La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

La questione femminile al centro di Lady in the Lake, la miniserie di AppleTV+

La donna nel lago la recensione dellangosciante serie con Natalie Portman

Dal 19 luglio su AppleTV+ arriva in esclusiva Lady in the Lake, La donna nel lago, la miniserie con Natalie Portman ambientata nella seconda metà degli anni ’60.

Raccontandoci parallelamente la vita di due donne, una delle quali scompare attirando l’attenzione dell’altra, la serie di Alma Har’el (Shadow Kingdom), autrice, produttrice e sceneggiatrice israeliana, è ambientata fra la comunità ebraica e quella afroamericana di Baltimora.

Il titolo italiano, La donna nel lago, è quasi lo stesso del celebre La signora del lago (The Lady in the Lake), celeberrimo romanzo di Raymond Chandler del 1943 incentrato su un caso dell’investigatore privato Philip Marlowe.

Ma la trama è completamente diversa, e anche in questo caso viene da un romanzo: quello di di Laura Lippman, che racconta una storia al femminile ambientata in una società e in un’epoca in cui sessismo, classismo e razzismo regnavano sovrane.

La trama de La donna nel lago

La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

1966, Baltimora. Maddie Schwartz (Natalie Portman, premio Oscar per Il cigno nero) è sposata da 18 anni e perfettamente inserita nella comunità ebraica della città. Quando una bambina scompare, Maddie si unisce alle ricerche e, seguendo il proprio istinto e il proprio passato, la ritrova. Questo evento sconvolge la sua vita: Maddie vuole ricominciare daccapo. Il marito - ma soprattutto il figlio - non la rispettano. Maddie vuole di più, così sfrutta la vicenda della scomparsa per inserirsi nella redazione del quotidiano locale, un mondo lavorativo maschile e maschilista. Contemporaneamente, scompare anche un’altra persona: una donna afroamericana, di nome Cleo (Moses Ingram, candidata agli Emmy per La regina degli scacchi), la cui vicenda ci viene narrata parallelamente. Ma quando Maddie s’interessa al caso, le storie delle due donne s’intrecciano per sempre.

La recensione di Lady in the Lake: una serie cupa, difficile, piena di angoscia

La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

Dimenticatevi La fantastica signora Maisel. Qui siamo a Baltimora, una delle città destinate a diventare tristemente famose per il tasso di criminalità e omicidi.

È il 1966, la segregazione razziale non è ancora stata ufficialmente abolita ma va verso la cancellazione. I pregiudizi, invece, non hanno una data di scadenza.

E non vale solo per la popolazione afroamericana della città: vale anche per una donna ebrea che, senza la firma del marito, non può fare nulla con l’auto intestata a lei. Nel 1966, nella modernissima America, le donne non sono padrone né delle loro vite, né dei beni che teoricamente possiedono.

La donna nel lago ci racconta questa realtà attraverso la storia intrecciata di due donne, e lo fa in un crescendo di tensione, attraverso due straordinarie interpreti e in particolare grazie a una Natalie Portman che esibisce tutto il suo talento mettendo in scena il dolore di una donna che non sopporta più di essere solo una moglie, una madre, una casalinga. Un dolore che diventa quasi tangibile. Contagioso.

La sua Maddie non riesce più a tollerare di essere vista dalla società esclusivamente per i tre ruoli - moglie, madre, donna di casa - che è chiamata interpretare, in un mondo in cui perfino suo figlio, adolescente, ha il diritto di considerarla inferiore in quanto donna.

La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

Questione di educazione, direte voi. No. Nella società di Baltimora del 1966 è normale: la madre è sempre una donna. Il figlio è un uomo, automaticamente appena ha l’età per permetterselo, tratta la madre come una subordinata.

Ma la nostra Madeleine Schwartz, quando una bambina del suo quartiere scompare, si ribella.

Intanto Cleo Johnson, madre di due ragazzi che mantiene con i tre lavori - avete letto bene: tre - che è costretta a fare contemporaneamente. Cleo da tempo ha preso le distanze dal marito, scansafatiche che mentre lei provvede ai bisogni dei figli passa il tempo nei bar sostenendo di lavorare: fa (saltuariamente) il comico nei locali e osserva la realtà per trarre ispirazione per le sue battute. Ma la realtà di Lady in the Lake, sia chiaro, non ha proprio niente di divertente.

La donna nel lago: uno stile narrativo che chiama angoscia

La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

La miniserie, per quanto ben fatta, ottimamente interpretata, carica di tensione drammatica ed emotiva, ha qualcosa che la rende incredibilmente ostica. Forse è il rifiuto - in epoca di femminicidi continui - di assistere a una situazione così negativa per la comunità femminile (e non solo). O più probabilmente si tratta dello stile narrativo adottato da La donna nel lago: la musica jazz, le riprese che riescono a risultare claustrofobiche anche in esterni, l’intreccio di una serie di tragedie che creano angoscia. Le lunghe sequenze senza dialoghi che mostrano solamente il dolore - o la passione, o la disperazione - di Maddie, mentre Cleo si arrabatta per ritagliarsi un ruolo sicuro in un mondo molto, molto pericoloso.

In Lady in the Lake c’è tutto: la malavita, la criminalità che striscia sotto la superficie delle vite più rispettabili, la corruzione e il pregiudizio che anima perfino le forze di polizia, ovvero le persone che dovrebbero garantire la situazione di tutti i cittadini. Ma ci sono cittadini e cittadine. Uomini e donne. Bianchi e neri. Ricchi e poveri. E non tutti - anzi: quasi nessuno - ha intenzione di garantire lo stesso trattamento a tutti.

Dagli anni ’30 agli anni ’60, come tanti film ci hanno raccontato - da Ragazze interrotte a Changeling - i manicomi erano pieni di donne che si ribellavano ai mariti, ai padri, ai ruoli loro imposti.

Guai a trasgredire le regole, guai anche solo a pensare qualcosa fuori dagli schemi previsti per te, moglie, madre, perfetta donna di casa. Guai.

La donna nel lago: la recensione dell'angosciante serie con Natalie Portman

Ecco: guardare La donna del lago è come spiare all’interno di un manicomio, solo che i pazienti si aggirano liberi per la città.

La relazione trasgressiva, il tentativo di mantenere comunque un rapporto con l’unico figlio, le malelingue della comunità, la suocera, le “amiche” subito pronte a sparlare: Maddie vive e affronta tutto questo, mentre a Cleo va anche peggio.

Dal 1947 al 1966, più o meno, seguiamo vent’anni di vita di due donne che lottano contro una realtà in contrasto coi loro sogni di bambine.

Raramente la vita va come avremmo sognato. Ma da qui a un simile divario, va detto, ce ne passa.

Conditi da interminabili sequenze oniriche, spesso incubi degni di American Horror Story, gli episodi ci conducono verso la verità di Maddie e al tempo stesso lontano dalla verità di tutti gli altri.

Perché per Maddie la verità - in particolare quella sulla morte di Cleo Johnson - diventa un’ossessione.

In un Paese destinato a cambiare mentre molti fanno resistenza a quel cambiamento, ci troviamo immersi nella violenza degli anni ‘60 e in un rigurgito di odio razziale, sessuale, sociale, religioso… Perché gli uomini sanno fare molto bene una sola cosa: odiare.

La donna nel lago

Rating: TBA

Nazione: USA

8

Voto

Redazione

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La donna nel lago

Lady in the Lake, su AppleTV+ dal 19 luglio, ci regala una straordinaria interpretazione di Natalie Portman. La sua Maddie combatte strenuamente contro il ruolo di moglie-madre-casalinga che la società le impone, ribellandosi quando perfino il figlio è autorizzato a considerarla “inferiore” in quanto donna. Maddie sogna di diventare una giornalista e fa di tutto per riuscirci, incluso seguire il caso della scomparsa di Cleo Johnson, una donna afroamericana che nella Baltimora del 1966 vive una vita completamente diversa - e molto più pericolosa - rispetto a quella di Maddie.

Le vite di Maddie e Cleo, narrate parallelamente, s’intrecciano in un crescendo di angoscia, in una miniserie di ottima fattura ma con uno stile narrativo teso a creare un senso di disturbo nello spettatore. Lo scopo è quello di far sperimentare a chi guarda la stessa angoscia vissuta dalle due protagoniste, ma questo - inevitabilmente - la rende un prodotto, per quanto ben fatto, non adatto a tutti. Tanto per cominciare, si rivolge esplicitamente a un pubblico femminile. E poi, è a caccia di spettatori disposti ad accettare di farsi carico del dolore di un’epoca in cui il cambiamento incombe, ma molti vi oppongono resistenza.

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