La regina Carlotta, recensione: è stata la mano di Shonda
Leggi la recensione di La regina Carlotta per scoprire se il prequel di Bridgerton riesce a tenere testa alla serie originale.
Shonda Rhimes è tornata e ha messo subito in chiaro il peso della sua presenza. Breve riassunto per spettatori distratti: il grande successo in costume di Netflix Bridgerton è prodotto da ShondaLand, casa di produzione legata a quella che è la sceneggiatrice più pagata d’America.
Negli utimi 20 anni Rhimes ha dimostrato di saper accattivare lo spettatore in ogni genere e su ogni emittente, raramente mancando il bersaglio. Quando va proprio male, come nel caso di Inventing Anna, coltiva un fandom appassionatissimo e devoto, anche se non di proporzioni gigantesche. Quando va bene, tira fuori dal cappello fenomeni seriali inarrestabili come Le regole del delitto, Scandal ma soprattutto Grey’s Anatomy.
Per le emittenti e i servizi di streaming Rhimes vale i milioni di dollari necessari a ingaggiarla, perché è una macchina da guerra che sforna hit televisive a ritmi per altri impensabili. Bridgerton però è il figliastro di Shonda: la sceneggiatrice in questo caso si è limitata a produrre le prime due stagioni dello show, cedendo lo scettro di sceneggiatore capo a Chris Van Dusen e Jess Brownell.
La regina Carlotta è il primo progetto della galassia Bridgerton a cui mette mano in prima persona come show runner. D’altronde la posta in gioco è alta. Questo prequel, ambientato prima che la regina Carlotta diventi Reggente, è di fondamentale importanza per la costruzione di un franchise vasto e articolato, come suggerisce il sottotitolo “una storia di Bridgerton”. Netflix ha piani a lungo termine, un po’ come per i film di Benoit Blanche/Daniel Craig: ricordate che Glass Onion aveva come sottotitolo “a Knives Out Story”?
Se La regina Carlotta dovesse funzionare, aprirebbe la strada a innumerevoli spin-off, prequel, sequel, trasformando Bridgerton in un franchise vero e proprio. Difficile che non si tramuti in un successo per Netflix: la discesa in campo di Shonda Rhimes trasforma la serie in qualcosa di più sostanzioso, intrigante e meno sentimentale di Bridgerton. Le criticità però rimangono tante.
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La trama e la realtà storica di La regina Carlotta
Bridgerton porta in TV la serie di romanzi sentimentali firmati da Julia Quinn. Ogni libro della serie è dedicato a un rampollo della famiglia Bridgerton e alle sue traversie amorose nell’alta società londinese dell’epoca della Reggenza.
Lo show aggiunge un twist del tutto assente dai libri. Non ci troviamo nella vera Inghilterra della Reggenza, bensì in una versione ucronica in cui si è compiuta nel giro di una generazione una perfetta integrazione della nobilità non caucasica, capitanata da un regina reggente dalla pelle scura. Gli struggimenti amorosi e i colpi di scena sono sostanzialmente quelli del libro, ma buona parte dei personaggi è di etnia differente dai romanzi.
Il perché la regina Carlotta sia nera e il come sia diventata sovrana reggente al posto del figlio Giorgio IV sono due grandi misteri che Bridgerton non si avvicina mai a tentare di spiegare. La società multiculturale e multietnica senza frizioni e rigurgiti razziali è un fatto assodato alla base di un’utopia politica su cui la serie non si interroga mai.
Facile immaginare come l’artefice di questo cambiamento sia Shonda Rhimes stessa, autrice afroamericana che si è spesa moltissimo per portare su piccolo schermo volti e storie nere, appena il suo successo e il suo potere contrattuale glielo hanno consentito.
La regina Carlotta è una miniserie tutta dedicata a fare luce sui misteri insoluti di Bridgerton. Procedendo su due piani temporali, rivela il passato della sovrana sin dall’arrivo in Inghilterra e il tormentato presente per la mancanza di eredi.
Appare da subito chiaro che Carlotta sia Sophie Charlotte, la regina consorte di George III, passato alla storia come il re folle. Aggrappandosi alle ipotesi suggestive di alcuni storici che sostengono che la moglie di Giorgio III avesse lontane radici africane, la serie mescola numerosi elementi della realtà storica in combinazioni estremamente fantasiose, realizzando un’ucronia progressista, femminista e politicamente esplicita.
L’integrazione repentina dei non caucasici ai piani alti della nobilità inglese viene riassunta nel cosiddetto Grande Esperimento, di cui è protagonista la versione giovane di Lady Agatha Danbur (Arsema Thomas), uno dei personaggi favoriti dal pubblico in Bridgerton. Nella linea temporale del presente ritroviamo un trio femminile d’interpreti già apprezzato nella serie madre: Golda Rosheuvel (regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton).
Cosa funziona e cosa no in La regina Carlotta
Le recensioni stellari che La regina Carlotta si è guadagnato sono poco aderenti alla qualità effettiva di una serie di cui solo l’ultimo episodio e mezzo è notevole. La mano di Shonda Rhimes riesce a dare più spessore ai personaggi e alla trama di Bridgerton, questo è innegabile. La componente politica e quella sentimentale passano dall’essere mero intrattenimento a voler dialogare e mettere in crisi le certezze dello spettatore, guardando anche al presente.
I personaggi anziani della serie, le tre nobili vedove, qui diventano semplicemente irresistibili. Rhimes sa come scrivere donne forti caratterialmente, la cui grinta viene fuori quando vengono messe con le spalle al muro dalla società.
La componente sentimentale diventa poi affettiva. La condizione mentale precaria del giovane re Giorgio, splendidamente interpretato da Corey Mylchreest, ha ovviamente un grosso impatto sulla relazione tra i due e fornisce a La regina Carlotta un tema ancora poco esplorato in tema di salute mentale: come si sta al fianco di una persona con gravi problemi psicologici?
I momenti migliori di La regina Carlotta sono quelli in cui Shonda Rhimes permette alla sua protagonista di essere fallace e crudele: il prequel dà un giudizio piuttosto netto sul suo operato di madre, messo in crisi dalla condizione del marito e dai doveri della Corona.
Quello che lascia spiazzati è come tutte le scene migliori e le svolte più riuscite della storia siano concentrate nei 90 minuti finali della prima stagione. L’avvio invece è un autentico disastro, le cui scelte sono francamente incomprensibili. Carlotta viene strappata alla sua nazione (la Germania) e catapultata in una realtà che non conosce, costretta a sposare un autentico sconosciuto. Alla fine del primo episodio il matrimonio è già stato celebrato e i due, non si sa come, sono già indissolubilmente legati a livello affettivo.
Il ritmo con cui procede il primo episodio è semplicemente folle e il sottinteso che trasmette mette a disagio. La Carlotta pre-matrimonio è cancellata e mai rimpianta. La ragazza, ingannata e messa in una difficile situazione, prende di buon grado sulle spalle i patemi della moglie, della madre, della reggente e della crocerossina. Non dice mai una parola fuori luogo a George, non ha mai un momento di scoraggiamento, non medita mai di tornare a casa o chiudere un matrimonio basato su un inganno.
Quel che è peggio è che lo show ricorre ai peggior stereotipi da costume drama per sbatterci in faccia il supposto femminismo della protagonista. La serie si apre con un lungo dialogo sui pericoli dell’indossare il corsetto con stecche di balena che è un capolavoro d’ignoranza e pregiudizio, che ha già scatenato le critiche sui sociale delle amanti del costume storico.
Alcuni passaggi sono scritti così male e girati in tale parsimonia che viene da sospettare che Shonda sia intervenuta in maniera sostanziale solo nell’ultimo episodio e mezzo, quando tutto ingrana e lo show sembra avere finalmente il potenziale di continuare per altri 20 episodi.
C’è un mistero da qualche parte nella produzione di La regina Carlotta, nascosto nelle sue spiegazioni affrettate e nei suoi trucchetti per economizzare al massimo. Un espediente furbissimo: a metà stagione viene piazzato un episodio con protagonista George, in cui sostanzialmente rivediamo quanto accaduto dal suo punto di vista. È un ottimo modo per girare un episodio in meno, approfittando di set e scene precedenti per costruirci sopra una puntata fatta a costi contenuti, mentre si giravano le precedenti.
Una volta finita la stagione viene poi da chiedersi quanto regga la spiegazione data al mistero etnico di Bridgerton. La regina Carlotta casomai rafforza l’impressione che all’epoca della prima stagione nessuno avesse pensato di dover rendere conto successivamente del come e perché si era creata questa versione storica alternativa. Più che una rivelazione, la trama di La regina Carlotta sembra un rattoppo fatto alla buona.
Rimane poi la sgradevole sensazione che oltre ai suoi discorsi e monologhi esaltanti sulla capacità delle donne di reinventarsi anche fuori dal matrimonio, riscoprendo loro stesse, ci si muova quasi sempre entro i confini delle norme sociali dell’epoca, con un romanticismo a tratti zuccheroso, spesso passatista.
L’aspetto che personalmente ho trovato intollerabile è come la spinta progressista verso una parità tra etnie si consumi sempre e solo tra gli aristocratici. Bridgerton è così disinteressato ai commoners e alla servitù, li mostra così raramente e i ruoli così marginali, che viene da chiedersi se “il popolo” non sia solo una leggenda. Così La regina Carlotta finisce per rivendicare il valore delle donne ma iscrivendolo sempre dentro il perimetro di una relazione seria, meglio se matrimoniale, corredata da una certa ossessione per la maternità.
Le spinte egalitarie e democratiche combattono pregiudizi e razzismo, ma solo per chi vanta sangue nobiliare tra i propri antenati africani. È paradossale che uno show che prima o poi andrà a scontrarsi con la delicatissima questione dell’abolizione della schiavitù in America e della Guerra civile (seppur vista dall’Inghilterra) non s’interroghi mai sui sacrifici immani richiesti alla servitù e alla plebe per sostenere lo stile di vita sfarzoso dei nobili, bianchi o neri che siano. Le rare volte che si fa cenno alla problematica, viene trasformata in un gancio narrativo per gli struggimenti di due valletti omosessuali che il destino (aka la regina Carlotta) tiene separati.