La storia, dalla rivoluzione alla morte di Stalin, nella serie di Paramount+ che è come un romanzo russo

Scopriamo insieme, senza spoiler, le ragioni per cui Un gentiluomo a Mosca è una serie da non perdere

di Chiara Poli

Su Paramount+ dal 17 maggio è disponibile Un gentiluomo a Mosca, la serie in 8 episodi che racconta la storia di un Conte, interpretato da uno straordinario Ewan McGregor, innamorato della Russia e determinato a viverci anche dopo la rivoluzione che l’ha reso, di fatto, un nemico del popolo.

La trama di Un gentiluomo a Mosca


Mosca, 1921. Il Conte Alexander Rostov, rientrato in patria subito dopo la rivoluzione del 1917, viene salvato dalla fucilazione grazie al poema del 1913 attribuitogli e considerato ispiratore della rivoluzione. Esiliato nell’hotel di lusso in cui alloggiava, il Metropol, viene privato dei suoi beni e relegato in una stanzetta fredda col divieto di lasciare l’hotel, pena l’esecuzione immediata.

Il Partito s’impossessa di tutto ciò che gli appartiene, ma il Conte rifiuta la sconfitta. Mantiene la propria dignità in ogni modo possibile. È gentile come nessun altro, data la sua educazione. Rappresenta l’ultimo gentiluomo rimato in città. Ma la sua presenza viene mal vista da molti, dipendenti dell’albergo inclusi. Così, il Conte sogna di scappare… Fino a quando stringe amicizia con la piccola Nina (Alexa Goodall) e poi incontra un’attrice, Anna Urbanova (Mary Elizabeth Winstead, Fargo, nonché moglie di Ewan McGregor nella vita reale). Ma ci sono anche delle sue vecchie conoscenze, e non per tutte le cose andranno bene.

Un gentiluomo a Mosca: i sogni si scontrano con la realtà


Chiunque ami e conosca la letteratura russa, non potrà che essere d’accordo: ci troviamo di fronte a una serie britannica che è come un romanzo russo. Con lo stesso, ineluttabile numero di tragedie. Non un romanzo di Dostoevskij, ma certamente questo potrebbe essere un romanzo di Tolstoj (e non a caso, Anna Karenina viene citato a più riprese), ma naturalmente rielaborato in chiave moderna. E occidentale.

Fra flashback del proprio, tragico passato a incursioni in un presente fatto di esecuzioni sommarie e accuse inventate, il Conte ci racconta quel pezzo di storia che avrebbe portato alla nascita del regime di Stalin.

Il clima di terrore e odio che circonda persone che da un giorno all’altro si ritrovano dalla parte sbagliata della barricata non può non colpire.

Abbiamo studiato tutti la storia, sappiamo come sarebbe andata a finire e dove sarebbero finiti i beni confiscati “dal popolo”.

Un gentiluomo a Mosco è una serie suggestiva, con una fotografia avvolgente che restituisce il clima di claustrofobia vissuto dal Conte.

Costumi, scenografie, ambienti: tutto è perfetto. Purtroppo, ci sono diversi anacronismi ed errori storici - l’unico esempio senza spoiler: i ragionamenti in miglia amiche nel sistema di misurazione adottato in Russia prima del sistema metrico nel 1925 - che l’iniziale impressione di verosimiglianza crolla in un istante.

A questo punto ci sono due possibilità: mollare, in preda alla delusione per le leggerezze nella messa in scena, o vivere la storia come il racconto delle illusioni rivoluzionarie che si scontrano contro una realtà spaventosa. Una favola tragica.


L’unica scelta che vale la pena di essere compiuta è la prima. Perché senza concentrarsi sui dettagli o su tutti gli elementi che non tornano, entriamo nel mondo decadente di un prigioniero che assiste all’avvento di un nuovo mondo solo tramite i racconti degli altri. E tramite il loro destino.

L’amicizia fra il Conte e la piccola Nina, mentre gli anni passano e il Conte ha un’unica valvola di sfogo - che scopriamo alla fine del secondo episodio in una sequenza quasi ipnotica - dalla sua prigione diventa il centro narrativo. Ma poi il fulcro si sposta. Esattamente come accade attorno a lui, il Conte rimane al centro mentre tutto attorno muta.

Gli anni passano. Dal 1921 arriviamo al 1932. Ed è in questo momento che emerge la vera natura di Un gentiluomo a Mosca.

Siamo di fronte alla storia che si scrive, al mondo che cambia, al regime che s’instaura dopo il sogno della rivoluzione mentre un nobile decaduto, privato di tutto e minacciato costantemente di morte cerca di preservare ciò che resta di un passato che amava. Un passato fatto di cultura, di arte, di letteratura - condivide con il suo carceriere Osip Glebnikov (Johnny Harris, I Medici) i volumi di Guerra e pace, di cui discutono - un passato fatto di vino e di cambiamenti che non sono quelli che tutti si aspettavano.

Coloro che dovevano essere liberi e protagonisti della nuova Russia vengono cacciati, perseguitati, sterminati. Il popolo muore di fame, mentre al Metropol si continua a cucinare e servire gli ospiti nel lusso per mantenere le apparenze. Stalin è al potere. Solo al comando. E il sogno di una Russia libera e governata dal popolo, di un’uguaglianza utopistica che svela tutti i suoi limiti, crolla sotto i colpi degli antesignani del KGB mentre la delazione, lo spionaggio e i segreti diventano la cifra principale della vita in Russia. Insieme, naturalmente, alla negazione della verità e alla propaganda.

Lo stesso sistema che, da decenni, resiste al crollo del comunismo e alla fine dell’Unione Sovietica.

Un’altalena di emozioni e atmosfere


Esattamente a metà della narrazione, ovvero alla fine del quarto episodio, si verifica un evento che cambia il corso della vita del Conte, ma anche il tono della narrazione.

Solo per un istante, però. Perché quel sottofondo di tragedia che ci si insinua dentro fin dal principio non ci lascia mai. Ed è pronto a riemergere per spezzarci il cuore. E poi di nuovo a distrarci, a cambiare atmosfera, e a tornare indietro.

Un’altalena di emozioni e atmosfere, esattamente questo. Dal dramma alla commedia, dal poliziesco al thriller. Con una prevalenza di spy-story. Ci sono sequenze che si sposano con tutti questi generi.

Ma c’è anche tanta, tantissima storia. Dal 1921 al 1953, e oltre. Dal post-rivoluzione alla Guerra Fredda.

Il Conte non ha visto nulla. Non ha visto la gente morire di fame, le famiglie ammassate insieme in una stanza senza bagno mentre i vertici del Partito vivevano nel lusso. Non ha visto la guerra, i gulag in Siberia, la miseria, le fosse comuni.

Il Conte non ha visto nulla di tutto questo, eppure tutto questo è entrato nella sua anima. Nel suo cuore. Nella sua mente. E nella sua vita. In modo più o meno diretto.

Come questa serie, in cui alla fine tutto ottiene una risposta, entra nel cuore grazie ai suoi personaggi. Tutti. Quelli che amiamo e quelli che non avremmo mai voluto conoscere.