Loki, un ottimo ritorno, ma basterà? Prime impressioni dalla seconda stagione
Loki è tornato e promette bene, ma dopo il disastro Secret Invasion, Marvel riuscirà a invertire la rotta?
Quando il contesto di un prodotto riflette alla perfezione quello della situazione che fronteggia chi quel qualcosa l’ha finanziato e finalizzato, il compito per chi come me ne scrive a riguardo è semplicissimo. Quel che intendo dire è che viene quasi spontaneo tracciare un parallelismo tra quanto succede nella seconda stagione di Loki e quanto sta succedendo in casa Marvel: sia nella TVA sia ai Marvel studios si sta attraversando un momento difficilissimo, in cui una sola scelta sbagliata può avere conseguenze gravi, fino alla fine di tutto.
Dopo decenni di risultati brillanti e una capacità quasi miracolosa di indovinare una percentuale alta, altissima di prodotti, Marvel si è arenata nel pantano della Fase 5. L’universo da lei stessa creato è diventato grandissimo, vastissimo, condannato ad aumentare continuamente la magnitudo e a perdere di forza e incisività nel farlo. Uscite continue, progressi a tappe forzate, anche la sfortuna di ritrovarsi a lanciare personaggi interpretati da attori che proprio quando metti sotto il riflettore finiscono sulle pagine del gossip, quando non della cronaca nera. Nessuno invidia chi ha messo Jonathan Majors al centro di un progetto multi film e multi serie, in cui il suo Kang dovrebbe diventare un degno erede di Thanos come cattivo memorabile, per poi ritrovarsi a gestire una crisi d’immagine paragonabile a quella di Ezra Miller nei panni di Flash, nell’impossibilità di azzerare il suo personaggio.
Questo non dovrebbe c’entrare con la seconda stagione di Loki, una delle miniserie Marvel che ha dimostrato il carattere più distintivo, che riesce a farsi ricordare, quantomeno per un meraviglioso lavoro di design e visuals. Invece finisce per essere centrale, un po’ perché Kang è stato introdotto nella prima stagione e rimane il Mago di Oz della TVA nella seconda, un po’ perché incrociare reale e fiction, cinema e TV è un’operazione che non si può fermare quando ti si ritorce contro.
La vittima finisce per essere proprio Loki, che invece dimostra di gestire con sufficiente perizia la crisi narrativa del Multiverso Marvel. Continua a leggere la recensione di Loki - Stagione 2:
La trama di Loki - Stagione 2
Dopo la morte del Kang “buono” a capo della TVA, dopo gli eventi di Ant-Man and the Wasp: Quantumania, non è ancora il momento di tornare nel qui e ora dell’universo Marvel terrestre principale. Il nostro chaperon infatti è Loki (Tom Hiddleston), il “vecchio” Loki che ora si ritrova a saltare temporalmente nella TVA del passato e del futuro. Sulla carta è un evento impossibile, ma la ramificazione della linea temporale e il sovraccarico sulle strutture tecnologiche della TVA tornano a rendere questo Loki un’anomalia, capace di cose in teoria inimmaginabili.
Ricongiuntosi - a tratti - a Mobius (Clive Oven), Loki intuisce che la chiave di tutto continua a essere la sua variante femminile Sylvie Laufeydottir (Sophia Di Martino), colei che lo ha spedito lontano dalla Fine del Tempo e che ha deciso di uccidere il Kang che proteggeva l’unica linea temporale dall’influenza nefasta degli altri sé stesso.
Che Kang sia morto Loki non ne ha certezza (è stato sbalzato prima che Sylvie colpisse Kang e non sa cosa l’abbia spinta a farlo), ma è sicuro che se Sylvie ha fatto qualcosa d’incontrovertibile, che scatenerà la guerra tra le varianti di Kang(che abbiamo già visto nella scena extra di Quantumania), in lotta per il potere. Esattamente lo scenario che Colui che Rimane aveva paventato a lui e Sylvie…ma ci si può veramente fidare di questo burattinaio millenario?
Smessi, forse definitivamente, i panni del villain, Loki torna a essere un’antieroe che si ritrova a lottare con un sistema che non ha anticorpi per fronteggiare una crisi che ne ha azzerato i vertici e sovvertito le certezze.
È in momenti come questo che si dimostra vincente decidere di abbracciare il cambiamento e Loki e Sylvie sono agenti di questo chaos potenzialmente positivo, ma spesso incompreso. Lei è tornata nel passato terrestre, con mezza TVA alle calcagna, decisa a “provare tutto”, a concedersi quella sentimentalità che la sua mente astuta e razionale le ha suggerito di negarsi.
Lui invece si aggira tra le rovine di un sistema di regole che un tempo avrebbe tentato di distruggere solo per il piacere di farlo, ma che ora vuole aiutare a evolversi in modo che sia sostenibile, senza che torni a essere arbitrario e prevaricatore. L’unica soluzione sembra essere mettersi sulle tracce dei Kang già presenti, sperando d’imbattersi anche in Sylvie.
Cosa funzione e cosa no in Loki - Stagione 2
Come sempre Disney ci ha fornito solo una parte degli episodi che costituiscono la stagione di Loki, quindi il giudizio non può che essere parziale. A colpire da subito e in positivo è la meravigliosa fattura di questo prodotto. Scenografie e design sono così curati nella loro evoluzione tra passato e presente della TVA da ricordare l’ossessione andersoniana sui medesimi aspetti, ma senza tracce di manierismo. Loki è la serie che fa del design del suo mondo retro-futurista la sua virtù, riuscendo ad avvicinarsi ai livelli di quel gioiello di Scissione. Considerando quanto sono pigre e sciatte in questo senso altre serie Marvel, completamente prive di personalità e spesso malfatte, non è un dettaglio da poco.
Anche la regia del primo episodio appare molto curata, con quasi degli echi a uno dei più celebri esempi recenti di multiverso filmico. Difficile non pensare a Everything Everywhere All at Once in certi movimenti di camera, in certi sbalzi temporali coadiuvati dal montaggio. Specie quando poi fa la sua comparsa Ouroboros (OB), un nuovo personaggio Marvel interpretato da Ke Huy Quan, che ha vinto un Oscar per il suo ruolo nel film dei Daniels. OB sembra uscito dritto da un film di Wes Anderson capitanato da qualcuno che conosce molto bene le intricate regole del suo mondo. Funziona, proprio perché è stilisticamente coerente all’immagine che abbiamo del ruolo tipo dell’attore.
Quel che è meno convincente è una certa titubanza della serie ad affondare davvero le mani nella crisi della linea temporale della TVA, nel dire qualcosa di definitivo. D’altronde la serie più riuscita del Marvelverso televisivo è WandaVision, che ha operato in circostanze uniche, più sperimentali, più slegate dalla narrazione principale. Loki invece deve tenere un piede nella sua serie, l’altro negli inevitabili contorcimenti della quinta fase, anzi, deve sistemare in corsa quello che non va e lanciare quel che succederà al cinema, avendo cura di non perdersi per strada chi la miniserie non la vedrà ma andrà al cinema a novembre a vedere The Marvels.
È un ruolo impossibile da svolgere. Lo showrunner Eric Martin ci prova, ma la prima stagione gli consegna un Loki innamorato e languido, spuntato della sua cattiveria e dell’ambiguità che contraddistingue il personaggio. Difficile avere dubbi sul fatto che stavolta sia dalla parte dei buoni, mentre è quasi un controsenso che non sia quantomeno affascinato dalla possibilità di prendersi tutto con un’alleanza con (un) Kang. Tom Hiddleston certo fa il suo, aiutato da un Clive Owen ottimo in questo ruolo, ma un Loki dai struggimenti adolescenziali e dolcemente complicato, intrappolato nel corpo di un adulto non è esattamente la più stuzzicante delle visioni.