La recensione di Ti dico un segreto? La nuova miniserie di Netflix ci mette in guardia dai pericoli della rete
Recensione di una docuserie true crime e identikit degli appassionati di true crime: non voyeur, ma conoscitori del mondo
Stalking: nessuno conosceva o usava questo termine, ma lo stalking è sempre esistito. Negli anni ’80 molte delle donne che risultavano in elenco ricevevano telefonate anonime in cui qualcuno si limitava ad ansimare, o respirare. Altre volte capitava che venissero seguite una volta scese dall’autobus, magari per giorni.
E sebbene nessuno “le toccasse”, queste donne erano spaventate, esasperate, con la normalità quotidiana rovinata da qualche persecutore (o persecutrice: sì, anche le donne fanno stalking, come dimostra l’ottimo docufilm Lover, Stalker, Killer).
Nell’era di internet e dei social network, allo stalking si è aggiunto un altro orrendo reato: il furto d’identità.
Ma anche in questo caso, nonostante lo stalker si sostituisca alla persona presa di mira contattando i suoi familiari e conoscenti e inviando loro foto e altro materiale rubato, nessuno viene toccato. Così la polizia non interviene.
E alle vittime stesse tocca smascherare il proprio persecutore.
Questa è la storia di Ti dico un segreto? il nuovo true crime di Netflix, disponibile dal 21 febbraio.
La trama di Ti dico un segreto?
La storia è quella di alcune delle vittime, che sono state moltissime, dello stalker seriale Matthew Hardy, colpito dalla più dura condanna mai comminata in Gran Bretagna per cyberstalking e furto d’identità.
La miniserie di Netflix racconta la storia delle donne a cui Hardy si era sostituito, riuscendo a isolarle e addirittura a mandare all’aria le loro relazioni sentimentali e di amicizia.
Immaginate che qualcuno contatti i vostri amici e parenti con il vostro nome e la vostra foto, inviando vostre foto private e mandando messaggi ammiccanti o sconvenienti, o insulti.
Ecco cosa sono il furto di identità e il cyberstalking, reati di cui Matthew Hardy - protagonista della seconda parte della miniserie - si è più volte macchiato.
La recensione di Ti dico un segreto? Guida ai pericoli dei social network
Centinaia di vittime di cui nessuno era a conoscenza. Perché le loro vite rovinate erano sinonimo di vergogna e non avevano voluto denunciare i fatti, ritrovandosi semplicemente isolate e terrorizzate dalle minacce.
Altre, però, non solo avevano denunciato: si erano anche ingegnate per provare a capire chi fosse a perseguitarle e a sostituirsi a loro. Riuscendoci.
C’è un gran senso di rivalsa, in questa orrenda storia vera.
Una grande soddisfazione nello scoprire che, laddove la polizia non era voluta intervenire, le vittime stesse sono riuscite a identificare l’artefice delle loro angosce.
Ed essendo recidivo, era stato facile confermare l’identità dello stalker ladro di identità.
Ma non era la persona che si sarebbero aspettate.
Matthew Hardy non lo sapeva, ma era affetto da un disturbo dello spettro autistico. Una volta, quand’era ragazzo, non ci si preoccupava molto di controllare se i ragazzi cosiddetti “problematici” avessero dei disturbi oggettivi. Delle patologie che li facevano agire in modo anche pericoloso.
Matthew Hardy non ebbe una diagnosi per molti, molti anni.
L’unica cosa che sapeva, è che era piuttosto solo. E probabilmente per questo perseguitava, seguiva, osservava e terrorizzava le donne. Arrivando ad esporsi ignorando gli ordini restrittivi, i precedenti e le più basilari norme che un hacker esperto avrebbe rispettato per non farsi identificare.
Cosa che ha portato Hardy a essere più volte arrestato, ma comunque mai fermato. Ha perseguitato dozzine di ragazze. Centinaia, includendo tutte quelle che non hanno avuto il coraggio di denunciare e uscire allo scoperto. Centinaia di ragazze… E non tutte avevano la freddezza di provare a indagare, o di ribellarsi, o di reagire al trauma.
Matthew Hardy ha rovinato tante vite. Ha mandato all’aria matrimoni, spingendo gli sposi a rinunciare a convolare a nozze. Ha distrutto relazioni. Ha diffuso orrende bugie.
Sì, aveva dei problemi, ma era abbastanza lucido e astuto per portare a termine tutti questi inganni e persecuzioni. Commettendo svariati errori che portavano alcune vittime a riconoscerlo e a dirgli che sapevano chi fosse, senza mai fermarsi. Soprattutto, era in grado di capire che ciò che faceva era sbagliato, sebbene - appunto - non si fermasse.
Per fortuna, un poliziotto ha voluto interessarsi al caso, ascoltando le ragazze perseguitate. Indagando e raccogliendo prove.
Chi sono gli appassionati di true crime: sfatare un mito
Ti racconto un segreto? mostra tutti gli aspetti che sconvolgono le vite delle vittime di cyberstalking. Aspetti a cui, sentendo il termine, non penseremmo mai.
La capacità di qualcuno di rovinare la vita di persone che neanche conosce è impressionante.
L’era dei social network e delle informazioni disponibili online è un terreno di caccia irresistibile per persone come Hardy. E ciò che le autorità possono fare per impedire che i cyberstalker distruggano vite è ben poco.
Come sempre ben fatta, ricca di interventi interessanti e di attenzione per tutte le persone coinvolte, la miniserie di Netflix è l’ennesimo true crime ottimamente realizzato con lo scopo di mettere in guardia le persone dai pericoli - in questo caso - della rete e dello stalking.
La regia cambia man mano che il racconto procede. Le inquadrature si fanno sempre più ravvicinate, i punti di vista sempre più differenti, da tante angolazioni.
E subito dopo la sentenza, mentre ci racconta le conseguenze dello stalking sulle vittime, le cui vite non tornano mai più come prima, le inquadrature cambiano ancora, continuando a riproporci il primissimo piano dello stalker ormai condannato.
La passione di molti spettatori per i true crime non è un malsano voyeurismo. La stragrande maggioranza di chi segue questo tipo di programmi lo fa per informarsi, per scoprire pericoli di cui non era pienamente cosciente, per assistere - nelle storie con una degna conclusione, e con l’arresto in fondo lo sono quasi tutte nonostante le tragedie precedenti - al trionfo della giustizia. È ora di sfatare un mito e di restituire alle storie vere, con le loro vittime, la giusta dignità.