social network, dell’intelligenza artificiale e delle multinazionali a cui consegniamo, di fatto, tutte le informazioni sulle nostre vite, Kubra ci ricorda che il vero carburante del mondo è l’informazione. La conoscenza è potere, a prescindere da che tipo di conoscenza venga diffusa.
La propaganda diffusa da chi riesce a ingannare i più ingenui, le fake news che attirano chi non si prende la briga di verificare - magari perché non crede di doverlo fare - e l’informazione come strumento di potere nella profilazione voluta dal marketing.
Più stiamo in rete, più la rete impara su di noi. Anche quando siamo attenti.
In questo contesto, le domande sollevate da Kubra si pongono come spunti di riflessione interessanti.
I falsi profeti di cui i social network sono infarciti riescono a influenzare tutti, perfino i veri fedeli. Ovvero tutti coloro che sinceramente credono in un bene superiore, in uno scopo nobile, in qualcosa che possa rendere degna la nostra vita terrena, nella speranza di un mondo migliore dopo la vita.
Una fede, tanti punti di vista
L’impianto narrativo costruisce con lentezza - volutamente - la figura di Gökhan come il primo uomo pronto a credere. Se lui deve convincere altri a seguire la parola di Dio, allora deve credere a sua volta. Gökhan deve innanzitutto conquistare la propria fede, oltre alla fiducia altrui. Per questo, come spesso accade, deve interpretare i segnali che la sua fede gli fa leggere come strumenti per comunicare con Dio e seguire la sua volontà.
L’aspetto più interessante è che Kubra non ci chiede ma, durante gli episodi, se crediamo oppure no. Ci chiede solamente di guardare dietro le apparenze. Di riferire ogni evento al nostro vissuto, alla realtà che viviamo quotidianamente, alla tecnologia che ci circonda e alle grida d’aiuto che sentiamo attorno a noi.
Le parole di Gökhan sono parole di generosità, amore e altruismo. Per volere di Dio, tutti si mobilitano per aiutare il prossimo, donando ciò che possono - denaro, mobili, cibo - ma se fosse così semplice aiutarsi l’un l’altro non esisterebbero la burocrazia, la politica - che interviene prontamente quando Gökhan conquista popolarità - o le istituzioni.
Anche la polizia, naturalmente, affronta la questione con un approccio tutto suo. Se per Gökhan il verificarsi degli eventi di cui viene avvertito significa che sta veramente parlando con il creatore di tutto, per la polizia può semplicemente essere la prova che dietro a ogni evento ci sia proprio lui, Gökhan, pronto a tutto pur di consolidare il proprio potere.
In un gioco di rimandi, di dubbi e di tradimenti, Kubra ci porta fino alla verità, e a una conclusione tanto sbrigativa quanto adatta alla storia a cui abbiamo appena assistito. Una volta apprese tutte le informazioni, detenendo quindi il potere, cosa dobbiamo fare? La risposta sta a noi. Così come Gökhan sceglie la sua.
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Redazione
La recensione di Kubra, la serie di Netflix che s’interroga sulla fede nel mondo di oggi
In un mondo sempre più egoista e indifferente, dominato dalla frenesia del potere tramite la conoscenza (dei nostri dati), Kubra s’interroga sul concetto stesso di fede. Quando un uomo di Istanbul, Gökhan, inizia a ricevere degli enigmatici messaggi sul cellulare tramite un’app chiamata “Soul Touch”, la sua vita cambia. Gökhan, inizialmente scettico, si persuade che a contattarlo sia Dio in persona, che ha scelto proprio lui per diffondere il suo messaggio di amore e aiuto reciproco. Ma non appena si viene a sapere ciò che afferma Gökhan, famiglia e amici si dividono: qualcuno lo crede pazzo, altri gli credono e iniziano a seguirlo come un nuovo profeta.
La serie turca di Netflix, disponibile dal 18 gennaio con i suoi 8 episodi, ci spinge a interrogarci sull’importanza della conoscenza nell’era dell’informazione e della tecnologia. Ciascuno interpreta la realtà in base a ciò che sa e alla propria esperienza, così Gökhan inizia a dividere l’opinione pubblica, attirando su di sé l’attenzione della polizia ma anche della politica. Il potere della fede può sopravvivere all’epoca dello scetticismo? Kubra ci dà la sua risposta, affermando che solo una volta in possesso della necessaria conoscenza possiamo davvero scegliere cosa fare delle nostre vite.